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USO E ABUSO DELL’ALCOOL “IL CLUB DELLA SPERANZA”

Un viaggio in tre puntate nel pianeta degli anonimi

 

            La nostra epoca moderna è costellata da “mode”. La “moda” è seguita tanto che diventa quasi valore. Tanto influente da investire anche i problemi; pertanto in alcuni periodi va di moda parlare di droga, in altri di aids, in altri di bullismo, in altri ancora di alcolismo. Poi il silenzio, come se il problema si fosse dissolto, quando invece dieci cento mille storie continuano a consumarsi nell’isolamento completo.

            Tutte le parole che seguiranno nascono con l’intento di rompere “l’isolamento”, con l’intento di informare e di divulgare l’esistenza di una realtà di socializzazione, con l’intento di indicare, a chi volesse e ne sentisse il bisogno, un approdo dove in qualche modo ed insieme ad altri trovare o rafforzare le motivazioni per cui vale la pena vivere da sobri, sebbene, spesso, nella vita sopravvengono difficoltà che potrebbero indurre a pensare il contrario. Nascono, inoltre, con l’intento di comunicare che anche nei nostri piccoli centri di provincia, con tanta buona volontà, ci si sforza di creare alternative o comunque un “qualcosa” che si contrapponga al nulla.

            È solo attraverso l’articolo di Lucia De Maio pubblicato qualche numero addietro sul Fuoriporta che sono venuta a conoscenza del C.A.T. (Club alcolisti in trattamento). Ed è con lei, con Antonio Angelicchio e con il resto del gruppo che si è poi pensato di scendere nei dettagli, di allargarli questi dettagli perché il problema alcool, magari non alla moda in questo periodo,  purtroppo è diffuso più di quanto si creda e molto tra i giovani. Forse saremo un po’ prolissi e per questo divideremo il nostro intervento in più parti che speriamo veder pubblicati anche sui giornali di altri paesi limitrofi…..I giovani ne discuteranno? E a scuola? E i genitori con i figli? E i figli con i genitori? E le mogli con i mariti o i mariti con le mogli? E tra medici? E…qualcuno troverà la voglia e il coraggio di prendere contatto telefonico con Lucia ( 3475063134) o con Antonio ( 3394403325) o di varcare la porta dell’ex biblioteca comunale a Vico del Gargano in Via   Funno del medico il mercoledì alle ore 18, luogo e data dell’appuntamento settimana?

            È Lucia che traccia una cronistoria sul come e quando si è costituito il gruppo intercalando riflessioni che non possono che appartenere ad un animo sensibile:

“Nel giugno 1998 la provincia di Foggia promosse una settimana di sensibilizzazione ai problemi alcool correlati a Rodi. La prof. Apruzzese D. ed io, insieme alle assistenti sociali ed altre persone del Gargano, vi prendemmo parte. Fu una bella esperienza: c’era la moglie del prof. Hudolin, da poco scomparso, insieme a tanta altra gente, che parlava un po’ tutte le lingue del nostro amato Paese. Scoprimmo subito che avremmo dovuto viaggiare, per partecipare ad alcuni “interclub” a Lucera e a San Severo. Il “bagno di fuoco” dei membri del club, veri protagonisti del corso, era necessario. Si riunirono come sempre, ospitandoci senza vergogna e rendendoci parte della loro conversazione. Ancora oggi, ricordo frammenti delle loro testimonianze.

In autunno Donatella aprì il Club a Vico: eravamo cariche di entusiasmo, ma io ero già in compagnia di Anna Chiara, che sarebbe nata nel mese di febbraio. Il Club funzionò per più di un anno, aiutando famiglie con problemi complessi: alcol-droghe, alcol-problemi psichiatrici, alcol-degrado sociale. Non si sa mai quale di questi problemi insorga per primo in un individuo o in una famiglia: si dibatte tanto sulla domanda “si beve perché si è depressi?” o “viene prima l’alcol e poi la depressione?” E così possiamo creare binomi con l’emarginazione, la povertà, la miseria, l’ignoranza, le altre droghe: sempre la questione dell’uovo e della gallina. IL CLUB FUNZIONA SE CI SONO FAMIGLIE MOTIVATE, CON UN PIZZICO DI RISORSE INTRINSECHE.

