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Tremiti: “Così affondò la nave di Garibaldi”

Nei giorni di piatta o quando il mare di Tre­miti è pettinato dallo scirocco dalla superficie pare quasi di vedere il Lombardo una delle due navi che, insie­me, al Piemonte, fece l’impresa dei mille. L’eroe dei due mondi lo ac­quistò con un atto segreto dalla Compagnia di Raffaele Rubat­tino, garanti del debito furono il re Vittorio Emanuele II e Camillo Benso Conte di Ca­vour. Il Lombardo salpò da Quarto i16 maggio 1860 al comando di Nino Bixio e in cinque giorni raggiunse Marsala dove per primo inalberò il tricolore con lo stemma sabaudo. Qui du­rante i combattimenti fu gra­vemente danneggiato e rimase semi affondato sino a quando il successivo 11 luglio non venne recuperato e iscritto nella Ma­rina da Guerra Sarda. L’ar­senale di Palermo provvide a ripararlo, restaurarlo ed a ri­metterlo a nuovo.I110 febbraio 1864 passò al comando del Luo­gotenente di vascello Giuseppe Deista ed i13 marzo lasciò An­cona carico di truppe destinate a Manfredonia e detenuti per le isole Tremiti… poi la sua sto­ria cade nell’oblio.
Sulla base di dati storici ab­biamo romanzato gli ultimi momenti della nave di Gari­baldi.

Nei fondali delle Tremiti riposa la nave che portò i Mille

Da due giorni il vento soffia implacabile, Nord Ovest, un maestrale ruggente gonfia il mare sino a farlo ansimare. E’ l’alba del 3 marzo 1864. Il luogotenente Giuseppe Deista, al comando del Lombardo, scruta l’orizzonte, ma la luce stenta a farsi largo, dense numi nere stanno ancora trattenendo le tenebre. I soldati e i detenuti da portare alle Tremiti sono già a bordo, ci sono anche una decina di cavalli, battono gli zoccoli, c’è frastuono, puzza di letame giù nella stiva.
Il mare è formato (n.d.r. agitato) – pensa Deista – ma partendo da Ancona e pro­cedendo a Sud Ovest la nave lo prenderà al giardinetto (n.d.r. parte poppiera) scivolerà planando sulle onde. E poi che diamine il bastimento che ha fatto l’impresa dei mille non può mica fermarsi per una sventagliata di maestrale!
Alle 7.30 il Lombardo mette la prua fuori dal porto. Al largo il bagliore accecante di un groppo temporalesco. La navigazione si fa subito difficile, una delle due macchine a vapore Maudsley & Field (208 cavalli no­minali) dopo due ore di moto va in avaria, le vele servono appena a stabilizzare il ba­stimento. Deista se la prende con l’ufficiale di macchina, ma è lui l’unico responsabile. La nave non la conosce ancora, ne ha preso il comando solo da 23 giorni, esattamente il 10 febbraio.
Va lento il Lombardo, cade e risale nel cavo delle onde,- scricchiola come dovesse frantumarsi. Per alcuni soldati del neonato regno d’Italia è il primo viaggio in mare. Sono terrorizzati, cerulei per il mal di mare. Alcuni vorrebbero tornare, ma non si può. Uno dei cavalli rompe i fermi di ferro. S’imbizzarrisce. Gli sparano. Cade con un tonfo sordo.
Le Tremiti, dopo 14 ore di navigazione, iniziano a delinearsi all’orizzonte, formiche nere sull’acqua. Mancano ancora una tren­tina di miglia, il vento ha spazzato la brina. Le Diomedee sembrano più vicine. Anche il promontorio del Gargano ora appare netto, distinto, incombe con la sagoma marrone scuro.
Non è semplice mantenere la rotta, vento e corrente spingono a terra, ogni tanto bisogna virare a Nord, ed è allora che il Lombardo sussulta, le vele sbattono. Poi la notte arriva, veloce, inghiotte la nave. Alle undici di sera la luce del faro di San Domino è a meno di due miglia. Deista cammina nervoso sul ponte. Ha consumato le carte a furia di guardarle. Decide di infilarsi nel canale tra San Do­mino e San Nicola, ridossarsi dal maestrale e ancorarsi sotto la fortezza. Ma la terra non si vede, nella notte nera, si avverte solo un intenso odore di capperi e finocchio sel­vatico. Ora il Lombardo ha il mare di prua, cerca di risalirlo tenendo a dritta San Do­mino. L’obiettivo è scapolare (n.d.r. in gergo passare una punta) Punta del diavolo.
La sciagura arriva con il silenzio. Il se­condo motore cessa di battere. La sala mac­chine è una fornace. Incandescente. Gli uomini sfatti per lo sforzo si fermano, ine­betiti. Il fragore delle onde si fa più vicino. Gli scogli. Poi lo schianto, come il rumore di una pala che raschia un badile. La chiglia è sulla secca!
Un’onda solleva il Lombardo, come un fuscello, lo posa di lato. Uomini, cavalli, pentole, fucili, vettovaglie volano a dritta, si affastellano in una informe montagna.
La nave è inclinata. Deista si regge al timone, le gambe penzolano giù. Sobbalzano sorde ad ogni botta del mare. Ma alle Tre­miti nessuno si è accorto del naufragio. Chi mette il naso fuori di casa in una notte come quella? Le sentinelle di San Nicola sono troppo lontane. Bisogna attendere l’alba. L’orologio segna mezzanotte e quindici del 4 marzo. Una donna getta il paniere in alto. E’ venuta a far erbe a Cala degli Inglesi, ma chi s’aspettava di vedere una nave semirove­sciata. Aiuto aiuto! In meno di un’ora arrivano i soldati dal carcere fortezza di San Nicola. I tremitesi si accalcano sulla costa. Come si fa a salpare con quel mare? Nessuno si azzarda. La scogliera è aguzza e tagliente. Gli uomini dal Lombardo agitano le mani, le voci con il passare delle ore si fanno sempre più sof­focate. Qualcuno si getta in mare, cerca di raggiungere la costa, l’acqua è fredda, i vestiti si attaccano addosso, le onde li in­ghiottono. L’agonia del Lombardo dura 15 lunghi giorni, da Manfredonia arrivano due unità, tutto si prova per liberarlo, persino a tirarlo con gli argani da terra, sino a che il mare non squassa la chiglia e lento e lento il bastimento scivola sul fondo. Così finisce la nave di Garibaldi, riposa nei fondali im­macolati delle Tremiti.