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Quando Zeman cenava con Moggi ”Ora non mi resta che guardare”

Gol e miracoli del grande Foggia allenato dal tecnico boemo raccontati in un documentario. Quasi un’ora di aneddoti e battute col presidente d’allora, Pasquale Casillo, che gli offrì un contratto dopo averlo visto perdere 4-1. ”Perché non mi chiamano più? Si vede che non c’è bisogno di allenatori…” di ANGELO CAROTENUTO

ROMA – Quando Zeman andava a cena con Moggi, il suo più grande nemico. Quando c’era l’Inter a corteggiarlo. Quando insomma esisteva il grande Foggia, quello che sfiorò l’Uefa, inizio anni ’90: gol e miracoli ora raccontati in un documentario, "Zemanlandia", prodotto da Showlab, regia dell’astigiano Giuseppe Sansonna. Zeman è disoccupato, non dimenticato. "Mi resta solo da seguire…". Le ultime tre squadre lo hanno tutte esonerato. "Sono ancora contro le cose sbagliate, e ce ne sono tante". Il 4-3-3 e le sue accuse mancano alla serie A da 4 campionati. "Perché? Si vede che non c’è bisogno di allenatori…".

Dopodomani la presentazione del documentario alla Casa del cinema di Roma, 55 minuti di aneddoti e battute col presidente d’allora, Pasquale Casillo, l’imprenditore del grano che gli offrì un contratto dopo averlo visto perdere 4-1, che gli pagò il primo premio partita dopo una sconfitta in casa col Sorrento, e che lo chiamava Sdengo, oppure Zemàn. Con l’accento sulla a.

Uno taciturno, detto "il muto". L’altro lussureggiante, per tutti "don Pasquale". Nel documentario tutto è duetto. "Tu parlavi poco – accenna Casillo – ma facevi danni". Una sorta di facciata B di Mourinho, ecco cos’era Zeman. Con Moggi nel mirino. Il calcio in farmacia, il doping, la Gea. "In giro sono rimasti molti moggini. Lui paga sempre quello", giura Casillo, assolto nel 2007 dall’accusa di associazione camorristica, a 13 anni dall’arresto. "Zeman lo disse subito che si trattava di un abbaglio. Quando uscii dal carcere, mi aspettava fuori". Una coppia vera. Fu Moggi a farli litigare. Un giorno Zemàn va a Caserta per vedere la nazionale, poi finisce in un ristorante di Napoli a parlare del suo passaggio al Parma. "Con Luciano Moggi e Sogliano", lo racconta il boemo in persona. Casillo aggiunge dettagli: "Ora mi fai ricordare. A me lo disse un cameriere, era del mio paese. Per un mese ho tenuto un mio dipendente fuori la sede del Parma a controllare". Esonerato, dunque. Zeman andò davvero al Parma. Poi tornò. "In quegli anni ho parlato anche con l’Inter, con l’Udinese, con tanti, ma sono rimasto a Foggia lo stesso".

Foggia, dove giocava a carte coi magazzinieri e prendeva caramelle dai tifosi. Nel documentario ci sono pure loro. Uno a cui Zeman regalò un impermeabile, un altro che si vanta di avergli trasmesso il vizio del fumo. "Abbiamo sempre fatto sceneggiate, noi". Casillo si lamenta del miliardo e mezzo speso per Signori? Zeman allora lo invita a vendersi un mulino. Altro che vendere un mulino. "Non ci ho rimesso col calcio. Ho guadagnato soldi a quintali: 55 miliardi. Zeman non era venale. Aveva solo bisogno di 20 mila lire al giorno per le sigarette".

E poi la squadra. C’è il terzino Codispoti, al quale misero 100 mila lire nella scarpetta sinistra perché imparasse a crossare meglio; c’è Signori che imita Casillo ("Aggia fà ‘a squadra cchiù fforte d”o Milàn"), c’è Rambaudi che imita Zeman. Le immagini degli allenamenti sui gradoni dello stadio, quelle dell’incontro con papa Wojtyla. Zeman si svela un po’: "Dovevo fare il duro, non lo sono mai stato. Mi è sempre piaciuto vedere cosa succedeva intorno a me, e succedeva sempre qualche cosa. La mia maestra elementare diceva che avrei dovuto fare cinema".

Ci riprovarono ad Avellino, serie B, 6 anni fa, Calciopoli era alle porte. Casillo rivela: "La sera prima della partita col Messina, mi chiamarono per chiedermi di farti fuori, in cambio della salvezza. Eri tu l’obiettivo, non io. Risposi a quel signore: io vado in serie C con Zemàn". Infatti. Oggi c’è un altro Zeman in panchina, il figlio Karel, allena a Maglie, campionato d’Eccellenza pugliese. Papà Zdenek guarda: "No, non ho pagato tanto. Mi sono divertito. Potevo fare di più. Resto attaccato alle mie cose, né business né merchandising. Mi resta solo di seguire…".

Redazione sportiva ondaradio – Rocco RUO

Fonte – Repubblica.it