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Puglia/ Dopo i tagli alle prescrizioni, Farmaci, stop sprechi anche negli ospedali. La Regione: risparmiare 70 milioni puntando sui “generici”.

Le misure straordinarie di contenimento della spesa farmaceu­tica sono partite dalle farmacie. Ma ora tocca agli ospedali, che dovranno risparmiare almeno 70 milioni l’anno ricorrendo in maniera marcata a ge­nerici e biosimilari e introducendo strategie mirate per le prescrizioni.

Lo prevede una delibera della giun­ta regionale che ha effettuato la ricognizione di quanto e soprattutto come si spende per i medicinali ospe­dalieri: parliamo di 676 milioni di euro, nel 2017, dai quali sono esclusi i farmaci innovativi oncologici coperti da un fondo ad hoc. Di questa somma quasi un terzo (poco meno di 180 milioni) è destinata ai farmaci an­titumorali, altri 145 milioni agli immunosoppressori, 53 agli antiemor­ragici e 45 agli antitrombotici. Non si tratta, ovviamente, di limitare l’accesso alle cure. Ma, in analogia di quanto è già stato fatto per le prescrizioni dei medici di base, bisognerà da un lato garantire l’uti­lizzo dei farmaci in base alle linee guida e, dall’altro, sfruttare meglio il potenziale di acquisto del servizio sanitario regionale: ovvero indicendo gare d’appalto aggregate per ottenere sconti maggiori sulle forniture. Tut­tavia l’istruttoria condotta dall’asses­sorato alla Salute ha fatto emergere, in analogia con quanto avviene per i medici di famiglia, un fenomeno tutto pugliese: «Pur essendo disponibili scelte a minor costo di altre, identificabili per lo più in molecole far­macologiche a brevetto scaduto (farmaci generici/biosimilari) all’interno di una stessa categoria di terapeutica, il trend delle prescrizioni mediche della Regione Puglia, rispetto alla media nazionale, è maggiormente orientato verso le scelte te­rapeutiche a più alto costo, determinando il mancato rispetto dei tetti di spesa definiti dallo Stato per l’acquisto diretto di medicinali». Insomma, anche in ospedale si tende a ricorrere al «griffato» anche quando esiste un generico equivalente che costa di meno. Stesso discorso per i farmaci bio­logici, quelli che costano di più in assoluto. A marzo l’Aifa (l’Agenzia del farmaco) ha chiarito che, ferma re­stando la responsabilità di scelta del medico, è ammissibile l’intercambia­bilità tra farmaco originario e far­maco biosimilare, e questo «tanto per i pazienti naive quanto per i pazienti già in cura». Vuol dire che anche chi è già in trattamento con un biologico «originale», e che fino ad ora per le vecchie linee guida aveva una sorta di diritto a proseguire, può essere trat­tato con il corrispondente farmaco biosimilare. Un esempio: una cura con l’infliximab (che si usa ad esem­pio per l’artrite reumatoide) costa circa 1.000 euro al mese, mentre uno dei corrispondenti biosimilari ha un costo inferiore del 30%. E oltre a un risparmio di spesa, il ricorso al bio­similare può garantire a un maggior numero di pazienti la possibilità di essere trattati con un biologico. Spetterà ai direttori generali met­tere in pratica le iniziative di con­tenimento della spesa farmaceutica negli ospedali. Puntando, tra l’altro, anche su strategie di prescrizione che privilegino «l’uso di medicinali con maggior rapporto costo/efficacia»: si tratta, soprattutto nel caso dei trat­tamenti contro il tumore, di iden­tificare le strategie migliori mettendo allo stesso tavolo medici farmacisti. In altre Regioni (ad esempio l’Emilia Romagna) lo fanno da oltre un de­cennio. Ogni centesimo risparmiato sulla spesa farmaceutica, peraltro, verrà destinato al finanziamento delle nuove assunzioni.