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Sanità Puglia/ Micro-cliniche pugliesi addio e ticket di 1 euro sulle ricette

 «Tagliare i posti letto, intervenire con una cura dimagrante drastica, è anche il frutto di una necessità e non di una scelta. Perché altrimenti il governo nazionale mette le mani nelle tasche nostre e ci impedisce già nei prossimi mesi di pagare gli stipendi agli operatori sanitari». Le parole di Nichi Vendola, al termine del vertice con i consiglieri di maggioranza sul piano di rientro, spiegano la linea che il centrosinistra si è dato per i prossimi mesi onde attutire nei territori lo «tsunami» annunciato dai tagli negli ospedali. La corsa contro il tempo è obbligatoria: i nuovi calcoli fatti dal governo dicono che la Puglia non deve rientrare di 351 milioni ma di una cifra ben più alta (450 milioni) onde non sforare nuovamente il Patto di Stabilità e vedere andare in fumo – tramite la «sanzione» prevista – 500 milioni previsti nel riparto del Fondo sanitario nazionale. Dunque, meno posti letto nei piccoli ospedali (da riconvertire), eliminazione dei raddoppi di divisione di unità operative nello stesso noscomio, ticket di 1 euro su tutte le ricette farmaceutiche (onde ridurre la spesa) e blocco del turn-over del personale.

La ricetta, dura da far digerire e messa a punto d’intesa coi piani attuativi locali (Pal) predisposti dalle Asl, ha già fatto saltare sulla sedia alcuni sindaci, col centrodestra alla Regione che chiede spiegazioni in audizioni. E il clima, se il governatore non sarà in grado di gestirlo spiegando bene alle comunità (questa la «missione» affidata ai consiglieri) la necessità dei tagli, rischia di diventare rovente almeno quanto lo fu nel 2005 per il suo predecessore, Raffaele Fitto.

«Oggi abbiamo una mentalità per la quale ricoverarsi è anche un modo per non pagare i ticket sulla diagnostica. Abbiamo gli studi che ci dicono che è più facile ricoverarsi se si è poveri. Il ricovero è il “riparo” e i tassi di inappropriatezza dei ricoveri – dice Vendola – sono il primo indicatore di qualcosa che va profondamente corretto. Per questo gli interventi nel territorio sono necessari, perché la politica della salute non sia soltanto ospedalizzazione, che troppe volte si è rivelata una risposta sbagliata ed economicamente insostenibile ».

Il presidente della Puglia insiste: «Viviamo un’epoca nella quale si immagina di affrontare le crisi economico-finanziarie riducendo i servizi e i diritti ai cittadini. Noi contrastiamo questa filosofia e tuttavia oggi non possiamo fare a meno di subire questa violenza contabile. Cercheremo di farlo aiutando la Puglia a cambiare in radice la propria cultura della salute e a mettere in campo quelle risposte che possono consentire di immaginare che l’ospedale è soltanto una estrema ratio».

In pratica, chiudere i piccoli ospedali- ricovero e mettere in piedi «gli ospedali con risposte di alta qualificazione per problemi complessi di salute». Il rischio che – con le riconversioni dei piccoli nosocomi in poliambulatori e case della salute e la necessità dei pazienti di trasferirsi in strutture più lontane da casa – i pugliesi comincino a rivoltarsi, c’è tutto.

Ma, precisa il governatore, una differenza sostanziale rispetto a cinque anni fa c’è: «Il piano di Fitto aveva molti difetti. Intanto conteneva l’errore di spaccare in due il sistema ospedaliero tra parte chirurgica e parte medica. E poi aveva anche qualche elemento di discriminazione sociale. Perché se tu tagli senza offrire una alternativa questo va male e i cittadini lo percepiscono come un fatto insopportabile. Io penso che noi dobbiamo, invece, spiegare ai cittadini che dobbiamo fare questi tagli perché – sottolinea – il governo nazionale ci mette la pistola alla tempia. E dobbiamo farli in una maniera tale che ci aiuti a rendere più efficiente e razionale la nostra sanità: investendo su ospedali di qualità e su una rete di servizi socio-sanitari diffusi sul territorio. I criteri riguarderanno quei piccoli ospedali che rischiano a volte di essere ospedali solo di nome senza avere le caratteristiche di ospedali, senza l’infrastruttura tecnologica. Ci sono luoghi che si chiamano ospedali ma dove non si viene curati adeguatamente, e dove magari il ricovero costa il doppio di quanto costa in una grande ospedale, dove ci sono le strutture e il personale specializzato che ti può curare per bene».

«Non c’è dubbio che il piano di rientro sarà doloroso. Viviamo in uno scenario nel quale l’intero welfare è messo in discussione dalle politiche europee e nazionali – dice l’asses – sore alla Salute Tommaso Fiore- e noi siamo un pezzo di questo sistema: anche noi abbiamo i nostri dolori. Quello di cui discutiamo con la maggioranza è il fatto che noi dobbiamo comunque avere la capacità e il coraggio di trasformare questa situazione in una modernizzazione del sistema. Per questo, «è arrivato il momento di fare uno sforzo complessivo di sistema: le cose che abbiamo sempre detto, cioè la trasformazione della sanità da un sistema ospedalocentrico a un sistema che vede nel suo territorio il suo centro, dobbiamo fare in modo – conclude Fiore – che passino dalle dichiarazioni di principio alla realtà».

BEPI MARTELLOTTA