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Puglia/ Mafia, il dossier choc 139 clan in 115 città. I dati contenuti nell’ultima relazione della DIA

Una fitta ragnatela criminale che non risparmia nessun angolo di Puglia da nord a sud, una campagna di conquista avviata in piccoli e grandi centri: nelle città che occupano un ruolo di rilievo nella vita sociale, politica ed economica, ma anche in paesi apparentemente marginali e invece preziosi per la gestione di territorio, affari e consenso. Ecco lo scenario che affiora dall’ultima relazione presentata al Parlamento dalla Direzione investigativa antimafia sulla criminalità organizzata pugliese, cosche che si contendono il territorio e perseguono mire espansionistiche attraverso una massiccia campagna di reclutamento. Che passa anche dall’arruolamento occasionale di gruppi di fuoco utili per dettare la legge del terrore a colpi di kalashnikov.
La realtà raccontata dalla Dia nel dossier (riferito al primo semestre 2017) racconta un inquinamento criminale presente in tutta la regione. Non ci sono eccezioni, non ci sono isole felici. Al contrario, incrociando i dati raccolti dagli investigatori viene fuori la reale dimensione di un fenomeno troppo a lungo sottovalutato a livello politico. I clan attivi in Puglia sono 139, 44 sono presenti a Foggia e provincia, 35 nell’area di Bari, 10 in quella di Brindisi, 24 in quella di Taranto, 13 in quella di Lecce, sempre 13 nella Bat. Ma non è tutto. Perché nel rapporto della Direzione investigativa antimafia ci sono luoghi e numeri, ci sono mappe in cui è tratteggiata graficamente un’offensiva criminale che prosegue da decenni nonostante i colpi subiti a livello giudiziario.
Dal dossier emerge che sono n5 le città pugliesi in cui è segnalata la presenza di cosche o comunque gruppi legati alla criminalità organizzata: in questa mappa ci sono i sei capoluoghi di provincia ma anche altre 109 città (27 in provincia di Bari, 10 in provincia di Taranto, 20 in provincia di Foggia, 36 in pro-vincia di Lecce, 16 in provincia di Brindisi), una vasta fetta del territorio pugliese dove l’inquinamento criminale è certificato da elementi concreti scolpiti nelle operazioni degli investigatori e nella storia processuale della regione. Quello pugliese si conferma uno scenario frastagliato, caratterizzato da equilibri traballanti e alleanze destinate a evaporare nel giro di pochi mesi, una caratteristica che accomuna da tempo le varie frange della cosiddetta «quarta mafia» che in realtà è un arcipelago di cosche in grado di mettere in campo un volume di fuoco impressionante: armi da guerra imbracciate da batterie di soldati reclutati di volta in volta dalle cosche, gente che non viene affiliata ma soltanto pagata e arruolata dalle organizzazioni a seconda dello scenario del momento, gruppi utilizzati come mercenari dai boss che dettano le grandi strategie. «Gli equilibri tra le varie fazioni – dice il comandante della Dia di Puglia, Vincenzo Mangia possono cambiare rapidamente, questo è un contesto in cui gli alleati possono divenire nemici da un momento all’altro». Nel rapporto della Dia ci si sofferma sulla situazione di Bari. «Nel capoluogo di regione – scrivono gli investigatori – il panorama criminale continua ad essere caratterizzato dall’assenza di un organo verrticistico condiviso e dall’operatività di agguerriti gruppi criminali». Nel dossier si sottolinea come le cosche non abbiano problemi ad avviare campagne di reclutamento e a consolidarsi sullo scenario criminale attraverso nuove alleanze. Le varie fazioni seguono strategie differenti: «In alcuni casi – spiegano gli investigatori – c’è una verta diffidenza a procedere con nuove affiliazioni mentre ci sono invece organizza rioni che puntano su un ampio arruolamento per infoltire i ranghi». Nel dossier viene tracciata la mappa della criminalità organizzata barese in cui occupano un ruolo di primo i clan Strisciuglio e Parisi. Ma lo scenario è molto complesso e si sottolinea la pericolosa situazione della provincia, in particolare ad Altamura e Bitonto. Gli investigatori prendono in esame l’intero scenario pugliese, in cui quella di Foggia affiora come la zona maggiormente a rischio. «Il quadro – è scritto nel rapporto – si presenta complesso ed instabile con dinamiche che risentono dell’operatività di sodalizi mafiosi». Nella relazione si sottolinea «l’abbondanza di giovani leve, a volte estranee a contesti di criminalità organizzata ma che si prestano comunque ad attività funzionali al perseguimento degli scopi illeciti». «Rilevano altresì – si legge ancora nella relazione – la massiccia presenza di armi e il forte legame dei sodalizi con il territorio che favoriscono un contesto omertoso e violento». I riflettori degli investigatori sono puntati sugli affari. Quello più redditizio per le cosche resta il traffico di droga, che consente di intrecciare alleanze o scambi di affari con le altre grandi organizzazioni mafiose del Sud Italia: La strategia dei clan è però mirata alla conquista del tessuto sociale ed economico. Non a caso nel dossier sono ricordati con allarme gli interessi nel truismo e nel settore degli appalti. Insomma, nel mirino ci sono i nuovi business. Anche quelli dalla facciata pulita e rassicurante.

Bepi Castellaneta
Corrieremezzogiorno

 

 

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