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Mons. Accarisio e il disastro della Meteorite a Vieste

Il 31 maggio dell’anno 1646, due ore prima dell’alba, Vieste venne scossa da un fragoroso boato e da un terribile sussulto, che fece crollare di colpo centinaia di case. La popolazione terrorizzata si riversò nelle vie polverose e ingombre di macerie e cercò scampo fuori delle mura. Le grida, i pianti, le invocazioni strazianti, il chiamarsi e l’abbracciarsi, il correre, incespicare e rialzarsi, il sentirsi schiacciati dal crollo di un muro o di una grondaia, il panico di restare bloccato per sempre in casa, in una strada cieca o sotto il cumulo di pietre, era la scena terrificante vissuta da chi, per sua fortuna, era rimasto in vita..

Ancora più agghiacciante e spaventevole dovette essere lo scenario che si presentò all’improvviso ai due soldati, Francesco Pirra, spagnolo, e Antonio Ruiz, che montavano di guardia sul torrione del castello. Essi raccontarono che alle prime luci del giorno ” parte di Puglia (cioè dal versante Sud-Ovest) si vidde venire infocato trave di foco verso questa città per firmarsi in una collina detta Santo Salvatore a vista del Castello, e nel medesimo tempo dalla parte di mare (cioè da Sud-Est) venire una nuvoletta bianca, ch’avicinandosi a detto infocato trave, di subbito sollevassi un fremito grandissimo e caggionossi il terremoto…

Non poteva che trattarsi di un meteorite abbastanza grande, forse della specie dei bolidi, mentre la nuvoletta doveva essere un suo frammento disgregatosi e polverizzatosi a contatto con l’atmosfera..

Non bisogna, però, lasciarsi ingannare dalle strisce luminose, dette stelle filanti che di notte appaiono sulla volta celeste, perché riportano un nome molto improprio. Le stelle, infatti, non hanno nulla a che fare con questi razzi luminosi, essi non sono altro che frammenti di materiale astrale, relativamente piccoli, abbandonati nell’infinità dello spazio, forse dal nucleo di velocissime comete, o lanciati fuori della propria orbita da altri pianeti per effetto di cataclismi o di colossali eruzioni vulcaniche. Possono anche essere o assomigliare a minuscoli pianeti, dal peso di poche tonnellate, che, seguendo la loro propria orbita, per un determinato loro impulso, finiscono con entrare nell’orbita di attrazione della Terra. Una volta penetrati nell’atmosfera terrestre, si ha un terribile impatto e, con il conseguente attrito, diventano roventi ed incandescenti e, man mano che cadono, vaporizzano o si polverizzano, dando l’illusione, con la loro luminosità, di essere una stella che percorre a grande velocità una parte del firmamento.

Se, invece, questa massa voluminosa attraversa l’atmosfera rombando e scoppia con l’avvicinarsi alla Terra, o addirittura si infrange sulla crosta terrestre, essa viene detta bolide o anche semplicemente meteorite. Resti di questi meteoriti, sia dalle grandezze enormi che da piccole schegge, da pesi di tonnellate a quelli minimi di etti, se ne trovano conservati in molti musei sparsi in tanti Stati del mondo.

Fu proprio uno di questi bolidi o meteoriti che si infranse sull’alta scogliera rivolta ad Est, su cui si affaccia il Castello e gran parte del paese, causando a sua volta un terribile terremoto, che ebbe ripercussioni su tutto il Gargano.

Venne avvertito anche a Foggia. Ecco come lo ricorda, nei suoi appunti, p.Gabriele da Cerignola, eminente studioso dei Cappuccini: “ el’ultimo giorno di maggio ad bore sette di notte seguendo la mattina la solenniss(im)a festività del Corpo di Cristo, fu un terremoto così fiero, e veemente che scosse tutta la Puglia et io che mi trovavo in Foggia, ragionevolm(ent)e dubitai dì restar oppresso dalle pietre perché dove da principio il moto fu concutiento poscia con forza mag(gio)re divenne fluttuante et agitando il luogo a guisa di culla smorzommi la

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1 RELAZIONE FAZZINI, di sette pagine, datata 2 luglio 1646, conservata nell’Ardi. Prov. dei PP. Capp. di Foggia con la sigla Ms E 27, estratto da P. GABRIELE da Cerignola,, Raccolta di fogli scritti da fonti vai e riguardanti argomenti diversi, parte IL Fo 170.

