Controlli antitrichinellosi eseguiti soltanto su metà delle carni di cinghiale consumate in Italia (studio dell’Istituto Zooprofilattico di Piemonte, Liguria e Valle d’Osta del marzo 2017), ma per la radioattività, nella maggior parte delle regioni italiane, i controlli non ci sono affatto. Il problema degli ungulati radioattivi per effetto del disastro nucleare di Chernobyl, problema posto dai numerosi capi contaminati riscontrati dal 2013 in Piemonte (Valsesia e Ticino), per le regioni dell’Arco Alpino viene affrontato dal piano di monitoraggio della radioattività del ministero della Salute, per tutto il resto del Paese vale la Raccomandazione della Commissione n.274 Ce del 14 aprile 2003 di controllare appunto «selvaggina, bacche selvatiche, funghi selvatici e pesci carnivori» per eventuali contaminazioni da cesio, l’isotopo radioattivo sparso nel mondo
dalla centrale russa. Quante regioni lo fanno? Non la Puglia e la Basilicata, come conferma il responsabile del Centro di referenza nazionale per la radioattività dell’Istituto Zooprofilattico di Puglia e Basilicata, Eugenio Chiaravalle. Le carni dei cinghiali che vagano sempre più numerosi nel territorio pugliese e lucano (molti importati per il ripopolamento a scopo venatorio proprio dall’Europa dell’Est) sono sottoposte ai controlli contro la trichinella, ma non per la radioattività e l’Izs, pur avendo competenza e strumentazioni necessarie, non può fare questi controlli spontaneamente. L’ultima e unica verifica anti-radioattività sui suini consumati nelle due regioni, ricorda Chiaravalle, è avvenuta anni fa sulle carni di quattro cinghiali abbattuti in Basilicata, risultate esenti da 4 contaminazioni di cesio.
A. Lang.