Donatella continuò a studiare e conseguì insieme al dr. Antonio Basile presso la facoltà di medicina e chirurgia dell’università degli studi di Foggia l’attestato di “Perfezionamento in alcologia”, corso durato un anno . Io segui alcuni aggiornamenti per guidare interventi di formazione alle classi terminali. Tutti i giorni, però, mi capitava di “sbattere il muso” su situazioni che non potevo far finta di non vedere: la signora scura in volto e con gli occhi acquosi che nascondeva la busta delle birre nella borsetta; il papà degli amici dei miei figli che tornava a casa ondeggiando da un lato all’altro del marciapiede; il manovale che la mattina, al negozio di alimentari, comprava un panino e tre birre; le lapidi al cimitero “quest’uomo, probo e lavoratore, dedicò tutta la sua vita alla famiglia…”. Sapevo che erano morti di cirrosi epatica, di infarto. Sulle bottiglie da loro bevute c’era l’etichetta “famiglia?” Si erano bevuti la famiglia.”

            Un primo tentativo, dunque, un discorso cominciato ed interrotto, ma sufficiente per lasciare segni a determinare dei cambiamenti a consolidare e verificare la veridicità e la consistenza del problema…

            “Quando hai fatto l’esperienza dei Club non riesci più a condannare “l’ubriacone”; ti dà pure fastidio che venga chiamato così. Noi non usiamo neppure il termine “alcolizzato” o quelli più moderni “alcolista, “etilista”: chi beve è una “persona con problemi alcol correlati” e si chiamerà sempre così: la paura di ricominciare gli si presenterà all’appello tutte le mattine, guardandolo negli occhi. Potrà bastare una “ricorrenza davvero speciale”, un “amico” a cui proprio non si può dire di no, uno di quegli imbrogli psicologici per cui capita il giorno che ci vogliamo premiare o punire. Un bicchiere…cosa ti può fare un bicchiere? Anche i medici dicono che fa bene! È il primo bicchiere che ubriaca, perché il primo di una lunga serie o perché sufficiente a “farti” completamente. L’alcol ha un meccanismo d’azione più subdolo di altre droghe: i suoi effetti e le dosi per raggiungerli variano a seconda del peso della persona, della struttura fisica, del sesso, dell’età. In genere gli effetti sono minori se l’alcol è accompagnato al cibo. Il grado di alcolismo richiede ad alcuni una dose sempre maggiore, a causa dell’assuefazione, mentre ad altri basterà mezzo bicchiere per essere “bevuti”. Il nocciolo della questione si sposta all’ABUSO all’USO dell’alcol. CHI ENTRA NEL MONDO DEI C.A.T. (Club alcolisti in trattamento) SI IMPEGNA ALLA SOBRIETA’, A NON BERE AFFATTO, NEPPURE LA NOTTE DI SAN SILVESTRO. È una scelta di vita che cambia lo stile di vita, in positivo naturalmente. Al volto della paura si sostituisce il viso di quelle persone straordinarie che, entrando nei Club, ne fanno una ragione di vita e acquisiscono col tempo incredibili abilità di counseling, di ascolto attivo, di intervento, di oratoria. Dopo anni, al volto della paura si sostituisce il proprio, per il giusto grado di autostima raggiunto. Alcuni visi conservano indelebili i segni fisici del loro passato: sembrano, dopo 15 anni di sobrietà,essere appena usciti da una bettola, ma, come aprono la bocca, ti svelano un’anima potente e straordinaria: “Chi ha superato l’alcolismo, non ha più paura di niente: sa ricondurre ogni problema quotidiano alla sua giusta dimensione.”

            Lucia continua a raccontare. Ed ecco che il progetto del Club riprende vita…

“Il club è stato ricostituito a Vico l’8 marzo 2006. La molla finale della sua serratura è stata fatta scattare dalla dr.ssa R. Storace, psicologa al consultorio di Rodi: “Ho una ragazza, ha bisogno di frequentare il club, ma come fa ad arrivare fino a Foggia? Ha una famiglia valida, può farcela!”

            Per aprire un Club sono necessarie due famiglie e un servitore-insegnante: c’ero io e la famiglia di Antonio. Il locale è stato fornito dal comune di Vico: gli enti territoriali sono parte attiva della rete dei Club, insieme ai servizi sociali, i Ser.t. e i medici. Più è forte e ampia la rete, più l’approccio è ecologico. Lavorare in rete con gli enti territoriali e sanitari e con gli altri club della provincia (APCAT), e della regione (ARCAT) e oltre, è fondamentale: la situazione di Vico, la nostra cultura in tema di alcol, non è poi così diversa da quella del trentino o della Toscana.