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lucerna che appesa al muro tenevo accesa in cella et alla fine con veemenza più grande si fé sollevante che par ne dovesse spiantarlo da fondamenta e buttarlo altrove…

L’origine di tal moto proviene da Monte Gargano soggetto per le concavità delle sue viscere (…) e massime da parte da punta di Vieste, la qual città patì grandissima rovina, et il Castello, rocca fortissima, sopra dura pietra edificato andò sossopra in un tratto colla morte di un centinaio di persone che vi abitavano.. 2

Tutte le altre terre della Montagna furono da q(ues)to terremoio scosse e quasi diroccate, come Peschici, Ischitella, Rodi, Carpino, San Meandro, San Giovanni Rotondo, Santo Mar cuccio, Rignano e Monte S. Angelo in qualche parte…

Particolarmente a Vico la cascata degli edifìci fu quasi universale. Ivi il nostro luogo (convento) bellissimo di fabrica alla moderna andò per terra, solo un dormitorio restò in piedi…”3

I danni a Vieste furono ingenti a cominciare dallo spaccamento della falesia, che doveva essere almeno di una decina di metri larga e di oltre venti metri lunga, trascinandovi a mare la torre Sud del Castello, il casermaggio dei militari e parte della Chiesa dell’Immacolata. Crollarono anche le due torri laterali, quella ovest rivolta verso la collina di S. Margherita e quella Est, verso la Puglia. Vennero abbattute anche tutte quelle case che erano fra il Castello e la Cattedrale. Di quest’ultimo crollarono il campanile, la facciata centrale, la cappella dell’Università, ove ora è riposta la statua di S. Maria di Merino, la cappella dei Pantalei, la cappella del Battistero e la volta centrale. Di fronte l’Episcopio, fu ridotto ad un ammasso di pietrame, distruggendo tutti i mobili del vescovo e l’archivio diocesano.

Subirono gravi danni anche il Convento di S. Francesco dei Conventuali, la Chiesa di S. Simeone con l’Ospedale, il Convento e la Chiesa di S. Marco dei PP. Celestini e la Torre di S. Croce sopra il porto, senza contare le centinaia di case ridotte a macerie o con lesioni gravissimi.

Due anni prima, per rinuncia di mons. Paolo Ciera, venne nominato vescovo di Vieste Giacomo Accarisio. Era costui persona brillante, ben preparata: si era addottorato a Bologna in teologia e venne subito apprezzato per gli studi umanistici e di erudizione, tanto da ottenere prima la cattedra di eloquenza a Mantova e successivamente quella della Sapienza, di Roma. Ricoprì anche l’incarico di Inquisitore del Santo Uffizio. Senz’altro si sentì appagato, quando il 17 ottobre 1644 Innocenzo X, lo consacrò Vescovo di Vieste.4

Qui dimostrò subito la sua preparazione culturale e dette nuova linfa all’attività episcopale con l’indicare le grandi vie della redenzione e dell’apostolato. Inoltre,, non perse tempo nell’immettersi nella stessa scia dei suoi predecessori, specie nel preparare la Relazione da presentare a Roma per la Visita ai Sacri Limini non aspettando neanche la scadenza del suo primo triennio. Con questa anticipazione di un anno, mons. Accarisio mirava senz’altro di poter entrare nelle grazie della Congregazione dei Cardinali e far carriera. Però di questa sua Relazione non se ne trovano tracce nell’Archivio Segreto del Vaticano, forse perché appena arrivato a Roma gli giunsero le scioccanti e terribili notizie del disastro avvenute nella sua Diocesi causate dalla caduta del meteorite e dal conseguente terremoto. Indubbiamente la Relazione non fu presentata perché non corrispondeva più a quanto aveva preparato per i Sacri Limini.

Era inebetito, aveva perduto tutto: ora era misero e povero e non possedeva più niente, casa, rendite, paramenti e arredi sacri, biblioteca, archivio e né poteva officiare in Cattedrale e nelle altre chiese, ormai tutte fatiscenti e inutilizzabili,

[1]              Si è evitata la trascrizione dei tanti personaggi deceduti sotto le macerie.

[1]              GABRIELE DA CERIGNOLA, La fondazione del luogo di Vieste della nostra Provincia dei Cappuccini di S.

Angelo… Manoscritto E24, in Archivio dei Frati Cappuccini di Foggia e (in fotocopie) nella Biblioteca Prov.

Dei Frati Cappuccini di Foggiala, relativo alla Tavola delle cose rilevanti, fo 50. cfr. SIENA M., Il convento dei Cappuccini di Vieste, Parrocch. SS. Sacranebto, Vieste 1993, PP. 61-67.

[1]              GIULIANI V., Memorie storiche, politiche, ecclesiastiche della città dì Vieste, Napoli 1768, pp. 139-141.

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A differenza del suo predecessore, mons. Paolo Ciera, che si rifiutò di restare a lungo a Vieste, perché cagionevole di salute in zona molto disagevole, Accarisio, che era all’inizio della attività episcopale, non sapeva ora come comportarsi: né poteva né voleva abbandonare la sua Diocesi in balìa di tanto flagello.

