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Saverio Serlenga, è il fante del Gargano. Ultimo dei Mohicani. Da 30 anni in prima linea a raccontare la nostra gente.

L’importanza capitale che la comunicazione ha assunto ai nostri giorni rappresenta un dato di fatto incontrovertibile. Fino a qualche anno fa il giornalista era il veicolo delle notizie. Oggi, ne è soprattutto l’interprete. L’informazione è finita. Non il mestiere, non la professione –sia chiaro-, ma l’informazione. Questo naturalmente è un ragionamento di un ultimo “antico”, quindi sarebbe da prendere con le pinze, però più ci penso e più ne sono persuaso: l’informazione è finita causa eccesso di informazione. Paradossale, no!? È quello che ti insegnano al primo anno di economia: il primo cucchiaio di minestra ti salva la vita, il secondo ti nutre, il terzo ti fa piacere, ma, alla lunga, il decimo ti uccide. Ha vinto la comunicazione, il marketing.

Aggiungiamoci un altro aspetto. Articolato, ma sensato: non scrivere quello che si vede e non dire quello che si pensa, senza dimenticare mai che quello che si pensa non è la verità assoluta, visto che non c’è nessuna verità. La cosa peggiore che può fare un giornalista è non essere onesto. Oggi quanti scriverebbero una volta scoperta la mamma puttana che è puttana? Questo deve fare il giornalista, ma lo fa? Naturalmente non c’è una verità oggettiva; non esiste, ma questo è un tema più profondo, e rischiamo di sfociare nella metafisica. C’è un bellissimo film degli anni Cinquanta di Akira Kurosawa che si chiama Rashomon. Kurosawa ti fa vedere la scena di un samurai e di sua moglie che vengono aggrediti in un bosco. Lei viene stuprata e lui ucciso. Poi c’è il processo, e al processo ognuno racconta la sua verità. E Kurosawa ti fa vedere ogni volta la stessa scena, senza cambiare una virgola, ma ogni volta la verità è diversa. Esiste l’obiettività relativa, non quella assoluta!

Il mitico direttore de La Notte, Nino Nutrizio stordiva i suoi redattori con un refrain: «il giornalismo si fa prima coi piedi, poi con la testa». Prima devi andare sul posto, osservare, parlare, ascoltare eccetera. È solo dopo che viene la testa. Oggi, qualcuno li ha definiti i sopravvissuti. I super resistenti. O se volete i testimoni di un tempo che fu. In effetti il cronista-inviato è l’unico mestiere, nell’ambito del giornalismo, che sopravvive all’invasione della tecnologia internet, alla comunicazione via Twitter o via web o se si vuole alla mediazione della rete. E’ solo suo merito se si continua a dire che esiste ancora quella che noi continuiamo a chiamare informazione. Il cronista sia esso di cronaca, di finanza o di giudiziaria, di carta stampata, di televisione o radio, è l’unico giornalista che è costretto a mantenere ancora un rapporto diretto con la realtà, coi fatti, con l’accadimento materiale. È l’unico giornalista offline. Si direbbe un giornalista di strada, unico testimone del cambiamento di pelle che il giornalismo ha subito in tutto il mondo con l’avvento della cosiddetta grande ragnatela del mondo, l’ormai nota World Wide Web.

Saverio Serlenga è un sopravvissuto-resistente, del tipo Ultimo dei Mohicani. Alzi la mano chi ricorda sul nostro Gargano un cronista-inviato a 360° prima di LUI, durante LUI e sfido ad immaginare il dopo LUI? Certo sono tanti i cronisti del nostro territorio, ma Saverio, che è nato a Manfredonia, è abitante di Rignano, di Foggia, Vieste, Peschici, Carpino, Ischitella, S. Giovanni Rotondo, Apricena, Rodi Garganico, S. Nicandro Garganico, Mattinata, Vico, Monte Sant’Angelo….

