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Il problema del Meridione? I meridionali

Il problema del Sud è l’autocommiserazione dei meridionali. Vedrete le reazioni di oggi: il ministro Tremonti attacca, dice che bisogna finirla con la cialtronaggine di chi non sfrutta i soldi arrivati a pioggia dall’Europa. I sudisti risponderanno. Tutti insieme, come una lobby. Tutti uniti, nel nome dell’onore supremo di un Sud che spesso si disonora da solo, ma poi, quando si sente accerchiato, replica con uno spirito di corpo che in altre occasioni non c’è. Napoletani e baresi non si sopportano, ma si spalleggeranno, in ossequio all’orgoglio d’appartenenza alla Terronia. Catanesi e palermitani si detestano, ma non possono accettare che un Padano si permetta di criticare anche i nemici. Perché comunque il Nord è più nemico del nemico vicino. La verità è che quei soldi che ci sarebbero e nessuno usa per pigrizia o per negligenza, sono lo schiaffo che noi meridionali tiriamo al nostro destino. Sono lì, per noi. Quei grigi burocrati di Bruxelles sono la cosa più distante da noi, eppure ci hanno spedito denari a ripetizione. Tutte quelle sigle strane: Po, Por, Pon, Fesr, Fse, Feaog, Feoga. A volte non serve neanche sciogliere gli acronimi perché il risultato è lo stesso: soldi. Li abbiamo annusati e li abbiamo lasciati, per mancanza di dimestichezza con la materia e anche per incapacità, perché il meridionale ha un senso dell’autodistruzione che sfugge alle normali dinamiche sociali: anche se vede uno scoglio al quale aggrapparsi preferisce rimanere un altro po’ in mezzo al mare.
È la nostra dannazione eterna, quel senso di incapacità di agire che spesso ci frena prima di cominciare. Perché al Sud esiste una frase che cambia a seconda dei dialetti, ma significa la stessa cosa ovunque: «Qui non si può fare niente». Non è sempre una scusa. Ci sono pezzi di Meridione dove fare è impossibile davvero. Però ci sono altri pezzi in cui quella frase è un alibi per mascherare accidia, inettitudine, propensione all’assistenzialismo eterno. C’è che i fondi europei sono diversi dalla cascata di lire che arrivava un tempo senza che ce la meritassimo. Questi euro giungono se ti muovi, se te li cerchi. Ecco, noi terroni uniti non facciamo abbastanza per conquistarceli. Allora preferiamo che marciscano o che finiscano altrove per poi lamentarci dell’assenza di aiuti dall’Europa.
Arriverà il fuoco incrociato su Tremonti. Leggeremo che è anti-meridionale, che così ha voluto strizzare l’occhio alla Lega. Sentiremo parlare di ingiustizia sociale, di razzismo di governo. Perché? Ogni volta che il Sud viene attaccato come entità astratta finisce per evitare con cura qualunque autocritica. Vietato ragionare, come se questa fosse una guerra culturale, come se ci fosse da difendere il diritto ereditario all’indolenza, come se in ballo ci fosse l’essenza stessa del sudismo, ovvero la mancanza di voglia di essere grandi. Chiunque suoni la sveglia, dall’esterno o dall’interno, diventa un ribelle alla causa del giusto ozio terrone.
È stato così anche l’anno scorso, quando il rapporto Svimez raccontò al Sud che i suoi figli più preparati l’hanno abbandonato definitivamente: 700mila persone emigrate al Nord nel periodo 1998-2009. I numeri furono accolti come un lutto impossibile da assorbire: quelli erano terroni ingrati che avevano lasciato la loro terra per seguire soltanto la propria soddisfazione. Ecco: chiunque si sia azzardato a dire che quegli emigrati s’erano salvati da un destino di sofferenze e difficoltà veniva preso come un traditore. I meridionali che rovinano il meridione sono quelli che sputano sulla fortuna che gli capita: che arrivi attraverso i soldi dell’Europa o che arrivi attraverso un posto di lavoro nel Settentrione. È finita l’era della questione meridionale che finora ci hanno spacciato per verità. La questione vera è che c’è un Sud che si muove, che cresce, che va, che si sposta, che produce, che guarda a se stesso come pezzo di mondo e non come mondo a pezzi. Cerca il mercato e lo trova. Ce n’è un altro che preferisce fermarsi a guardare e criticare, invece di muoversi. Tutti prìncipi di Salina, tutti immobili, tutti terrorizzati al solo pensiero che le cose possano cambiare. Meglio una mediocre certezza che una splendida possibilità. I meridionali, noi meridionali, siamo convinti ancora che il Sud sia stato derubato di fortuna e di soldi. È una lagna fastidiosa, un pianto inutile. Il Sud riceve milioni a valanga: li ottiene, li promette, li stanzia, li destina, li usa a volte bene, spesso male. Poi qualcuno non li prende affatto, maledizione. Questo ha detto Tremonti: Puglia, Basilicata, Molise, Campania, Sicilia, Sardegna, Calabria guardano un patrimonio che sarebbe utilissimo, ma che inspiegabilmente non viene toccato. Che cos’è, pudore? O forse è meglio non fare per evitare di sembrare incapaci? Non c’è qualcun altro che ruba al Sud, ma è il Sud che a volte ruba a se stesso. S’è rubato il passato, si ruba il presente e forse anche il futuro.

Giuseppe De Bellis