Anche stando a Roma, queste disastrose conseguenze, sopravvenute all’improvviso, non lo confortavano né gli aprivano uno spiraglio in questo difficile e terribile dilemma. La pochezza dei mezzi economici gli impediva di avviare e completare l’indispensabile opera di ricostruzione degli edifici sacri distrutti e lesionati non solo per sé, anche per i presuli che dovranno succedergli negli anni venturi. E sperando di avere conforto anche dalla Congregazione dei Cardinali, chiese allora al suo Vicario, il primicerio Natale Fazzini un’ampia relazione, che a grandi linee qui in appresso, si riportano, i passi più significativi:

Illustrissimo e Reverendissimo Sig(no)r e P(ad)re mio Col(entissi)mo,

Doppo tante relationi ancorché brevemente e succintamente havessi fatto a V(ostra) Signoria) Ill(ustrissi)ma del duro caso succeduto in questa città di Veste del terremoto l’ultimo giorno del prossimo passato mese di maggio un ’hora avanti giorno a tempo che la città sì preparava con letitia universale la festa del S(antissi)mo Corpo di Christo e celebrare a gl(ori)a, et esaltat(ion)e di S(ignor) D(io) M(isericordioso), di nuovo mi comanda che ne li facessi distinta relatione. Dura e monstruosa cosa mi comanda, Ill(ustnissi)mo S(igno)re, e mi esageri l’borrendo spettacolo e non più udito giud(iti)o alla mem(ori)a mentre che al soprad(ett)o tempo (per dar principio al duro caso) si vidde prima della caduta di q/sta città predetta, che fu alle 2 hore incirca. Bella non più così f(elicement)e V(ostra) Signoria) Ill(ustrissi)ma la rappresentava, ma afflitta, e disfatta e sconsolata Veste.

Dalla parte di Puglia si vidde da soldati che facevano la sentinella nel Castello, e da molti altri di d(ett)a città venire infocata trave di foco verso detta città per firmarsi in una collina detta S(an)to Salvatore a vista del prenarrato Castello, e nel medesimo tempo dalla parte di mare venire una nuvoletta bianca, eh ’avicinandosi a detto infocato trave, di subito sollevossi un fremito grandiss(im)o e caggionossi il terremotp predetto che in descrìvere il sonito, scassi, fracassi, che faceva vengo meno per il dolore et in passare più oltre non mi posso contenere dalle lagrime, et in un istante, Illustrissimo S(igno)re, si vidde detto Castello già piantato sopra d’un monte di viva pietra sopra del mare cadere a terra da fondamenti con tutte le case, sì d’officiali come di soldati, e rivolgerli sottosopra dimodoché non si conosce dove fossero state piantate e nel med(esi)mo tempo buttò a terra da ’fondamenti il nuovo torrione seu belluardo fatto a cavalliero a punta di diamante dalla parte di mare, come ancora la torre contigua a detto belluardo con tutte le case site verso la città; e così anco ha maltrattato il torrione fatto del modo soprad(ett)o che sta dirimpetto alla collina di S(ant)a Margherita, dalla parte di S(ant)a Maria delle Gratie spezzandolo quasi fino a terra; non v ’è rimasta cosa salda fora che il torrione grande5 et il mag(gior)e con tutte l’artiglierie farsi per mem(ori)a solo d’essere stato colui che resiste ’, cento anni sono, a novicento settanta doi colpi di cannonate che li tirò Dragut Raiis, Generale dell ’Armata del Gran Turco, che venne sopra di d(ett)a città senza dannìfìcarlo in cosa di considerat(ion)e. …

E’salva la mem(ori)a di questo torrione, tutto il remanente c’à tr(avol)to del modo pred(ett)o con la morte di ottantaune6 persone fra grandi e piccoli fra i quali il S(igno)r Castellano Don Ferrante Cobos della Cueva con sua suocera, con sette figli e con tutte le serve e creati suoi. Viva solo è remasta D. Lucretia Cessa sua moglie gravida di otto mesi, ma si bene malissimamente maltrattata che cadendo dalla cima delle sue case fino in terra con tutto il letto e trabacca, che ritrovandosi di sotto la d(ett)a trabacca con due suoi figlioli, che con lei dormivano fu preservata dalla morte con detti due suoi figli per miracolo evidente di N(ostro) Signore)Dio. Don Pietro Cascante, tenente, morto con sua moglie, figli e creati. Il sergente Don Gìo. de Loays morto con tutta la famiglia, e così tutti l’altri come disopra;

[1]              Trattasi della torre rivolta a Nord)

[1]              Per la precisione sono 84 i morti del Castello

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forchè di un soldato, nomine Gregorio della Cueva, che doppo quattro giorni fu cavato dalle pietre vivo da sotto il corpo di guardia di d(ett)o Castello cascato similm(ent)e, che s’è mantenuto vivo solo con il lombare faceva fra d(ett)o tempo, una carica d’archibuggio che a caso li venne in mano. E successivamente ha spezzato il forte di S(an)ta Croce fondato sopra il porto di d(ett)a città fin al cordone.

