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Così Padre Pio spiegò le stimmate al Vaticano

Pubblicati i dialoghi riservati con l’inviato del Sant’Uffizio

 

“Tutto ad un tratto fui preso da grande tremore. Poi subentrò la calma e vidi nostro Signore in atteggiamenti di chi sta in croce….Mi invitava a compenetrarmi dei suoi dolori e a meditarli: nello stesso tempo a occuparmi della salute dei miei fratelli…Udii questa voce: ti associo alla mia passione. E in seguito a questo, scomparsa la visione, sono entrato in me, mi sono dato ragione e ho visto questi segni qui, dai quali gocciolava il sangue. Prima nulla avevo”. Così padre Pio da Pietrelcina, lasciando trasparire l’emozione, raccontava all’inviato del Sant’Uffizio il mistero delle stimmate apparse sul suo corpo il 20 settembre del 1918. Tre anni dopo quella visione divina, Monsignor Raffaello Carlo Rossi, vescovo dì Volterra, bussò alle porte del convento di San Giovanni Rotondo. Lui, visitatore Apostolico, aveva il compito di indagare su quel cappuccino destinato a diventare Santo. E così, replicando sotto giuramento a 142 domande incasellate in sei deposizioni, Padre Pio tracciò una sorta di autobiografia, scandita dai quesiti del suo inquisitore. Quei verbali per decenni sono rimasti sepolti negli archivi del Sant’Uffizio. Ora sono raccolti nel libro di don Francesco Castelli, sacerdote tarantino, storico della postulazione per la causa di beatificazione di Papa Giovanni Paolo. Il e docente di Storia della Chiesa. “Padre Pio sotto inchiesta autobiografia segreta”, edito da Ares, è in libreria da questa mattina (un servizio sul libro è pubblicato dal settimanale “Oggi”). “Sino ad ora — spiega Don Francesco Castelli – si pensava – che l’unica fonte di conoscenza autobiografica di Padre Pio fossero le lettere che il frate scrisse al suo padre spirituale”. Lettere accorate in cui il frate di Pietrelcina confidava di sentirsi un “Mistero per se stesso”. “Invece adesso — continua il sacerdote tarantino – abbiamo le deposizioni in cui il frate descrive in maniera accorata l’apparizione delle stimmate, ma anche ogni momento della sua giornata, svelando aspetti assolutamente inediti della sua vita”. Quell’inchiesta del Sant’Uffizio venne innescata dai tanti dubbi sollevati sul conto del frate, la cui fama si diffuse rapidamente in tutto il Paese. I sospetti provenivano anche da pulpiti importanti come quello di padre Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica. Fu lui a bollare le stimmate del Cappuccino come frutto di suggestione. L’autorevole parere mise in moto l’inquisizione. “Su Padre Pio — dice don Francesco Castelli – venne aperta un’inchiesta esigente, analizzando ogni aspetto della sua vita anche attraverso la testimonianza degli altri frati. Ne viene fuori un racconto puntuale ma anche un quadro dell’inquisizione fatto di comprensione e giustizia, che sfata il mito negativo del Sant’Uffizio”. Le sei deposizioni, quindi, regalano frammenti dell’esistenza di Padre Pio e fasi di grande emozione di quell’indagine. Come il momento in cui l’inquisitore pretese di esaminare le stimmate, delle quali riporta una descrizione originale. Nel suo rapporto, in gergo denominato “Voto”, riferirà che l’unica ipotesi meritevole di accoglimento è quella della natura divina delle ferite. Dalle quali, incomprensibilmente, si diffonde un intenso profumo di viole. Indugia anche su una stimmata che cambia continuamente di forma. Particolarità che contribuisce ad escludere in maniera categorica l’accusa di lacerazioni prodotte artificialmente.
Rispondendo alle domande del vescovo, poi, Padre Pio confessa le apparizioni del maligno e le visioni di Gesù, della Madonna e di San Francesco, oltre ad alcuni episodi di bilocazione. Testimonianze di valore eccezionale che vanno a braccetto con aspetti della vita di tutti i giorni, per certi versi insospettabili.