Primo Levi definisce il cronista come il fante del giornale. Saverio è il fante del Gargano. Da 30 anni è in prima linea, oppresso dalla fretta, dal terrore di mancare l’appuntamento col fatto o col fattaccio. Gli è negato lo schermo caritatevole dell’ignoranza: deve ficcare il naso nella realtà più crudele e sordida, quella che i benpensanti rimuovono. Ma non di rado è costretto anche a calarsi nei panni dello psicologo, sociologo, politico. “Io credo – una delle sue perle – che i fatti sono fatti, e che essi sono accertabili attraverso un racconto onesto di mente aperta e diligente. Credo che si possa giungere alla verità sovrapponendo fatti a fatti, proprio come la costruzione di un palazzo. Penso che il giornalismo lo si impari facendolo”. E’ partito inventandosi con alcuni amici una radio nel ’94, Rete Smash Gargano. Indimenticabile il suo primo servizio: la radiocronaca della visita di Giovanni Paolo II a Manfredonia. Ha collaborato con ReteGargano, Radio Manfredonia Centro, Radio Nova e Radio Delta 1. Approda a Teleradioerre nel 2001: inviato, caposervizio, redattore capo ed ora direttore responsabile della testata foggiana. Ha fondato e diretto il Corriere del Golfo e del Gargano dal 1996 al 1999, anno in cui inizia a collaborare con la Gazzetta del Mezzogiorno. Dal 2003 diventa corrispondente de la Gazzetta dello Sport. Continua a collaborare con emittenti televisive regionali come Telesveva e Telenorba. E’ stato capo ufficio stampa del Parco Nazionale del Gargano dal 1999 al 2004, e del Comune di Manfredonia dal 1997 al 1999, ha lavorato anche in diversi uffici stampa di enti e aziende private. Insomma gavetta e carriera ottima e abbondante. Ancora oggi trova forza e tempo come conduttore radiofonico e televisivo, animatore di serate ed eventi culturali, talk show di attualità, politica e spettacolo. E’ docente di giornalismo e comunicazione di massa presso l’ENAIP di Foggia e il Liceo Classico di Vico del Gargano. Nel 2011 gli viene riconosciuto il premio di giornalismo intitolato a Paone (Lanciano) e nel 2012 il premio di giornalismo intitolato a Rampino (Trepuzzi) e ancora collabora con la nostra Radio, OndaRadio.

Da 30 anni contribuisce con le sue corrispondenze a spezzare il silenzio atavico che affligge il nostro Gargano. Aiutò e aiuta il territorio, non senza difficoltà, ad accelerare discussioni, a interrogarsi su quei processi di trasformazione che la nuova società ogni attimo innesca. Saverio è una macchina che con le migliaia di chilometri, con i suoi oltre diecimila sevizi, in questi suoi primi trent’anni, ha contribuito ad avvicinare, e spesso ci è riuscito, la periferia al centro, la voce all’orecchio e l’orecchio alla voce.

L’avvento di quelle radio, che con le sue corrispondenze aiutò, fu lo straordinario spartiacque tra due ere, e la certezza che il progresso finalmente arrivasse in diretta anche dalle nostre parti. Mai nella nostra storia millenaria i nostri luoghi hanno goduto di tanta informazione. Prima le notizie accadevano quando venivano pubblicate. Quei strumenti diventarono così in breve tempo la piazza dove si scambiavano contenuti. Anche se non di rado capita, come biascica Saverio, ancora oggi, dopo 30 anni, che quella piazza resti deserta.

Secondo una massima Zen chi è maestro nell’arte di vivere distingue poco fra il suo lavoro e il suo tempo libero, fra la sua mente e il suo corpo, la sua educazione e la sua ricreazione, il suo amore e la sua religione. Con difficoltà sa cos’è cosa. Persegue semplicemente la sua visione dell’eccellenza in qualunque cosa egli faccia, lasciando agli altri decidere se stia lavorando o giocando. Ecco, Saverio pensa di fare tutte queste cose insieme. In questi tre lustri ha fatto, e fa il cronista-inviato. Con la consapevolezza che mai avrebbe raggiunto il potere. Senza l’attesa di una rivoluzione che modificasse la sua situazione. Vive per la notizia che lui scherzosamente chiama “coriandolo”: il giorno dopo finito il carnevale non gliene frega più niente a nessuno – ripete. E nelle giornate grigie non di rado sembra rimproverarsi sconsolato – Ci sono persone pagate per dare notizie, altre per tenerle nascoste, altre per falsarle. Io non sono pagato per far niente di tutto questo. Non sono proprio pagato! E’ il prezzo amaro della libertà e dell’incapacità di essere cortigiani, ruffiani e puttani. Il giornalismo di quest’ultimo decennio – lamenta – è destinato sempre più ad essere al servizio delle fazioni, di interessi economici, o, peggio, dei propri tifosi. E’ un giornalismo che informa solo per il proprio tifo, per la propria piazza, per il proprio pubblico di riferimento, è un giornalismo che si indebolisce sempre più. Ed è un’informazione che perde credibilità, autorevolezza e anche sensibilità nel rappresentare i nostri luoghi”. Non si resiste per 30 anni in un condominio, come il nostro Gargano, dove tutti finiscono per conoscerti, e tutti possono incontrarti, se non si ha passione e amore per la propria gente. Non è una esagerazione affermare che anche con l’avvento di internet Saverio non è cambiato. Anche se, proprio internet, ha cambiato il mestiere del cronista. Con Internet il giornalista è sottoposto a continue verifiche. Proprio come Saverio già prima di internet.