E venendo al particolare di d(ett)a città non dico altro che pareva il giud(iti)o Un(iversa)le. Non sentivasi se non pianti, gemiti, lamenti. Chi piangeva il padre e chi la madre, chi il marito e chi la moglie e figli e senza più decoro del loro stato andavano tutti per la città per dove se poteva caminar ancorché dijficilm(en)te exclamando perdono de suoi peccati e misericordia a Dio, abbracciandosi l’uno a l’altro con ogni humiltà, remettendosi a gare l’uno a l’altro le loro offese e gare e punti che fra loro havevano hauto per il passato, né sì sapeva per l’horrore e spavento e confusione dove andare né che fare.

La città è tutta a terra, quasi e senza quasi più delle poche case che sono remaste in piedi sono maltrattate, et aperte eh’è necessario buttarle a terra, et particolarm(en)te il Palazzo di V(ostra) Signoria) Hl(ustrissi)ma che non vi è remasta se non l’anticamera, et con un ’altra appresso sita sopra il trappeto, ma così aperte che sono inhabitabili. E quanto più grande sono state le case tanto più facilm(en)te sono cadute.

La Cattedrale Chiesa di V(ostra) Signoria) Illustrissima a t(er)ra, già fondata tanti anni sono dal gran Federico Barbarossa il primo7. Il Convento e Chiesa di S. Francesco tutto a terra, il Monastero di S. Marco con la Chiesa tutto a terra con la morte d’un monaco nuovamente venuto per stanza. L’ospìdale tutto a terra. Solo è in piedi il Convento e la Chiesa de ’ P(ad)ri Capuccini e la Ch(ieset)ta e Convento de ’ P(ad)ri del Carmine e di S.Maria delle Grafie site fora la Città, ma però non      fìssure per miracolo

solo divino, atteso tutti l’altri edificifche stavano fuor a di d(ett)a città similm(en)te sono cascati. E non si vedono per la città alta che monti di pietre per le strade. Lì morti oltre di quelli del Castello nella città sono stati di duecento quarant ‘otto’fra grandi e piccoli fra quali il can(onì)co D. Ant. de Nittis. De ’ semivivi cavati fiuora della ruina è il rev. dottor D.

Antonio Pantaleo archid(iaco)no e il can(oni)co D. Gio. Quaquarella, et il rev. D. Vinc. Marielli e li feriti furono assai che non se ne può dare conto certo, ma tutti per grafia d’iddio sanati.

Qui si vidde la carità de ’ P(ad)ri Capuccini, andare per la città confessando e soccorendo al bonmorire i moribondi, consolando l’afflitti e feriti, et agiutando a tutti con affetto, e carità, et i semivivi animando all’amore div(in)o in maniera tale ricevevano che si scemava in parte lo dolore cagionato da simile sciagura, e si sentivano molto assai alleviati da tale pressura.

E noi tutti vivendo fora la città in baracche per timore e già ciasched’unt\ s’accingeva de ritirarsi in la città per vivere in li cellari e cantine eh ’erano remasti in piedi al basso per fuggire l’ardore del sole e del sabbione dove stavamo e del sereno della notte, ….

Dilché può giudicare V(ostra) Signoria) Ul(ustrissì)ma in che stato ne ritrovassimo all’hora, et in che pianto e dolore tutti universalm(en)te,            

Nondimeno non restassimo di far la processione… scalzi col portar il S(antissi)mo Sacram(en)to al Convento di detti P(ad)ri Cappuccini fora la città, il quale ha patito poco come dissi di sopra et ivi pigliassimo la (^..statua?) della S(antissi)ma N(ost)ra S(igno)ra tanto miracolosa dove l’havevamo portato per prima per preservarla dalla caduta della V(ost)ra Chiesa e la portassimo nella Chiesa di S.Gio. Batt(ist)a, quale similmente ha patito poco et ivi la collocassimo e vi esposimo il S(antìssi)mo Sacr(ament)o, facendo l’hore notte e giorno, sempre in or adone, pregando N.S. ne liberasse da tanto fiaggello; e standono quasi per andare altrove la maggior parte del popolo la vigilia di d(ett)o Santo noi facendono animo al popolo andassimo la notte medesima alla d(ett)a Chiesa di d(ett)o S.Gio. Batt(ist)a,

[1] Non si tratta di Fedcìico Barbarossa, ma senz’altro di suo nipote Federico II, Imperatore di Puglia e di Germania, che fece restaurare il castello e la cattedrale nel 1239 (o 1240) dopo l’incursione a Vieste operata dai Veneziani,.

