Nel nuovo piano paesaggistico regole più chiare per lo sviluppo del territorio. Diminuiscono le zone industriali, nasceranno le aree ecologicamente attrezzate.Come sarà e cosa comporterà lo sviluppo del territorio pugliese nei prossimi anni? Dove dovranno nascere le fabbriche, dove sarà necessario sacrificare il verde per far posto alle costruzioni e dove, invece, la mano dell'uomo non potrà contrastare la natura? Sono alcune delle domande cui dovrà rispondere il nuovo piano paesaggistico della Puglia, di cui nei giorni scorsi è stato presentato il documento preliminare. Un passaggio importantissimo, «una svolta epocale» per dirla con il governatore Vendola. Perché il Pptr (Piano paesaggistico territoriale regionale) opererà delle scelte che avranno grande rilevanza nello sviluppo a lungo termine della Puglia. Il piano paesaggistico è il principale strumento che governa l'uso del territorio. Oggi la Puglia fa riferimento al Putt (Piano urbanistico territoriale tematico), che in ultima analisi rappresenta una raccolta di vincoli: stabilisce cosa non si può fare, e per giunta in modo burocraticamente complicato. Così, prendendo al balzo la necessità di aggiornare il piano paesaggistico alle nuove norme (il codice Urbani e la convenzione europea del paesaggio) la Puglia ha deciso di voltare pagina: e da un piano che dice soltanto una serie di «no» passerà ad un piano di «sviluppo alternativo», che farà delle scelte di fondo e che in alcuni casi dirà pure a Comuni e Province – attraverso progetti pilota – come dovranno comportarsi nelle trasformazioni del territorio. L'uomo che ha scritto i principi del Pptr è uno dei maggiori urbanisti italiani, l'architetto Alberto Magnaghi, piemontese, che insegna pianificazione territoriale all'Università di Firenze ed è il fondatore della cosiddetta «scuola territorialista». La scelta dell'assessore regionale Angela Barbanente non è stata casuale: dalle 50 pagine del documento di Magnaghi viene fuori una Puglia diversa, molto diversa, da quella prevista nel Putt. E non solo perché – come ha spiegato Vendola – «Il Putt era politicamente sbagliato». Ma perché si passa da un modello di sviluppo compatibile a un modello di sviluppo sostenibile. Per dirla in altri termini: ciò che si potrà realizzare non è ciò che il territorio può «sopportare», ma quello che va in direzione delle vocazioni di quello stesso territorio. Un centro commerciale? Sì, ma non ovunque. Le fabbriche? Sì, ma basta con le cento microaree industriali, una per ciascun Comune: ineglio concentrare lo sviluppo in «aree ecologicamente e paesaggisticamente attrezzate». Altro esempio. Il Putt non entra nel merito di quanto accade nei «territori costruiti», lasciando ad altri la pianificazione delle città. Il Pptr abbatte questo muro, e si occuperà anche del recupero delle periferie presentando dei progetti sperimentali: un progetto di rigenerazione di una periferia degradata, un progetto di riqualificazione del fronte urbano di una piccola città. Un modo per dare risposte a chi, nei Comuni, deve fare scelte difficili: allora ecco un esempio di demolizione e riqualificazione, sull'esperienza di Punta Perotti ma anche degli insediamenti abusivi di Lesina. Un modo per rendere evidente il concetto di sviluppo sostenibile: un progetto di parco agricolo multifunzionale, un esempio di recupero di una cava, un esempio di turismo sostenibile nelle aree interne, un progetto per riaprire al pubblico un'area costiera interclusa. E ancora, per dare un po' di qualità alle architetture, un esempio di regolamento edilizio di una piccola città: perché non è detto che i palazzi vadano sempre realizzati uno diverso dall'altro. La sfida è difficile. Il Pptr dirà sì alle energie alternative, ma metterà un freno alla proliferazione delle pale eoliche: meglio concentrarle che diffonderle sul territorio. Spingerà sulla qualità dei progetti, mettendo regole per le opere che si realizzano con soldi pubblici. Insisterà sulla riqualificazione delle aree industriali che sono – secondo Magnaghi – «una delle cause più evidenti del degrado paesistico e ambientale». Per farlo, la Regione si affiderà ancora una volta al meccanismo dei forum, alla concertazione. Ma nel frattempo sarà necessario fare un passo in avanti anche con i piani regolatori dei Comuni. In Puglia 111 amministrazioni sono ancora ferme al piano di fabbricazione del dopoguerra, e 40 dei 138 piani regolatori generali hanno più di vent'anni. Il perché lo spiega Piero Cavalcoli, dirigente dell'assessorato al Territorio: «I Comuni si chiedono perché dovrebbero fare un piano, se poi è comunque possibile fare l'attività edilizia attraverso le deroghe, le conferenze di servizi e lo sportello unico. I piani costano troppo, si parte da una base analitica inconsistente. C'è bisogno di regole certe: ai Comuni deve convenire fare i piani piuttosto che non farli». L'introduzione dei Pug, i Piani urbanistici generali che permettono alle amministrazioni di fare varianti veloci senza passare dalla Regione, va proprio in questa direzione. Ma bisogna far presto: il Pptr arriverà non prima di 18 mesi, ed è proprio il tempo – ed il rischio che chi verrà dopo possa snaturare l'idea di base – l'incognita maggiore su questa idea intelligente e innovativa.