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ALTA MAREA 2 – Speciale: ” IMMIGRATI: TRA DISPERAZIONE ED ACCOGLIENZA”

Lo spazio di approfondimento di OndaRadio, condotta da Antonio Troia ed Antonio Giuffreda, questa sera alle ore 19,05 si occuperà questa volta del ruolo e delle problematiche degli immigrati nella società, in particolare sul nostro Gargano. Interverranno gli assessori ai servizi sociali della Provincia, Antonio Montanino, e del Comune di Vieste, Nicola Rosiello, il direttore del Centro Studi sull’Immigrazione, padre Lorenzo Prencipe, oltre a rappresentanti della comunità locale degli immigrati.

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Sono giorni che si ripetono episodi di razzismo di una gravità inaudita. Il ragazzo di colore pestato dai vigili urbani di Parma e i lavoratori peruviani aggrediti dai clochard a Roma sono solo gli ultimi esempi.
Purtroppo episodi meno eclatanti ma pur sempre lesivi della dignità umana non mancano di segnare quotidianamente la nostra esistenza. Quante volte abbiamo ascoltato, nell’indifferenza assoluta, frasi del tipo “negro di m….” o “ i rumeni sono tutti zingari e quindi delinquenti”?
Sono atteggiamenti che alimentano un clima di razzismo sempre più evidente che sta scalfendo le certezze di una società aperta, pluralista e democratica.

Cosa sta succedendo al nostro Paese? Come possiamo tollerare noi, il popolo campione dell’accoglienza, della ospitalità, della convivenza civile tra diversi, questi atteggiamenti e questi sentimenti?

Forse non esiste una sola causa. Ma la crisi economica genera la paura di perdere il posto di lavoro facendo immaginare lo straniero  come un pericoloso concorrente. Le risorse indirizzate alle politiche dell’accoglienza vengono percepite come una sottrazione di risorse da destinare ai residenti. L’aumento della microcriminalità, e non solo, viene attribuita alla presenza di cittadini stranieri. Insomma viviamo con un sentimento diffuso di paura. Da qui nasce anche la paura e l’avversione per lo straniero, per chi è diverso da noi. Sono,questi, piccoli segni di quotidiano razzismo, a volte inconscio, che rivelano il clima reale nel quale viviamo. Non siamo ancora all’odio razziale, ma rischiamo di assuefarci a  linguaggi e atteggiamenti violenti che si fondano sulla paura dello straniero.

 I figli di immigrati che sono nati in Italia sono 400 mila. Fra sei anni saranno 1 milione. Sono ragazzi italiani, che parlano la nostra lingua , più spesso il dialetto della zona di residenza, che frequentano la nostra scuola, che vivono con i nostri figli. Si può alimentare quanto si vuole un clima di sospetto ma l’Italia sta cambiando. E allora bisogna mettere in moto il cervello e capire che la nostra è una società multietnica nella quale la diversità di tradizioni, cultura ed etnia deve diventare fonte di ricchezza.

Facciamocene una ragione. Non c’è modo di impedire a questa gente di raggiungere, spesso clandestinamente, il nostro Paese. Non saranno le “cannonate” contro gli scafisti a fermare questi disperati che fugge dalla fame, spesso dalla persecuzione e dalla guerra, con la speranza di costruire un futuro migliore per se e per i propri cari.
È un processo che va accompagnato e governato con misure certe e risorse adeguate. L’immigrato non può essere visto come colui che è destinato a svolgere i lavori che abitualmente noi non svolgiamo più. Sulla capacità di accogliere chi è in difficoltà, si misura il grado di civiltà di una comunità e la capacità di governare questi nuovi processi da parte delle istituzioni.

 Su questo piano la Regione Puglia, con la sua legislazione sull’accoglienza e l’emersione dal lavoro nero, è diventata un modello studiato in tutta Europa.

E nella nostra comunità? Siamo proprio sicuri di essere un’oasi di pace? Un luogo dove questi problemi non esistono?
Da noi non si respira un’atmosfera di odio razziale ma non mancano episodi per cui lo straniero viene visto come quello a cui non affittare la casa “perché  quando fai un contratto sai con chi lo fai ma non sai quanti ne metti in casa”, o come quello da non assumere perché “tanto che se ne fa dei contributi?, oppure come quello “ da far lavorare anche dieci ore perché non protesta”. Sono atteggiamenti e pratiche che una comunità civile non deve tollerare.

Antonio Giuffreda