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 dove officiamo ordinariam(en)te per non haver altro luogo, et ivi orando, et esclamando, e disciplinando tutta la notte con lagrime di sangue il brav(issim)o n(ost)ro Archid(iaco)no Ani. Pantaleo sermoneggiando al popolo sino che venne il giorno più bello e chiaro che non era stato prima, salvandoci N.S. ad intercessione di Sua M(ad)re e di d(ett)o S.Gio. Batt(ist)a da tanta calamità ed afflit(io)ne.

Né lascierò di riferire anco a V(ostra) Signoria)       come otto giorni doppo

successe detto terremoto, si sollevò fama che nel nono giorno haveva da essere un altro terremoto come al primo, a causa che s’era osservata, che sempre nei giorni spari s’era sentito il terremoto grave come nel 3°, 5° et 7° giorno.

E così si giudicava da per sè di non poco giuditio, havesse da conrispondere al nono giorno, facendo paragone dei quattro temperam(en)ti di che è composto l’hu(nivers)o che chiamano Micogrosmo8; alti quattro temperam(en)ti dice è composto il mondo, che si come l’hu(nivers)o patisce più nei giorni spari stando infermo’ che nel’altri, così il mondo pred(ett)o al nono giorno s’havesse a sentire come il p(ri)mo, il d(ett)o terremoto, soggiungendo di più l’osservanza che così haveano fatto, osservato in altri luoghi dove era successo altro terremoto per il che ne stavamo afflitti e sempre col timore della morte sopr(attutt)o quando all’ottavo, la notte precedente al nono, ad bore due incirca di notte, in un istante venne un sonito grande dalla parte del mare con un fremito di vento furibondo, che parea di voler buttar in terra ogni cosa che come stavamo col timor pred(ett)o vigilanti, di sub(it)o si levorno tutti con fuochi e lumi accesi e cercavamo misericordia a Dio, ne liberasse da tanto flaggcllo che pareva voler essere la totale fine di q(ue)sta città; da tutte le barracche non si sentivano altro che a gara cantare le litanie et orat(io)ni, con cantare il Rosario a coro e pianti, alla div(in)a miserie (ordì) a, liberarci da d(ett)oflaggello con far cessare detto vento, che non durò più di mezz ’hora, e svanì come cosa non successa mai          

Più dirvi di q(ue)lla n(ost)ra già e prima di tutte l’altre della Montagna del Gargano, città di Veste (…) disfatta, ma mi vedo lungo assai, per non tediarla faccio fine, con farli humilm(en)te riv(erenz)a.

Da Veste 2 di Luglio 1646.

Per V(ostra) Signoria) Illustrissima

Aff(etionatissi)mo servo D. Natale Fazzino Prim(ice)rio9.

Moms. Accarisio, forse su suggerimento di qualche personaggio amico, prese coraggio e fece circolare questa Relazione fra i Cardinale, anche in quelli della Congregazione Concistoriale, chiedendo la soppressione della sua Diocesi e, contemporaneamente “offriva le proprie dimissioni senza condizioni, cioè rinunciando, a chiedere in cambio una sede episcopale migliore o una cospicua pensione”.10

La proposta, presentata subito a suo nome è la seguente:

Alle Em.mi e Rev.mi Sig. Card/li della Sacra Cong/ne Concitoriale

Particolarmente al Ser(enissi)mo Sig. Card. D’Este

Per Mons. Giacomo Accarisio, bolognese Vesc(ov)o di Viestri luogo solo senza Diocesi alc(un)a alle radici del m(on)te Gargano, et hora rumato dal terremoto che tutt(avi)a dura gettando le altre case a terra con pericolo, e morte evid(den)te di chi l’habita.

Sup(pli)ca che si degnino considerare l’EE. W. le cause della Rinuntia o Unione.

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[1]                      E’ corruzione di Microcosmo, ritenuto composto di aria, acqua, terra e fuoco.

[1]              Estratta da P. GABRIELE DA CERIGNOLA, in Raccolta di fogli scritti da frati e riguardanti argomenti diversi, parte II, fo. 170, in Archivio Storico dei Cappuccini, Foggia., cfr. SIENA M., Il convento dei Cappuccini di Vieste, Parrocch. SS. Sacranebto, Vieste 1993, pp.135-141.

