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IL MONOPOLIO DEI BUROCRATI

La spina nel fianco dell’Italia che ha voglia di fareScriveva Cesare Zappulli (giornalista economico di impronta liberale, napoletano colto, raffinato ed ironico) che, negli anni Settanta, in seno ad un comitato della CEE, un delegato tedesco ebbe ad affermare che l’Italia non necessitava di aiuti finanziari in valuta, bensì di “soccorsi amministrativi”.
Abituati come eravamo (e siamo) a prendere sberle dall’Europa, nessuno dei nostri politici di allora fece caso a quella affermazione. Tanto è vero che, a distanza di trent’anni, il nostro Paese non è migliorato pubblicamente. Ne sa qualcosa chi è venuto alle prese con gli uffici pubblici per dei permessi o delle autorizzazioni. Ci vogliono mesi, a volte anche anni. Il solo pensiero dà la nausea.
Da noi il cattivo funzionamento degli uffici pubblici ha portato a teorizzare, in talune materie, gli istituti legislativi del «silenzio rifiuto» e del «silenzio assenso» come strumenti per sapere, dopo l’inane decorso di un dato termine, che cosa passa per la mente del più potente e protetto dei monopoli, che è quello dei burocrati.
Il nostro legislatore, nel 1990, ha anche dato al cittadino uno strumento di impulso amministrativo: la «diffida penale». Un’arma a doppio taglio, giacché, se azionata, non è inverosimile attendersi un sonoro rigetto della richiesta di origine. Per poi trovarsi costretti a ricorrere alla giustizia amministrativa.
Già, i ricorsi, con i tempi biblici ad essi connessi.
La possibilità che un cittadino ha di ricorrere ai tribunali amministrativi favorisce una certa leggerezza dei burocrati, che, forti di tale possibilità, a volte scelgono pilatescamente la strada del «rigetto». Come a dire, saranno eventualmente i giudici ad accogliere la richiesta del cittadino.
Uno Stato che tenga sul serio all’efficienza dei suoi "servizi" dovrebbe porre freno a certi andazzi. Ad esempio, prevedendo che, dopo un certo numero di provvedimenti di diniego poi annullati dai giudici amministrativi, il dirigente firmatario degli stessi perda automaticamente il posto. Una sorta di pagella del burocrate, che, se insufficiente, non ha senso che lo stesso continui ad essere iscritto nel libro paga della collettività.
Concludo partecipandovi un episodio raccontatomi, giorni fa, da un mio conoscente, fresco di un viaggio negli Stati Uniti. Lo scorso gennaio si è recato al Comune di New York con un suo parente, che doveva presentare un progetto per la realizzazione di un capannone industriale. Non ha creduto ai suoi occhi. Il progetto è stato esaminato contestualmente al suo deposito. Il funzionario, riscontratane la conformità allo strumento urbanistico, davanti a loro ha apposto un semplice timbro: APPROVED (che significa “approvato”). Il giorno dopo, quel suo parente iniziò i lavori.
Privatamente, il nostro Paese non è da buttare (le iniziative non mancano). Pubblicamente, è, invece, un naufragio. Ed il paradosso sta nel fatto che l’evidente inefficienza dei «servizi pubblici» la paghiamo a caro prezzo.  L’amministrazione – quella alta e quella bassa – ci tassa come se davvero funzionasse ed offrisse un «servizio» di qualità.

Alfonso Masselli