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L’abbazia di Santa Maria di Kàlena in disfacimento. Unica salvezza l’esproprio

Il sindaco di Peschici Vecera: «Nessuno caccia i soldi. Meglio il restauro in convenzione con la proprietà» .

 

L’unica strada per salvare l’abbazia di Santa Maria di Kàlena dal disfacimento è l’esproprio. Togliere la proprietà alla famiglia Martucci e dare all’abbazia la patente di un bene pubblico per facilitarne il recupero. Questo quanto indicato ieri su queste pagine dal direttore re­gionale ai Beni culturali, Ruggero Martines, ora che il vincolo è stato esteso anche all’intera area che cir­conda le chiesette. «Tutti sono sta­ti e sono capaci di parlare di Kàle­na, di invocare il restauro – com­menta il sindaco di Peschici, Dome­nico Vecera – , la Regione, la Sovrin­tendenza, Italia Nostra e Italia loro, ma poi alla fine nessuno ci ha mes­so mai un euro. E si punta il dito contro il Comune».
Il sindaco ha assistitito in silen­zio in questi giorni alle polemiche sollevate sui mancati interventi e sul crollo del tetto sull’abside di una delle due chiese: «E’ facile af­fermare che il Comune può avviare l’esproprio. E i soldi? Ce li diano, ci diano qualcosa come un milione di euro e la espropriamo subito l’abbazia. Io invece penso che, vi­sto che abbiamo fatto un passo avanti con la prima convenzione con la famiglia proprietaria, biso­gna partire da questo per avviare il restauro».
Il Comune oggi, attraverso que­sto accordo, può «gestire» a fini culturali le chiese e i giardini stori­ci, la parte religiosa dell’abbazia. La gestione per aprire le chiese ai visitatori durerà 40 anni. Ma, stra­no a dirsi, la convenzione è stata si­glata a settembre, ma al Comune le chiavi per accedere a questa parte del complesso non sono state anco­ra trasferite. Tanto è vero che il tet­to è crollato ma non c’è stato anco­ra nessun intervento di puntella­mento per evitare altri crolli.
«Il tetto era purtroppo già peri­colante, non appena ci consegne­ranno le chiavi faremo le verifiche del caso. Ma voglio essere chiaro: per noi Kàlena è una priorità. Co­me amministrazione abbiamo pre­sentato il progetto per i finanzia­menti del piano strategico di area vasta – sottolinea il primo cittadino – ma non siamo stati noi poi a indi­care le priorità. Noi non siamo pre­senti nella cabina di regia. Non si può pensare che con il bilancio co­munale si possa restaurare quel be­ne. E mi auguro che alla fine non cada tutta a pezzi. Che non riman­ga, come ha scritto qualcuno, un’agonia di pietre».
Restano dunque le incertezze sul futuro dell’abbazia, che è stata dichiarata monumento nazionale nel 1951 e che era stata indicata co­me uno dei pezzi importanti del­l’arte nell’Italia meridionale sin dal 1904 dallo storico Emile Bertaux. Un’abbazia con la prima chiesa, quella cosiddetta vecchia, con le cupole in asse che quindi si inseri­sce nel corso della tradizione pu­gliese; e la chiesa «nuova» addos­sata all’edificio più antico e che fu costruita secondo modelli architet­tonici presenti nella tradizione eu­ropea. Una tradizione che ha il suo pun­to di contatto nella via Francigena, che le maestranze di scalpellini che dalla Francia si spostavano ver­so i regni crociati, percorrevano nei due sensi, fermandosi anche a Kàlena.
Antonella Caruso