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Gargano: “Subito gli alberi o sarà disastro”

Lo sostiene Fulvio Zezza, docente di idrogeologia

«Subito la mappa del rischio idrogeologico o sul Gargano si rischia la catastrofe. Dopo gli incendi che hanno devastato centinaia di ettari, cancellando alberi e piante, gli ambientalisti paventano il rischio di frane e allagamenti. Alla prima pioggia intensa i timori, finora inascolati si sono concretizzati. Fulvio Zezza, uno dei luminari nazionali in materia, è docente di geologia all'Università di Venezia. Ma, salentino di origine, ha cominciato i suoi studi partendo proprio dalla Puglia. E Conosce bene il Gargano. Abbastanza per essere preoccupa­to.

Professore, cosa centrano gli incendi con quello che sta accadendo?

«Centrano molto. Centinaia di alberi sono stati distrutti nel corso dell'ultima estate. I loro tronchi e le radici riuscivano a trattenere a monte i detriti che adesso, inevitabilmente scendono a valle.

Questo cosa può comportare?

Significa che la montagna non ha più armi di difesa e quando, come nel caso del Gar­gano, le pendenze sono molto accentuate, chi si trova in basso, rischia molto. In basso si trova­no alberghi, camping. case, strade e ferrovie. Conosco bene quella zona e so che occorre predisporre in fretta le contro­misure per evitare il peggio».

Gli alberi garantivano pro­tezione. Ma la legge contro i pi­romani, per evitare specula­zioni,vieta i reimpianto prima di dieci anni. Nel frattempo co­sa si può fare?

«Di sicuro non restare con le mani in mano. Il rischio idro­geologico c'è e non può essere

sottovalutato».

Che si può fare in attesa che gli alberi ricrescano?

«Passeranno decenni prima che la natura faccia il suo corso e le piante tornino a come erano prima dell'incendio. La prima cosa da fare è quella di ana­lizzare il territorio e fare una diagnosi accurata del problema. Solo allora la politica può prescrivere una terapia adeguata».

Cosa devono fare gli amministratori per evitare che il territorio paghi ancora il prezzo degli incen­di?

«Devono fare in fretta e non aspettare che accada prima qualcosa di grave. Occorre individuare subi­to una mappa del rischio».

Sono passati già alcuni mesi dagli incendi ma niente ancora si è mosso in questo senso.

«Male. Un territorio già ferito è più fragile. La­sciarlo a se stesso vorrebbe dire solo aggravare la situazione».

Quale potrebbe essere la terapia giusta per il Gargano?

«Innanzitutto potrebbe essere necessario predi­sporre un piano per irregimentare le acque. E biso­gna fare in modo che le piogge torrenziali non rica­dano dove possono fare più danni».

Non sembra una soluzione praticabile con pochi sforzi.

«Non lo è. Per curare le ferite del territorio occor­rono tempo, denaro e volontà politica».

E se non ci fosse nessuna delle tre condizioni.

«Sarebbe molto grave. I fenomeni piovosi stanno diventando sempre più violenti. Anche d'estate si potrebbe ripetere ciò che sta accadendo in questi giorni».

Se mai dovesse arrivare una terapia giusta, sen­za alberi il territorio resterebbe sempre esposto al rischio idrogeologico.

«In linea di massima possiamo dire di sì».

È possibile che il promontorio del Gargano resti brullo per dieci anni, come prescrive la legge?

«Il legislatore ha voluto fermare la speculazione che sta dietro ai roghi dolosi. Ma non sempre un ter­ritorio può aspettare dieci anni senza alberi. Nei ca­si più gravi, come questo, il limite non può essere ri­spettato».