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Piano del Parco ora la palla passa ai Comuni che devono pronunciarsi

I Comuni sono tenuti a presentare, fra qualche settimanasono tenuti a presentare, le osservazioni alla propo­sta di adozione del Piano del Parco. Una scadenza che sta stretta agli am­ministratori perchè ritengono che non sia possibile varare un Piano che ne­cessita di una at­tenta valutazione e riflessione e, quin­di, di tempi più di­stesi.
Un percorso cer­tamente non agevo­le, anche perchè comporta tutta una serie di consulta­zione e confronti che non sempre so­no possibili, per motivi diversi. Comunque, se il tempo non gioca a favore degli Enti lo­cali, dall’altra par­te non può rimane­re in sospeso una programmazione del territorio che imporrà, tra l’altro, tutta una serie di limiti (qualcuno li chiama vere e proprie strettoie) che potrebbero creare anche situazioni di conflittualità tra gli stessi Comuni e l’Ente parco. I consigli comunali saranno convo­cati, a giorni (qualcuno ha già stabilito la data), per approvare l’atto delibe­rativo contenente le osservazioni a quello che è l’unico documento finora prodotto: la bozza dell’Agriconsulting, società romana presieduta dal padre del presidente della Fiat, Luca Cordero di Montezemolo, commissionata
dall’allora presidente dell’Ente parco, Matteo Fusilli. Una bozza di Piano che è stata, sin dal primo momento, fortemente contestata dagli stessi amministratori che, tutto­ra, la giudicano eccessivamente pena­lizzante per un territorio di oltre cen­toventimila ettari e una popolazione residente di circa duecentomila abitan­ti distribuiti in ben diciotto Comuni.
Dati, questi, che non possono non essere tenuti in considerazione, anche perchè – dicono gli amministratori – la eterogeneità del territorio impone che ci sia una differenzazione in termini di sviluppo e, di conseguenza, non può esserci una omogeneizzazione tout court che, a questo punto, non avrebbe senso; anzi, finirebbe per appesantire i rapporti tra comunità locali ed Ente parco, con il rischio di aprire la strada a forme di protesta che, in verità, nes­suno vorrebbe rivivere. La bozza dell’Agriconsulting presen­tata, circa cinque anni fa, agli ammi­nistratori comunali, è un’ipotesi ab­bastanza articolata che parte dalla ri­levazione dei dati oggettivi, analizza gli anelli deboli di un sistema territoriale, evidenzia le peculiarità, propone un percorso condiviso, puntualizzando che le difficoltà oggettive richiedono che ci sia, da parte di tutti, un confronto che possa essere utile a trovare la sin­tesi tra le posizioni. Concetti che vennero sottolineati, al momento della presentazione del lavo­ro preliminare, da uno degli estensori del piano, Roberto Gambino, docente presso il Politecnico di Torino, il quale pose l’accento su tutto questo, spiegan­do che il "Gargano è un territorio pieno di differenze, abitato e modellato sin dall’antichità, un mix di valori natu­rali, mescolati con quelli culturali in cui c’è tutto e il suo contrario. Ci tro­viamo, in sintesi, di fronte ad una si­tuazione intricata al cospetto di una perimetrazione non omogenea". Che niente debba essere ritenuto ri­gido, immutabile e immodificabile è la base dalla quale partire per avviare confronti coerenti con quella che è la vocazione propria del Gargano. Concordare su questa premessa sa­rebbe già un primo passo significativo per poter indicare le linee generali al ime di rendere possibile dare forma a quell’idea suggestiva che si chiama "Città del Gargano", cioè, un’unica "re­te di comuni", intesa come nuova stra­tegia per superare i municipalismi di sempre, che tanto danno hanno arre­cato alle realtà locali. E il collant per vincere le resistenze, che pur ci sono, non potrà che essere il parco nazionale del Gargano, una ri­sorsa riconosciuta e riconoscibile se guardiamo alle cifre che dicono di un’area protetta che è al primo posto tra quelle più visitate dai turisti che ama­no, non solo il mare, ma anche i "sa­pori" di una terra che, fortunatamente, è stata, fino a questo momento, soltanto sfiorata dall’omogeneizzazione.