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MARTINAZZOLI, E CIO’ CHE RESTA

 

Riceviamo e pubblichiamo
Gli venne affidata una missione impossibile: salvare la Democrazia Cristiana dalla bufera di tangentopoli e dal declino elettorale. Perché proprio lui, Mino Martinazzoli?

Un uomo di cultura, formatosi sui testi patristici di Ambrogio e Agostino, avvocato di provincia, di fine e misurato eloquio. Lui, discettatore del pensiero di don Luigi Sturzo, convincente assertore del popolarismo e dei valori etici e democratici delle autonomie locali. Lui. giovane Presidente della Provincia di Brescia, convocato a Roma fra le nuove leve della DC del dopo De Gasperi. Lui che mai aveva partecipato ai riti delle correnti, che mai aveva letto il manuale Cencelli,che mai aveva preteso un  posto a tavola.
Che ci faceva un “ galantuomo “  così, in politica?
Vero è che la Balena bianca, come la indomita Moby Dick, nei momenti di maggiore crisi, drizzava la spina e risorgeva, utilizzando i suoi mediatori migliori: prima Benigno Zaccagnini, poi Moro, infine, nell’agonia, Martinazzoli.
C’eravamo anche noi viestani all’ultimo congresso DC, nel 1989. Roma, Palazzo dello Sport all’Eur, in diecimila fra delegati e invitati. Con Ludovico Ragno, Io, Sandro Troiano, Ginetto Fasani, Marcello Clemente ed altri.
L’allora segretario della DC e Presidente del Consiglio, De Mita, annunciò la fine del miracolo economico e snocciolò due termini ancora sconosciuti agli italiani: il debito pubblico e la riforma costituzionale ed elettorale. Addebitò tutte le colpe di una Italia ingessata dai debiti e dalla mancanza di alternanza politica a Craxi e al PSI, scatenando un putiferio tra i tanti che lo volevano morto (sia come segretario che come Presidente del Consiglio) e le truppe cammellate dell’avellinese. I big che, mano a mano prendevano la parola, sotto l’arcigno controllo del Presidente del congresso Fanfani, venivano accolti con bordate di fischi e impallinati dopo pochi minuti. L’ accorto Andreotti era scomparso dal parterre; Forlani, in pectore designato nuovo segretario, molto defilato. Fu la volta di Martinazzoli. La platea si placò, ma solo per rispetto. Lui argomentò pacato e razionale, senza parteggiare. Poi ricordò la insostituibilità dei valori cristiani anche in politica, quindi parlò dei peccati non sempre veniali della DC. I delegati ascoltavano, affascinati dalla profondità della sua accorata passione. Nella folla incominciò a scorrere un entusiasmo antico e qualche lacrima. Concluse: “ forse è giunto il momento che la DC abbia meno potere e più idee. Riflettiamone insieme: lo vuole l’Italia “.
L’entusiasmo salì alle stelle. I democristiani si liberarono all’improvviso delle loro confuse diatribe, sentirono emergere finalmente la loro unità di cattolici. Esplose l’emozione. Mino, Mino! Acclamato segretario, a furor di popolo! Non si fermavano più, dimenticando il preordinato asse d’acciaio del CAF (Forlani – Craxi – Andreotti), dello scontato conteggio dei delegati, insomma dei giochi già fatti. L’occasione di salvare la DC  fu irrimediabilmente persa.
Lui, nel 1993, ad un passo dal burrone, accettò di salvarla, fra lo scetticismo della ragione e la fede che spinge all’impossibile. Cancellò il nome della DC e ritornò alle origini, rifondando il Partito Popolare. L’anno dopo, il glorioso partito dei cattolici, al centro della politica del nostro paese in tutta la seconda metà del Novecento, venne schiacciato fra “ la gioiosa macchina da guerra “ di Occhetto e il “ Partito – azienda “ di Berlusconi. Lui si dimise, con un semplice fax, e restò a Brescia. Fece bene, fece male………… gli ex, dissolti in diaspore fluttuanti, ne discutono ancora; in cuor loro delusi delle scelte fatte per sopravvivere in una seconda Repubblica ammalata di leaderismo e di sterili alternanze, senza veri partiti, senza quel vero partito dove si discuteva fine a notte fonda, dalle sedi più sperdute e periferiche del Paese fino a Piazza del Gesù,…………. mentre la democrazia, la solidarietà,  la civiltà politica cresceva con gli italiani, nel solco seminato da Don Sturzo cent’anni prima.
Martinazzoli non c’è più. Il popolarismo, forse si! Quel partito potrebbe rigenerarsi, certo in forme diverse, ma con lo stesso impegno di cristiana profondità e umano confronto. Sono in tanti ad accorgersi, oggi, che il Paese ne avrebbe bisogno.
Domenico Spina Diana