[1]              SPEDICATO M., Sancta Infelix EcclesiaLa diocesi dì Vieste in età moderna (1555-1818), Conte Ed. Lecce 1995, p. 16.

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Inoltre fu fatto pervenire a ciascun Cardinale il seguente biglietto, perché ognuno venisse messo a conoscenza sulle motivazioni della soppressione dell’accorpamento ad altra Diocesi e si regolasse sul da farsi.

Ser(enissi)mo e Reverentissimo Signore

Per l’infortunio del terremoto che questa estate prossima alli 31 di maggio a sei hore di notte in Viesti luogo alle radici del Monte Gargano, terra sola e senza alcuna diocesi immaginabile ruinò la Chiesa Cattedrale, la casa del Vesc/o assorbendo tutto quel povero mobile et ogni altra cosa che ci era de novo. E perde all ’hora stessa ancor in quel luogo miserabile restarono atterrate et spianate tutte le povere chiese di detta Terra, cioè S. Franc/sco dei Minore Conventuali, S. Marco dei Celestini e S. Simeone senza lasciar pietra sopra pietra, come anche restò atterrato e spianato il Castello con la maggior parte di quella Terra col restarvi sotto in quella notte colà sepolti, e morti più di 200 persone, et più d’altri 200 malamente feriti con gran diminuzione delle poverissime rendite di quel tenuissimo Vescovo e sono mancati i censi sopra le case cadute che erano la più ferma rendita che havesse quell ’infelice vescovo fuggendo molti e lasciando incolte le campagne, e tuttavia continuano i terremoti in quel luogo con grave danno e con evidente pericolo di hoccidere se stesso inhumanamente chiunque va ad albergar in quel luogo. Perciò la Santità di N. S. per provedere et alle reliquie di quella Terra et a mons/r Giacomo Accarisio vescovo di essa, il quale hora trovasi in Roma ad visitare Limina, ha ordinato che nella presente Congregazione Concistoriale i Sig. Card/li di detta Congregazione considerino come si possa provedere opportunamente. Perciò mons. Accarisio in questo stato calamitose supplica la pietà di V.S. ad aiutarlo insieme con i sig. ri Cardinali che sono di detta Congregazione

Da questa riunione avvenuta ai primi di agosto, i Cardinali non raggiunsero alcuna decisione circa la sopravvivenza della Diocesi. In questo frangente si insinuò anche con una dettagliata memoria, ma con specifico interesse, anche l’Arcivescovo di Manfredonia,

Antonio Marullo, proponendo l’immediata soppressione, ”in virtù riveniente dal ruolo di metropolita, suggerendo, le necessità di arrivare in tempi rapidi ad un accorpamento della – sede viestana con quella sipontina“ e adducendovi, come giustificazione, l’inconsistenza demografica, la povertà delle risorse economiche per avviare la ricostruzione degli edifici sacri distrutti, la mancanza di una residenza, seppure un piccolo ricovero e i continui pericoli in cui si potevano incorrere a causa della “miniera salnitrosa” che causava di tanto in tanto terribili terremoti11..

La proposta di mons. Marullo non venne presa in considerazione.

Per sollecitare una immediata soluzione verso la fine di settembre, fu lo stesso Accarisio, ancora residente a Roma, che chiese ai consiglieri diocesani una nuova relazione “     ”,

cioè giurata, di quanto era successo a Vieste.

Questa gli venne spedita il 3 ottobre 1646 e a grandi linee non faceva che ripetere quanto aveva già scritto il Fazzini, con l’aggiunta solo di questo paragrafo:

Alli 18 di 7(mbre) alli 23 hore due volte dal terremoto fu scossa cossi havendomo di nuovo vinti tutti et il mare, e monti vicini, che spaventati fuggivimo e caderno molte case. Alli 30 di detto mese di settembre caderono nove case e per le piogge e diluvio; che furono portati al mare molti vigne e case et fu un grandissimo, et irreparabil danno da grosso diluvio. Molti non vogliono né anche entrare nella n(ost)ra terra per paura di restarci morti per il non cessar li terremoti coll’esempio del s(igno)r Geronimo Franco Nap(olita)no Sopraintendente delle marine; il quale essendo venuto in mare vicino a Vesti fu invitato da un can(oni)co suo amico chiamato D. Ant(oni)o Nitis a venire ad alloggiare la notte in Vesti, quel gentilhuomo fece gran resistenza temendo gli infortuni; alla fine si lasciò indurre dì accettare l alloggio; et occorrendo una gran scossa di terremoto, tra molte altre quella casa restò tutta atterrata, et la mattina vi trovorono morti sotto il d(ett)o Can(oni)co e detto Geronimo Franchi. E

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[1] ARCH. SEGRETO VATICANO, Relationes ad limina, busta 867, FO. SIENA M.,o.c„ pp.145-147;

cfr. SOEDICATO M., o. c., pp. 16, 104, 138,139.