Quando il dr. Vladimir Hudolin creò il primo Club a Zagabria non aveva in mente di dare vita ad una realtà così complessa, forse pensava ad un gruppo di auto-mutuo aiuto sul genere degli alcolisti anonimi con alcune differenze tipiche che ne caratterizzavano appunto l’approccio ecologico-sociale: un gruppo formato da famiglie con un facilitatore che si chiama, in modo esemplare, “servitore-insegnante”.Perchè avrà cominciato?Perchè sentiva l’esigenza di fare un po’ di volontariato? Non credo proprio! Chi inizia a fare volontariato perché vuole fare del volontariato, lo fa perché ha altri scopi, di cui neanche a volte si rende conto, e prima o poi si stanca. Hudolin cominciò, a mio avviso, perché non poteva farne a meno; suo padre era morto di alcol sui cinquant’anni, e questa allora, nel contesto sociale ed ambientale, era una situazione normale. I suoi pazienti alcolisti morivano, ed era normale. Ad  un certo punto, non gli deve essere sembrato più tanto normale ed ha sentito l’urgenza di darsi da fare. Tale urgenza l’ha accompagnato per tutta la sua vita. È questo il punto, se accettiamo le negatività, i mali che la società e la cattiva cultura producono, tutto ci sembra normale: le lapidi, le donne e gli uomini che sembrano vivi ma non lo sono, la sofferenza delle famiglie. Godiamo delle bellissime pubblicità della birra, appena ci accorgiamo dei bollettini di guerra della domenica e del lunedì: tutti quei nostri ragazzi spiaccicati da qualche parte e i loro letti vuoti nelle nostre case. Che vuoi che gli succeda? Tutti da giovani abbiamo fatto le nostre esperienze. Adesso, però, ci sono i mix: alcol-droga, alcol-pasticche, alcol- velocità…una volta un ragazzo a scuola affermò: “quando bevo guido meglio, mi sento più attento e se vado veloce non mi addormento”

            Il Club riprende vita…forse, con un’iniziale scarsa convinzione, ma dopo ormai più di un anno, il giorno dell’incontro è un appuntamento fisso, importante, perché costituisce come lo definisce Antonio “l’ultimo approdo”…

            Il Club è stato riaperto in sordina: non eravamo troppo sicuri della sua riuscita e non avevamo necessità di mostrarci ad una base elettorale. Ne hanno avuto immediata notizia i dottori degli ospedali di San Giovanni e Foggia, servitori di Club, l’Ufficio sanitario di Vico, le assistenti sociali dei vari comuni del Gargano, il consultorio e il CIM di Rodi. Ero e sono ancora convinta che aprire inutili dibattiti con i medici sia controproducente: innumerevoli dottori fanno parte della rete dei Club, ma penso che vi siano entrati quando si sono resi conto dell’efficacia del metodo, non quando sono stati forzatamente convinti della validità delle sue teorie. Conosco personalmente medici che neppure la scienza medica è riuscita a persuadere: danno da bere ai propri figli sostenendo che è un bene. È un dato scientifico che il fegato dei bambini, e parlo di “bambini fino a 16 anni”, non produce gli enzimi necessari a metabolizzare l’alcol, il quale va a finire dritto dritto a sgrassare i neuroni del loro cervello. Noi usiamo l’alcol solo per sgrassare i vetri.

Quando ci incontriamo, una volta a settimana, parliamo del più e del meno e anche dei problemi seri. Cerchiamo di non farci bravi uno nei confronti dell’altro: lo diventiamo solo partecipando alle riunioni, agli interclub, ai congressi, ai convegni, alle feste, alle partite di calcio (amichevoli).

            Grazie a Grazia per avermi costretto a scavare nella mia testa, oltre la barriera di numeri che la protegge, per scoprire alcune cassette di munizioni che nei miei quasi cinquant’anni di vita, ho seppellito qua e là….”

            Grazie a Lucia, ad Antonio e al gruppo intero che mi hanno accolto sebbene, per molti aspetti, fossi una perfetta intrusa. Grazie per l’aver accettato e condiviso questa specie di “campagna d’informazione”, attraverso l’apporto di considerazioni e di riflessioni strettamente personali come poi si potrà appurare negli articoli successivi…perché per questa volta è il caso di fermarsi qui!

                               Grazia D’Altilia