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Solidarieta’ a mons. Domenico D’Ambrosio – da commercianti e artigiani

A San Giovanni Rotondo scendono in campo per difendere la figura e la dignita' dell'arcivescovo di Manfredonia – Vieste – San Giovanni Rotondo. 

Siamo alla terza mistificazione. Ed è l’ultimo atto di una campagna diffamatoria e denigratoria nei confronti di coloro che hanno voluto e deciso l’esumazione e la ricognizione canonica del corpo di Padre Pio, divenuti bersaglio di accuse senza prove e di insulti. Una campagna che, per reggersi, evidentemente ha bisogno di un’opera di disinformazione. La prima falsa notizia fu data agli organi di informazione il 7 gennaio, il giorno dopo l’annuncio da parte dell’Arcivescovo. Fu detto che «la nipote di san Pio, Pia Forgiane, e i suoi otto figli, lo scorso tre gennaio hanno diffidato le autorità religiose dal procedere alla riesumazione dei resti del frate delle stimmate» e poche ore dopo Rachele Pennelli, una degli «otto figli» di Pia Forgiane, «anche a nome dei sette fratelli» ha dichiarato: «È falso che noi discendenti di Padre Pio ci opponiamo alla riesumazione. Abbiamo invece esplicitamente chiesto alle autorità religiose, in una lettera inviata nei giorni scorsi, che la nostra famiglia possa essere coinvolta e presente in questo processo». Fallita questa prima strategia, dalla fantasia della “fabbrica delle notizie false”, spuntò un nuovo comunicato in cui si attestava che «l’Ufficio Stampa della Regione Puglia, in data 12 gennaio 2008, rendeva nota l’opportunità di scongiurare il progetto irriverente, superfluo e decisamente macabro annunciato da Mons. D’Ambrosio, di voler riesumare le spoglie di Padre Pio». Successivamente Vito Marinelli, addetto stampa del Presidente della Regione Puglia, rendeva noto che «da nessuno degli uffici stampa della Regione Puglia è mai partito alcun comunicato sulla questione della riesumazione delle spoglie di san Pio». Poiché anche in questo caso la verità, alla fine, si è fatta strada ed è emersa alla luce del sole, l’ultima trovata è stata far passare una lettera di Padre Pio come il suo testamento, peraltro strumentalizzandone impropriamente i contenuti. Apprendiamo, infatti, dalla Gazzetta del Mezzogiorno che l’associazione “Pro Padre Pio-l’uomo della sofferenza” ha presentato al Tribunale di Foggia un «ricorso» contro l’esumazione, chiedendo di «dare attuazione a quelle che l’associazione definisce le disposizioni testamentarie di Padre Pio, del 12 agosto 1923». In realtà in quella data il santo Cappuccino scrisse soltanto una lettera al cav. Francesco Morcaldi, all’epoca sindaco di San Giovanni Rotondo, per esprimere commozione e preoccupazione per le manifestazioni di protesta del popolo, deciso a sventare con ogni mezzo il trasferimento di Padre Pio a un altro convento. In merito il Frate scrisse al Sindaco: «Se, come ella mi ha comunicato, è stato deciso il mio trasferimento, io la prego di adoperarsi con ogni mezzo perché si compia la volontà dei superiori che è volontà di Dio ed alla quale io obbedirò ciecamente». E questo passaggio chiarisce già qual era il rispetto di Padre Pio verso le autorità ecclesiastiche e quale dovrebbe essere in coloro che con onestà vogliano definirsi suoi devoti. Poi il Cappuccino stigmatizzato aggiungeva: «Io ricorderò sempre codesto popolo generoso nelle mie povere preghiere, implorando per esso pace e prosperità e quale segno della mia predilezione, null’altro potendo fare, esprimo il desiderio che, ove i miei superiori non si oppongano, le mie ossa siano composte in un tranquillo cantuccio di questa terra». Che cosa centri questo desiderio con l’esumazione, la ricognizione canonica e l’esposizione alla pubblica venerazione del corpo di Padre Pio, visto che non è mai stato in programma un allontanamento, neanche provvisorio, della salma, è un mistero ancora tutto da capire. È da capire anche l’evocazione «degli articoli 1186 e seguenti del codice canonico» per sostenere che «non sussistono i presupposti perché vengano eseguite la riesumazione e la traslazione della salma di Padre Pio». Infatti gli articoli citati non si occupano affatto dell’esumazione, ma soltanto del «culto dei Santi, delle sacre immagini e delle reliquie» e non è scritto da nessuna parte che la ricognizione «è consentita al fine di accertare le virtù eroiche del canonizzando». Quest’ultima affermazione, peraltro, oltre a denotare una scarsa conoscenza sulle procedure per l’accertamento dell’eroicità delle virtù, è fuori da ogni logica. Come si potrebbe, dalla valutazione di un corpo ad alcuni anni di distanza dalla morte, arrivare a capire se un Servo di Dio ha praticato eroicamente le virtù cristiane quando era in vita? E pensare che sulla base di questi presupposti, saranno costretti ad andare in Tribunale il nostro Arcivescovo e due frati cappuccini! Noi, qui sottoscritti, cittadini di San Giovanni Rotondo esprimiamo il nostro biasimo per l’azione di disinformazione in relazione all’esumazione del corpo di Padre Pio e per il danno di immagine che tale disinformazione sta arrecando alla nostra città ed esprimiamo ferma condanna verso ogni tentativo di insultare e umiliare mons. D’Ambrosio e i frati cappuccini, a cui vogliamo far pervenire anche pubblicamente la nostra cordiale solidarietà e il nostro incoraggiamento.

Comitato Pro Mons. Domenico D’Ambrosio Commercianti e Artigiani di San Giovanni Rotondo