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dicono li periti che si è fatto una accers(io)ne sotto quello scoglio di Vesti di una materia bittuminosa, et sainitrosa che hora scema hora cala, ma sempre sta in qualche maniera viva.

E Dio volesse che questa miserabile terra di Vestì havesse qualche Diocesi, o luogo vicino dove potessimo ritirarci e star un poco sicuri. Ma V.S. Ill(ustrissi)ma sa meglio di noi che fuori di Vesti non ci è anche una casa, ne anche un tetto di Diocesi da ritirarci in cossi grande calamità che dura né sappiamo q(uant)o sia per durare.

Seguono le firme di d. Antonio Pantaleo, arcidiacono, d. Lorenzo De Angilo, arciprete, d. Carlo Conti, primicerio, D. Camillo Gramigna, canonico, d. Filippo Vecchio, can., d. Giovani Battista Grima, can. D. Antonio Santoro, can., e d. Donato di Martino, can.12

Era la sua ultima speranza. Ora non mirava solamente alla soppressione della sua Diocesi, ma si accontentava anche all’accorpamento ad un’altra, anche se fosse stata quella con l’archidiocesi di Manfredonia, già proposta dall’arcivescovo Marnilo. Si rivolse ancora una volta alla Congregazione dei Cardinale e dei Regolari, i cui porporati, in gran numero, si riunirono subito nella casa del card, Roma. Presero a cuore la triste posizione di Accarisio nel non poter vivere a Vieste, sempre soggetta ai, questi terribili terremoti “di quando in quando con manifesto pericolo continuò di andare ad uccider non solo se stesso inhumanamente e chiunque va ad habitare in quel luogo”.. Tutto questo, perché nel sottosuolo della città vi erano “vene di salnitro accese e durevoli, come consta per esperienza”

Infine i Cardinali decisero di rivolgersi ancora una volta a S(ua) B(eatitudine), il cad. Caraffa mettendo in risalto che non era una immediata “utilità alcuna di bene pubblico o necessità spi(irit)ule, potendosi in mille altri modi provedere            ”, si degnasse ancora una volta di

intervenire presso S.S, il Papa, in favore di questo sfortunato vescovo, che fu anche “continuam(ent)ee gravem(en)te ammalato durando le malathie per quattro e cinque mesi per la contrarietà come tutti dicevono di quell ’aria” e che egli era disposto a dimettersi senza porre alcuna condizione e accettando qualsiasi decisione che gli venisse offerta.

In quella riunione si è anche voluto ricordare che il Card. Caraffa, con i card. Lanti, Ginetti e Franciotti aveva già riferito al Papa la triste situazione di Vieste circa la proposta di soppressione della Diocesi, delle dimissioni di Accarisio.

Il Papa, però, prima di prendere in esame questa triste situazione, si riservò di sentire, come era antica prassi, il parere della S. Congregazione Concistoriale.

I Cardinali, comunque, sostennero di far intervenire ancora una volta Caraffa, sperando che questo suo nuovo intervento fosse foriero di speranza per la vita di mons. Accarisio e del futuro della Diocesi, suggerendo anche le seguenti motivazioni da addurre al Papa:

10Il continuo pericolo di restare sepolto il Vescovo sotto le case per i continuati terremoti in Vieste e questo est metus cadensin constantem virum (è il costante timore ad uccidere l’uomo).

2° – Ne questo di Viesti è caso simile al tempo della pèste,’perché gli appestati non possono evitare quel male, ma questo lo possono evitare andando altrove, e così se restano ivi imputino a se-stessi la temerità, vedendo che continuamente ne restano oppressi, eo terremur subire morte, quando non perit publicum bonum (a lui non fa spavento il subire la morte, quando esce di casa e sta col pubblico sano), questo caso potendosi remediare in mille modi senza il pericolo del vescovo.

3° – Massime sarebbe un occider se stesso inhumano modo, il che mai è ammesso neanche obfidei propagazionem (contro la propagazione della fede). E così tutti i Teologi Doctori dicono che ci volle una revelat(ion)e part(icola)re quando S. Apollonia si gettò nel foco perché facesse atto lecito.

