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Vieste lacerata dal dolore

Recuperati il corpo della donna e di tre figliolette: manca quello della piccola Rosa.

 

«No, per il momento rimaniamo qui a L’Aquila. A Vieste torneremo solo quando avremo trovato anche il corpo di Rosa. La nostra nipotina più grande è ancora sotto le macerie. E noi, io e i miei fratelli, continueremo a scavare finché non la tireremo fuori. Stiamo scavando a mani nude.
 Con la morte nel cuore e con il pensiero fìsso ai corpi senza vita di Anna e delle nostre tre nipotine, Chiara, Micaela e Giusy». Quando sono ormai le sette della sera, Sandro Germinelli ha ancora voce forte e chiara. La voce di chi, pur stremato dal dolore e dalla fatica, ha deciso di non mollare. Sandro è uno dei fratelli di Antonio Germinelli il marito separato di Anna Russo, la donna di Vieste rimasta uccisa nel terremoto insieme con le sue quattro figlie nel crollo di una palazzina di tre piani situata nel pieno centro de L’Aquila, in via Luigi Sturzo. Vi si  era trasferita da tre anni per cambiare vita, dopo aver lasciato a Vieste il marito e la sua casa. Lavorava
presso un centro per anziani. Domenica notte la tragedia :il palazzotto popolare si accartoccia e la travolge insieme con le sue bambine e una loro amichetta. Un’intera famiglia cancellata in un istante. Sandro, al telefono, racconta del dolore e della disperazione di Antonio e degli altri due fratelli, Giovanni e Roberto, che con lui già dall’altra sera sono corsi a L’Aquila. A Vieste sono rimasti un altro fratello, Michele, e la sorella, Libera.
Una corsa, quella verso l’Abruzzo, che sin dall’inizio apparsa disperata Perché le notizie che erano trapelate già dall’altra sera lasciavano davvero pochi dubbi sulla sorte di Anna e delle sue figlie. Ma Antonio Germinelli ci contava. Sperava di riabbracciare almeno una delle sue quattro figlie. «E’ distrutto – dice Sandro-. Con noi è rimasto a scavare tino a quando non è affiorato il primo corpicino. Da quel momento si è chiuso in sé stesso. Non vuol parlare con nessuno».
«Io lo capisco – aggiunge -. Perché qui c’è da scoppiare. Soprattutto al pensiero che questa è una strage che si poteva evitare». In che senso? Che cosa vuol dire? «Voglio dire – spiega Sandro Germinelli – che c’è qualcosa che non quadra. Basta vedere in che modo è stata ridotta questa palazzina. C’è del cemento marcio. Si vede subito che non c’è ferro a sufficienza». Sandro denuncia anche il fatto che «si tratta di una costruzione di non più di trent’anni». «Non è una di quelle palazzine diroccate che ci possono pure essere in una città come L’Aquila. E una casa comunale». Parole forti, dalle quali traspare tanta rabbia. E la volontà di «voler provare a vederci chiaro appena possibile». Nel frattempo, Sandro e i suoi fratelli continuano a scavare.

Stefano Boccardi

La Gazzetta del Mezzogiorno