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Carpino: musica di protesta vicina e lontana – dalle valli occitane al salsamuffin latino-cubano

Archiviata la sesta serata di musica e balli al Carpino Folk Festival ’07 ormai giunto alla sua XII edizione. Qui a Carpino in Piazza del Popolo hanno appena finito di esibirsi i Lou Dalfin e Sergent Garcia.

Entrambi sono riusciti a conquistare il giovane pubblico carpinese proponendo due generi musicali molto differenti tra loro ma legati dal fil rouge dello spirito di resistenza di popoli che si sentono liberi ma al contempo messi in pericolo dai grandi stati nazione sempre meno simboli di identità e sempre più espressione d’interessi economici totalizzanti e mortificanti le piccole comunità che tuttavia tentano di continuare ad esprimere la propria voglia di sopravvivere attraverso la musica che talvolta assume anche i toni di una musica di protesta. 

Se Bruno Garcia col suo gruppo ci ha proposto il suo salsamuffin, miscela di salsa, reggae, hip hop e rap frammista ai canti popolari cubani e dell’America latina, ringraziando ripetutamente il pubblico carpinese che ha saputo interagire col palco fino agli ultimi istanti della serata, la prima parte della serata è stata onorevolmente animata da Sergio Berardo, fondatore dei Lou Dalfin, attraverso una carrellata di suoni e canti ispirati ad una rivisitazione della musica occitana, vista e vissuta dal suo interno, da chi ne è espressione consapevole, in sicura continuità con la tradizione ma al contempo in dinamico ascolto del presente. Durante tutta la sua esibizione alternava pezzi di repertorio a brevi ma incisivi messaggi al pubblico e descrizioni delle sue valli occitane attraverso un modo di parlare schietto ed efficace dal sapore un po’ cuneese e un po’ impressionista: “dalle Alpi alle valli tutto fermo…l’unica cosa che si muove sono gli aperitivi sotto i portici vuoti dei paesi laggiù”.

Strumenti tradizionali come la ghironda e la fisarmonica diatonica, non di origini occitane ma adottate da quelle valli di confine, al confine tra l’Italia e la Francia, si sono ben sapute inserire in un ritmo serrato di batteria e sofisticatamente moderno attraverso la chitarra elettrica, ritmo che nel suo insieme ha saputo denunciare la sua protesta accogliendo tra le sue note dure i tratti della musica occitana di confine, in uno scambio di suoni e di sapori.

Sergio Berardo, introducendo un bellissimo canto di rivolta occitano contro il Re di Francia, dà voce ad un panettiere capo di quella rivolta che, rivolgendosi ai suoi, afferma: “ Chi rinuncia a combattere per quello che ama prima o poi si abitua ad amare quello che ha!”, nello stile di quelli che lui chiama i “banditi occitani”.

Il Gargano ha dunque accolto stasera la voce e le note di una terra di confine che, in quanto tale, sente particolarmente le minacce e le pressioni culturali ed economiche dell’esterno ma che sa fare della sua posizione e del suo ruolo geografico e culturale un punto di forza facendosi “terra di scambio”, quello scambio bidirezionale che solo una membrana osmotica sa mettere in moto, testimone di quella porosità che ciascuna identità culturale dovrebbe possedere e preservare per restare viva. Anzi, proprio con le parole di Berardo, che si sentiamo di condividere pienamente: “chi ha davvero la propria identità non ha paura del dialogo e dello scambio con l’altro, perché sa di restare se stesso pur dandosi all’esterno”. La chiusura, del resto, non è che paura degli altri dettata dal timore di se stessi. 

Amedeo Trezza