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Fratelli scomparsi a Vieste: spunta una pista eredità

Tutto è accaduto in pochi minuti, attorno alle 8.30, giovedì 18 novembre. Da Sfinalicchio, il paradiso delle vacanze di proprietà dei Piscopo, all’incrocio della scomparsa di Giovanni e Martino, sono circa 10 chilometri, 10 minuti di auto, anche meno, ad andatura tranquilla.  A partire per primo Giuseppe Piscopo, con il trattore e il carrello per caricare le olive. Dopo qualche minuto, i fratelli a bordo del furgoncino Piaggio Porter. A quell’ora, in una giornata d’autunno inoltrato, c’è scarso traffico lungo la litoranea Peschici-Vieste. D’estate, invece, è un movimento continuo, di auto e di turisti a piedi diretti ai alle spiagge. Trattore e furgoncino possono procedere spediti.

«Mi hanno sorpassato e poi sono stato io a superare il camioncino fermo a Montincello» dirà più tardi Giuseppe, alle 13.30 alla tenenza dei carabinieri per denunciare la scomparsa dei fratelli, avvenuta cinque ore prima. All’incrocio, probabilmente arrivano per primi Giovanni e Martino, per imboccare la strada provinciale 52 bis del Mandrione e subito dopo girare a sinistra, in una strada rurale che conduce all’uliveto di famiglia. Quando dopo qualche minuto sopraggiunge Giuseppe col suo trattore si è già tutto concluso: i suoi due fratelli ormai sono scomparsi.

L’incrocio di Montincello è un luogo suggestivo. Ville, case con i tetti spioventi da affittare per le vacanze, residence lo circondano da due lati. Le colline con gli uliveti fanno da corona. Il furgoncino è stato trovato in una posizione strana e innaturale, lungo un lato dell’incrocio con l’accesso vietato, in direzione opposta rispetto al tragitto per giungere all’uliveto: chi ha bloccato i Piscopo forse ha tentato un goffo depistaggio, per sviare le indagini.

Sfinalicchio è ai confini tra i feudi di Peschici e Vieste. Un posto da favola, dove tutto, dagli alberi agli alberghi diffusi e agli ombrelloni parla dei Piscopo. Ma è l’intera litoranea il simbolo di un turismo popolare e anche opulento. Da una parte il mare e le spiagge ai piedi delle colline, dall’altra, sui pendii oliveti e boschi della Foresta Umbra. Lungo la strada villaggi, camping, alberghi, lidi si susseguono l’uno all’altro. È la Puglia delle vacanze più florida che ha fatto la fortuna di migliaia di persone, con operatori in gran parte di Vieste o comunque del Gargano. I posti letto censiti sono almeno 45mila, ma quelli a disposizione dei turisti sono in realtà molti di più, c’è chi giura che siano il doppio.

I Piscopo, si dice in paese, è famiglia unita. Ma è proprio così? Un signore che conosce gli affari del Gargano dice che un tempo era così, ma da alcuni anni il tarlo della rottura ha lavorato senza sosta. Aggiunge che di fatto i fratelli si sono già divisi e che tra di loro fossero nati dissapori e tensioni. Il patrimonio immobiliare della famiglia è notevole, stimato in 15, forse 20 milioni di euro. Muovendosi da Vieste, dopo una decina di chilometri, il regno dei Piscopo, a sinistra della strada, ha un fronte di 600-700 metri.

Un regno in mezzo al verde profondo e scintillante. Si comincia con un ampio oliveto, molti ettari, dove sono parcheggiati decine di camper, poi è la volta di un camping tre stelle, profondo fino con piscina, market, pizzeria, ristorante e vendita di prodotti tipici, dagli ortaggi all’olio e ai formaggi; si passa alle villette bianche di cemento, alle case di legno, al grande oliveto che s’inerpica sulla montagna, agli impianti sportivi per finire all’hotel a tre stelle in fase di ampliamento. Un’area vastissima che comprende anche un allevamento di vacche, in collina, gestito da Bartolomeo, uno dei Piscopo che in paese si vede raramente. Dall’altra parte, il lido di «zio Martino», anche questo con pizzeria e ristorante sul mare, e una distesa di sabbia al riparo della montagna in un’insenatura da cartolina. Molte aree sono concessioni del demanio, altre di proprietà.

Sono dieci i fratelli Piscopo. Erano undici, poi uno è morto. Cinque uomini e cinque donne, due delle quali negli Stati Uniti. Giovanni è l’uomo forte di Sfinalicchio, di poche parole e riflessivo, sposato con una straniera, ha due figli. Anche Martino ha sposato una straniera, una ceca e ha un figlio. Giovanni è amministratore della società alla quale fanno capo le diverse attività, mentre la proprietà è indivisa. Queste situazioni erano ricorrenti nella società povera dei contadini. Le famiglie dovevano restare unite per affrontare le difficoltà. Diversa la prospettiva quando le proprietà crescono e i soldi cominciano a girare copiosi.

Il patrimonio dei Piscopo si è formato negli anni, struttura per struttura. Il padre, Carmine, era un contadino con il cervello sveglio e una capacità di lavoro straordinaria. Lui li teneva in pugno i figli. Poi la morte, il 15 giugno 2006. Il vecchio, come ogni capo famiglia di questi luoghi aspri e orgogliosi, forse aveva qualche dubbio sulla capacità degli eredi di restare uniti, forse non se l’è sentita di fare le scelte. Sembra che nel suo testamento abbia fissato l’obbligo per i figli a restare uniti «per cinque anni», allo scadere dei quali gli eredi potranno decidere cosa fare, se restare insieme oppure dividersi le proprietà. Una situazione difficile. Se fosse vera questa condizione, saremmo alla vigilia della scadenza.

A Vieste, dei Piscopo hanno avuto sempre una buona considerazione. «Gente che lavora» dicono ad ogni angolo. Poi emergono i diversi profili psicologici: e i difetti di ciascuno cominciano ad emergere. Una cosa è sottolineata: Sfinalicchio e la vita dei Piscopo sono la stessa cosa. Capite le vicende di questo patrimonio e della ricchezza formata nel tempo e si potrà venire a capo del mistero che circonda la scomparsa di Giovanni e Martino.

Si riflette sulla dinamica dei fatti nella mattinata del 16 novembre. Intanto, la ricostruzione del fratello Giuseppe lascia aperti molti interrogativi. Perché il furgoncino era rivolto in una direzione opposta a quella dell’uliveto da raggiungere? Poteva questo fatto insospettire Giuseppe? Quale direzione hanno preso gli assalitori di Giovanni e Martino? «Sono molti i segreti del Gargano – dicono nei bar -. Molti, in passato, sono scomparsi e di loro non si è saputo nulla. Questa volta è diverso». Giovanni e Martino sono due imprenditori, persone che l’estate gestiscono grandi strutture ricettive e l’inverno fanno i contadini. Turismo e agricoltura, il tesoro di Vieste e Peschici. Per questo la comunità degli operatori è allarmata. «Speriamo che la vicenda venga chiarita presto».

Tonio Tondo