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SANREMO ERA RAI E ADESSO STA CON MEDIASET

Un Festival così confuso e senza identità non si era mai visto

 

Ha vinto la «community» di Amici, l’Italia delle discriminazioni anticostituzionali e delle canzonette. Un Festival di Sanremo così confuso e senza identità non si era davvero mai visto.
Le pochissime canzoni di qualità sono state tutte brutalmente scartate da uno strano meccanismo. E ciò mette inevitabilmente sotto radice la vittoria di Marco Carta, Povia e Sal Da Vinci. Vedremo chi venderà più dischi, se loro tre o chi è stato miseramente eliminato.
Bene invece Bonolis, il vero vincitore del Festival, come conduttore ma non come direttore artistico, visto che l’ha totalmente snaturato, rendendolo una copia fedelissima di Amici.
Con questa 59esima edizione, il Festival di Sanremo è definitivamente morto. Del Noce farebbe bene a gongolare meno: non ha vinto la Rai ma Mediaset, con il suo «format» supercollaudato ed il suo fedelissimo «popolo».
Non deve sorprendere il verdetto finale: forse meritava il primo posto Povia, l’unico che, con la sua canzone, ha meglio centrato e cavalcato lo stato di totale confusione di questo Festival di Sanremo. Un Sanremo che ieri era una cosa ed oggi ne è un’altra. Domani forse ne sarà un’altra ancora. Cosa, non si sa. Sanremo è in una profonda crisi di identità.
E poi il sistema del televoto a pagamento, più consono per una tv commerciale che per una tv di Stato. Secondo voi, quanti non hanno televotato perché il televoto era a pagamento? Ecco la prima, grande discriminazione: se hai soldi da spendere (per giunta in questo periodo di grande crisi economica), voti. Altrimenti, guarda e passa.
Addirittura “Striscia la Notizia” ha insinuato il sospetto che in questa edizione di Sanremo si sia diffusa la prassi di comprare televoti in appositi «call center». Se il sospetto fosse fondato, altro che caso Wanna Marchi. «Se vince chi ha più soldi – ha tuonato nei giorni scorsi il discografico indipendente Pippo Landro – questa gara è inutile». E totalmente falsa, va aggiunto.
Povia, che tutti ricorderemo come il cantautore di «Quando i Bambini fanno Oh» (gran bella canzone), ha avuto questa volta la pretesa mediatica di raccontarci una storia, quella di un certo Luca, ben lontana da quelle storie semplici, universali, discrete, apolitiche, areligiose e senza evidenti ambizioni cinematografiche che ci hanno consegnato i più grandi autori della musica leggera italiana.
Da qualche anno, nelle canzoni sanremesi, è abbastanza difficile trovare un contenuto veramente valido, se si escludono i testi di pochi cantautori famosi e sempre più restii (a ragione, visto il verdetto finale di quest’anno) a partecipare al Festival della canzone italiana.
«Luca era gay» secondo voi (che non avete sapientemente televotato) è, ad esempio, paragonabile a «Il ragazzo della via Gluck», firmata da un paroliere d’eccellenza, Luciano Beretta, che scrisse testi non solo per Adriano Celentano (tra gli altri, «La coppia più bella del mondo», «Chi non lavora non fa l’amore», «Svalutation»), ma anche per Caterina Caselli («Nessuno mi può giudicare»), Domenico Modugno, Orietta Berti, Ornella Vanoni, Milva e i Camaleonti, per un totale di circa 2500 pezzi?
Come nacque «Il ragazzo della via Gluck»? Dichiarò il suo autore: «E’ felicemente nata da un profilo su Adriano Celentano, destinato ad un settimanale. Era la vita (pubblica e non privata, n.d.r.) di un ragazzo orologiaio che si trasforma in quella di un divo … Trovammo un titolo per l’articolo: «Il ragazzo della via Gluck». Ci entusiasmò e scrivemmo la canzone, non capìta (ovviamente, n.d.r.) al Festival di Sanremo, ma portata poi al trionfo in 32 versioni mondiali».
Ma quali doti deve possedere un paroliere? Secondo Beretta, deve «conoscere bene la lingua italiana, avere il dono innato della poesia, conoscere la musica, possibilmente suonare uno strumento, ispirarsi alla gente (e non ad un «Luca» di turno, incontrato casualmente su un treno, n.d.r.), captare argomenti validi della vita quotidiana e metterli in versi, avere il ritmo metrico sulla punta delle dita, trovare parole e rime insolite».
Oggi, purtroppo, i testi delle canzoni sanremesi sono troppo spesso sul piano politico, dissacrante … e banale. E’ tutta una esasperazione, senza poesia, senza contenuto universale.
Sanremo non è sempre Sanremo. Ieri era Rai e adesso sta con Mediaset. Vedremo domani che «orientamento» avrà, se lo avrà!
 
Alfonso Masselli