4° –      E se ci fosse qualche p(er)sona degna facoltosa che in quelle parti vicine a Veste

habitanto in loco tuto posset oscevrere curam animarum eorum qui habitant in loco pericoloso (gli offra ospitalità, in modo che possa esercitare la cura alle anime che abitano in questo

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12 ARCH. SEGRETO VATICANO, Relationes adlimina, Ott. 1646; SIENA M, o. c. p. 141.

luogo pericoloso, come scrisse S. Agostino Ep. 23 ai g/to (?) tale la benignità di N. S. potrebbe conferire il Vesc(ova)to.            ,

5° – Secondariam(en)te un ’altra causa è una di rinuncia per d(ett)o mons. Accarisio, cioè la tenuità con che è rimasta la Chiesa perché le entrate sono diminuite i i censi delle case cadute tutti perduti, la Cat(edra)le caduta, la casa del Vescovo con quel poco mobile, e frum(en)to et orzo che ci era, perduto. Li coltivatori de terreni parte morti, parte fuggiti; e non più mons. Accarisio esercitar i Pontif(ica)li non ci essendo nissuna supelletile sacra da Vesc(ov)o in Vieste; ne maniera di Tribunali, ne prigione, ne Trib(una)le da esercitare la giustizia, et la cura delle anime ben(iss)mo la esercita un parochiano per(er)ché non ci sono persone da ordinare, ne da cresimare, gli altri sacramenti comunemente dicono i Dottori che Ep(iscop)us non h(ab)es obligat(ation)e immediate illa administrandi. (il vescovo non ha Pobligazione immediata di amministrarla).

6° – L’altra causa è la continua e graviss(im)a malathia che per undici e più mesi ha sempre tenuto in Vesti oppresso mons. Accarisio, e come è noto, e provato da tutti dicendo che ciò avveniva da quell ’aria sainitrosa, et accesa, e più volte fu in punto di ricever l’estrema untione.

7° – Un altro esped(ien)te sarebbe di unire Vesti con qualche altro Vescovato vicino conforme a Sacri Canoni. In cap,: sicut unire (nel capitolo: Come unire) et in cap. unio (nel capitolo. Unione), e poco tempo fa Clemente Vili, Gregorio XV e Paolo V et anche Urbano Vili fecero per queste cause unioni di Chiese come si vede in S. Angelo e Bisaccia, Sutri e Nepi, Scala e Panello, et molti altri,

8° – Mai se nell ’unione o per l ’opposit(io)e dell ’interessati o per altri rispetti ci foss(er)o delle rag(gio)ni da ponderare più lungam(en)te. Il Vescovo di Vesti costituito in così gravi pericolo cadentium senza bubio in constantem Virum, et in tante calamità sup(pli)ca T EE. (Eminenze) VV (Vostre.)

Aditer istruttorio si chiuse quasi subito senza una precisa decisione. Certo fu che di lì a poco tempo la Congregazione Concistoriale intimò a mons. Accarisio di lasciare Roma e di ^ tornare rapidamente in diocesi per ottemperare agli obblighi di pastore13..

Secondo il Giuliani, quest’ordine così categorico pervenne dallo Papa Innocenzo X, che si era accorto di una sua ambizione.14 Lo stesso Papa, di fronte alla totale inagibilità del palazzo vescovile, assegnò al Vescovo l’uso del monastero di S. Marco dei Celestini come provvisorio ricovero in attesa della ricostruzione degli edifici demoliti e lesionati dal terremoto.

Accarisio non si mosse più da Vieste, neanche per le triennali ad limina, Si dedicò alla ricostruzione della Cattedrale e delle altre chiese e incoraggiò gli abitanti a ricostruire le proprie case.. Nel frattempo aveva contratto una terribile malattia, probabilmente quella di una tisi polmonare galoppante, che negli ultimi tempi gli procuravano forti dolori al petto. Consultato i medici locali, gli consigliarono di allontanarsi dal mare e di andare nelle zone salubri del Gargano a respirare aria pura e amena. Si trasferì a Vico del Gargano, dove morì l’11 di maggio del 1653.

Non riuscì a ricostruire il palazzo vescovile, ma a questo provvide il successore, Giovanni Mastellone, nel suo decennio di vescovato a Vieste. Inoltre al suo primo ingresso a Vieste, si fece subito apprezzare dagli abitanti, per aver adomato e arricchito a sue proprie spese la Cattedrale non solo di vesti e suppellettili sacre, anche dei vasi di argento necessarie durante le funzioni religiose. Sempre a sue spese fece coltivare i poderi della Mensa abbandonati ed incolti, le cui rendite dovevano servire al risanamento ed abbellimento delle altre chiese ..

Matteo Siena

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                      SPEDICATO M., Sancta infelix ecclesia — La diocesi di vieste in età moderna (1555-1818) Conte Edit., Lecce 1995, p. 15/17.

                      GIULIANI V., Memorie storiche, politiche, ecclesiastiche della Città di Vieste, Salluzzo 1873, ristampa anastatica Forni Editore 1989, p. 168.

Ibidem, p. 171.

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