La mossa animale della rete è eliminare tutte le mediazioni che si possono eliminare. Abituare la gente a urlare e faceboock è lo specchio di una società aggressiva. Perché passare da un’enoteca, quando si può scegliere e acquistare una bottiglia di vino da solo? La risposta ci sarebbe: perché quel negoziante ne sa qualcosa e tu non ci capisci granchè. Questa risposta è la risposta che negli ultimi vent’anni è morta, è diventata falsa, risulta inutile. Il motivo è semplice: se io sostituisco il parere di un esperto, con un “mi piace” mi convinco d’essere più vicino alla verità. Che me ne faccio della tua notizia! La rete è questa. L’informazione del XXI secolo è costellata da falsi d’autore, formulati da siti di opposizione, centri di propaganda e grandi intellettuali, giornali e tv, fondamentalisti e lobbisti, leggende urbane che diventano totem. Al suo posto si sta affermando un sistema orizzontale, che non è neanche più informazione ma conversazione di massa, un mondo in cui tutti si parlano, chi dà le notizie, chi le produce, chi le consuma in un barnum indistinto, un magma primordiale. Un sistema nel quale sono sempre più i cittadini a fare i giornalisti sul Web, su Twitter, su Facebook, su Instagram. È un rivolgimento che sta mettendo in discussione perfino la democrazia parlamentare, figurarsi i giornali! La democrazia è condivisione di idee e capacità di ascolto. Dalla mancanza di ascolto fioriscono le fake news. La domanda è lecita: che resterà dell’opinione pubblica, tramontati i mass media? Ora, la vera conseguenza di questo processo è solo una, e non è l’acquistare il vino da soli: la vera conseguenza è che da qualche anno la gente si sta allenando a fare a meno degli esperti, cioè delle élite. Non di quelle economiche, quella è un’altra storia, lì dormono tutti un sonno profondo. Parliamo di élite culturali: quelli che hanno studiato, quelli che sanno, che hanno approfondito. Non solo, nel tempo accumuli anche la quasi convinzione di essere stato per lungo tempo vittima di una truffa: te la puoi cavare benissimo senza quella élite. Ti convinci che quelli ti hanno fregato, portandoti via soldi, tempo, controllo sulla tua vita, indipendenza, libertà. Se non si dimostra l’importanza delle mediazioni, cioè di chi ha approfondito e studiato, si finisce per dare combustibile al risentimento.

Il nostro Gargano in quest’ultimo mezzo secolo è passato da un’economia contadina a quella imprenditoriale. Continua, anche se a rilento, a traslocare da un’economia della fatica a quella della conoscenza. Una parte della nostra comunità non pensa che questo sia un rischio. Un’altra sì. Non può essere la rete il solo strumento di mediazione. Non lo scontro, ma il dialogo tra queste due anime è uno dei tavoli che ci aspetta. E qui entra in gioco in un modo determinate non solo l’informazione, che con grande fatica porta a galla le evidenti questioni e trasformazioni, ma anche il ruolo delle élite culturali che oggi fanno a gara per non contare più. Non basteranno più neanche cento, mille Saverio portatori di notizie. I segnali ci sono tutti: giornali, telegiornali, radiogiornali, talk show che continuano a confondere auspici con realtà. Segnali che sono stati lanciati da anni e sono anche nelle corrispondenza, troppe volte isolate e silenziate di Saverio. C’è un equilibrio da trovare, un baricentro. Il punto esatto è se ci conviene mantenere un’élite, formarla, curarla: fidarsi di lei. O lasciarsi risucchiare dalla rete. Sarà una partita molto affascinante. 

