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Sanitopoli, clonazione dei reparti: così i primari raddoppiano

Ecco come avviene la moltiplicazione delle cliniche. Al Policlinico di Bari 8 chirugie e quattro ginecologie.

 

Come il pane e il pesce, negli ultimi anni negli ospedali «misti» – dove convi­vono l’anima ospedaliera e quella universitaria – si è regi­strata la moltiplicazione dei posti da primariato. Con un fatto non confutabile: alla gui­da delle cliniche ci sono sem­pre più accademici. Che rim­piazzano i colleghi ospedalie­ri. Diamo un’occhiata ai nu­meri ufficiali, quelli forniti di­rettamente dal Policlinico di Bari e di Foggia. Nel capoluogo di regione, la situazione è chiara: le unità operative che hanno come primario un ospedaliero so­no 11, sette per la degenza medica, 4 per quella chirurgi­ca. Le cliniche con a capo un universitario sono cinque vol­te tanto, 52 (25 mediche e 27 chirurgiche). Fino a 20 anni fa, il rapporto era più o meno alla pari. Oggi è di uno a cin­que in favore degli accademi­ci. Motivo? Sono aumentate le cattedre e, parallelamente, sono cresciuti i posti da pri­mariato. Persino gli organici sono nettamente diversi: 650 i medici che fanno capo al­l’Ateneo, 300 gli ospedalieri. Ospedali Riuniti di Foggia. Qui il bilancio è di sostanzia­le parità (11 a 10 per i baro­ni), ma lentamente l’Universi­tà sta mangiando l’anima ospedaliera. Basti pensare all’ultimo ca­so: il dottor Antonio Pellegri­no – ex presidente della Pro­vincia foggiana – ha lasciato l’incarico di primario di Uro­logia due anni fa. Il ruolo è stato trasferito ad un profes­sore, Giuseppe Carrieri, già primario di una seconda clini­ca di Urologia. «Un grande professionista e un uomo onesto», premette Pellegrino. «Carrieri è un ottimo speciali­sta – ammette – tanto di capel­lo. Ma il discorso è un altro: reputo un grave errore quello di allargare la fetta universita­ria a discapito di quella ospe­daliera. Per un fatto sempli­ce, abbiamo compiti diversi. Noi dobbiamo pensare solo all’assistenza, a curare i pa­zienti; su di loro pesa anche la ricerca e l’insegnamento. Purtroppo, l’andazzo è che per un ospedaliero che va via, arriva un universitario. E non va bene».

Torniamo a Bari, dove si è verificato qualcosa di molto simile. Un paio di anni fa, il dottor Raffaele Numo andò in pensione e lasciò il suo po­sto da primario di Reumatolo­gia, ma non è mai stato nomi­nato un nuovo direttore ospe­daliero. Di fatto, quindi, resta solo una clinica di Reumatologia diretta da un professore. E an­cora. Le Urologie erano tre, una ospedaliera e due univer­sitarie. Il primariato del repar­to ospedaliero, di fatto, non esiste più. Ecco la lettura del dottor Numo, per 45 anni in servizio nel centro d’eccellen­za barese. «La componente ospedaliera – spiega il suo punto di vista – non ha l’ade­guata forza per difendersi. Con il riordino ospedaliero verranno tagliati centinaia di posti letto. A sparire, c’è da scommetterci, saranno le cli­niche ospedaliere. L’Universi­tà è intoccabile, intangibile e talvolta rischia persino di clo­narsi ». L’ex direttore genera­le del Policlinico di Bari, Anto­nio Castorani, provò a sostitu­ire le attuali unità operative in dipartimenti più grandi, che accorpassero i reparti «doppione» universitari e ospedalieri. Il piano prevede­va la riduzione da 100 a 13 cli­niche, non sarebbero più esi­stiti otto reparti di chirurgia generale, quattro ginecolo­gie, sei medicine interne, tre neurologie, tre ortopedie e al­trettante pediatrie. Tutto, per il momento, è rimasto su car­ta.

Vincenzo Damiani