La verità è che per chiunque ha studiato e fa parte, in qualche modo, di un’élite è finito da un po’ il tempo dell’arroganza, della cecità, del privilegio e delle vittorie facili. La consapevolezza della nascita di nuove esigenze sociali ed economiche spalmate male, i temi della sicurezza non possono essere solo “acquistati o venduti” sotto forma di servizi giornalistici. Saverio ce lo sta dicendo da decenni. Perché Saverio parlava, parla prima di internet, e dopo internet, di fatti che toccano da vicino il cittadino, fatti che si possono verificare. Fatti che vive da vicino con la sua presenza. Non di rado, nonostante la rete, è a lui che ci si rivolge, ancora oggi, per fare sentire la propria voce. Per sottoporre delle questioni che, magari presso altre istituzioni, non troverebbero né sfogo né risposta. Saverio non interpreta, racconta quello che vede. Vive in diretta la nuova economia, la nuova società della paura, quella liquida.

Il garganico nei suoi servizi si ritrova, si riconosce, è interessato. I suoi pezzi rappresentano in gran parte il nostro mondo, dove il lettore, l’ascoltatore o il telespettatore si sente vivo, mettendo in crisi la profezia di Nietzsche: “oggi non esistono più i fatti, ma solo le interpretazioni”. Si schermisce dopo queste considerazioni.

La verità è più banale – incalza – quelli che scrivono sui giornaloni hanno squalificato il lavoro del giornalista. Anche se non mancano esempi positivi. Tradire se stessi vuol dire non essere uomini. Preferisco essere un giornalista mancato che un uomo mancato… Purtroppo, a un certo punto c’è stato un cambiamento antropologico dell’intera società garganica, e il giornalismo è stato in parte coinvolto, ma in parte è stato anche corruttore e protagonista”. Saverio Serlenga, resiste, è un personaggio dannatamente affascinante. “L’onestà intellettuale – ama ripetere – è un atteggiamento mentale che dovrebbe rappresentare la normalità. Significa trattare nello stesso modo chi ti sta simpatico e chi ti sta antipatico. Una cosa se secondo te è sbagliata, o giusta, lo devi riconoscere indipendentemente da chi la fa. Questo vuol dire essere coerente e onesto intellettualmente, se no fai l’agitatore, che è un altro mestiere! Ed è per questo che la mia proposta per una posizione obiettiva coincide con quella di Noel Mouloud: (…) essere obiettivi non significa, come si crede comunemente vedere le cose da un punto di vista neutrale, e quindi accettabile per tutti: obiettività significa, invece, considerare la realtà da un punto di vista della classe che si pone, in quel determinato periodo storico, come la parte più avanzata delle forze produttive. Abbiamo qualche idea su che fare dalle nostre parti? O intendiamo continuare a piangerci addosso e a chiedere aiuti dello Stato che non arriveranno mai più? Ecco che cosa dovrebbe fare un giornalismo di idee oggi: raccontare, ma per spiegare; denunciare, ma per proporre. Purtroppo oggi – rimarca Saverio – sono in tanti che fanno finta di ignorare queste trasformazioni. Tutti i giornali, radio, tv, piccoli o grandi che siano, sono tutti schierati o da una parte o dall’altra. Faticano a raccontare il nostro territorio e a far parlare le nostre genti. Certo, questo è un discorso che riguarda soprattutto i parolai, gli editorialisti,quelli che da anni non fanno una fila all’ASL o alle Poste, poi all’interno della redazione c’è ancora chi fa servizi, cronaca e reportage molto bene. Alla gente non importa quello che dice Saverio, ma quello che dice il nostro territorio. 30 anni fa come oggi, Saverio non tende a sorprendere, spiega, incuriosisce e nonostante tutto resiste, glielo dobbiamo riconoscere. E’ l’ultimo dei Mohicani a resistere all’informazione deragliata che fornirebbe ancora oggi pagine a pagine e nuovi capitoli al famoso libro sul tema scritto da Giampaolo Pansa e intitolato, guarda caso “Carta Straccia”.

ninì delli Santi