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Vieste/ I retroscena della guerra tra i clan

È stato indagando su due omicidi e un caso di lupara bianca che i carabinieri del reparto ope­rativo di Foggia e la Direzione di­strettuale antimafia di Bari hanno scoperto un giro di droga, l’affare principale che spiega la guerra di mala in atto a Vieste, al cui vertice ci sarebbe Marco Raduano, 35 anni, detto «Pallone», ritenuto al vertice di una delle due «batterie» coinvolte nella scia di sangue che dal gennaio 2015 ad oggi ha contato 9 morti am­mazzati, 1 lupara bianca e 5 tentativi di omicidio: uno ai danni dello stesso Raduano, altri due nei confronti del presunto capo del gruppo rivale, Gi­rolamo Perna, altro giovane vie- stano.

I DUE OMICIDI

«Questa inchiesta trae origine» scri­vono il coordinatore della Dda, il pro­curatore aggiunto Francesco Giannella, e il pm Et­tore Cardinali nel decreto di fermo sfociato il 7 agosto nell’arresto di 4 viestani (tra cui Ra­duano) accusati a vario titolo di traf­fico di droga aggra­vato dalla mafiosità e porto e detenzione illegale di armi an­che da guerra «dal­le risultanze delle intercettazioni av­viate dopo gli omi­cidi di Vincenzo Vescera ed Ono­frio Nontarangelo avvenuti a Vieste il 16 e 27 gennaio del 2017. Dalle intercettazioni è emerso il traffico di ingenti quantitativi di stupefacenti nel comune di Vieste e in quelli limitrofi quale principale movente degli omicidi, e la contrapposizione di due gruppi facenti capo rispet­tivamente a Marco Raduano e Gi­rolamo Perna: le indagini protrattesi nel tempo hanno fatto emergere con chiarezza le compagini criminali associative dedite allo spaccio a Vie­ste».

L’AFFARE DROGA’

«Il gruppo di Raduano» oggetto dell’inchiesta sfo­ciata nei 4 fermi di due settimane fa «è stato sempre attivo, sin dall’inizio delle indagini» prosegue l’atto di ac­cusa della Dda «ed anche in precedenza» ed al riguardo vengono ri­cordati gli arresti proprio di Raduano nell’agosto 2010 quando i carabinieri scoprirono nel centro garganico una piantagione con 448 piante di canapa dalle cui foglie essiccate ricavare marijuana; e il sequestro di quasi mezzo chilo di cocaina, vicenda per la quale Raduano fu arrestato negli an­ni scorsi».

EX LUOGOTENENTE ORA BOSS

Chi sia Raduano lo scrivono negli atti d’indagine i carabinieri del nucleo investigativo del reparto operativo di Foggia. «Raduano è attualmente al vertice di uno dei due gruppi cri­minali creatisi a Vieste a seguito dell’omicidio di Angelo Notaran­gelo avvenuto il 26 gennaio 2015», ag­guato di mafia che ha innescato «la scia di sangue che sta colpendo Vieste, in seguito allo scon­tro armato di due fazioni opposte che hanno come obiet­tivo quello di otte­nere il predominio territoriale sul lucroso mercato delle sostanze stupefa­centi nella cittadi­na garganica. An­gelo Notarangelo, detto “ cintaridd”, ucciso a gennaio 2015, fino a quel mo­mento» si legge nell’informativa dei carabinieri posta alla base dei 4 de­creti di fermo «era l’indiscusso capo della compagine criminale viestana. In seguito all’omicidio il gruppo gui­dato da Notarangelo, che dapprima operava nel settore del racket della guardiania come documentato dalle indagini “Medioevo” e “Tre moschet­tieri”, iniziò a sfaldarsi, vedendo così iniziare un’escalation di omicidi e tentativi di omicidio che hanno por­tato allo stato attuale alla netta con­trapposizione dei gruppi Raduano e Perna». Si combatte «per il lucroso mercato dello spaccio di droga, da sempre florido nella località turistica del Gargano meta nel periodo estivo di centinaia di migliaia di persone. Questa indagine» prosegue l’Arma «ruota su Raduano, già in passato luogotenente e fido collaboratore di Angelo Notarangelo: Raduano, in un apparente breve lasso di tempo, è riuscito a creare un’organizzazione criminale stabile e duratura, di ca­rattere verticistico-piramidale, di cui è capo indiscusso, finalizzata a spac­ciare cocaina, hashish e marijuana. E lo fa l’organizzazione ricorrendo a metodiche tipiche delle organizza­zioni mafiose, ovvero con intimi- dazioni e violente a concorrenti o cosiddetti “battitori liberi” colpevoli di essersi ritagliati un’autonoma at­tività di spaccio al minuto, senza l’autorizzazione del gruppo delinquenziale predominante».

LA LUPARA BIANCA

Fu indagando sull’omicidio di Vincenzo Vescera detto «Beccaccia» (alle 10 di sera del 16 gennaio 2017 un’auto con due killer lo affiancò mentre rin­casava a piedi uccidendolo a colpi di fucile) «che emerse collateralmente 1’esistenza di un gruppo dedito alo spaccio facente capo a Pasquale Notarangelo (aveva 26 anni quando scomparve il 24 maggio 2017 vittima della lupara bianca: era nipote di Angelo «cintaridd» e figlio di Onofrio assassinati rispettivamente il 26 gen­naio 2015 e il 27 gennaio 2017) «che avvalendosi di alcuni accoliti pro­venienti da Peschici e Rodi garganico aveva creato una fitta rete di traffici per migliaia di euro», secondo l’ipo­tesi di Dda e carabinieri che poggia su intercettazioni. «Tuttavia Pasqua­le Notarangelo alle 9 di sera del 24 maggio 2017 si allontanava da casa a bordo di una “Fiat Punto” non fa­cendo più rientro. Fu in questo pe­riodo, e precisamente nel giugno 2017, che furono avviate le prime intercettazioni» sfociate nel blitz del 7 agosto con l’arresto di Raduano ed altri tre compaesani per droga ed armi.

IL REFERENTE PER LO SPACCIO

Secondo la ricostruzione accusatoria, «in seguito alla scomparsa di Pa­squale Notarangelo, alcuni soggetti monitorati dai carabinieri iniziarono a far capo per l’acquisto di droga da tale…» (un altro giovane viestano estraneo al blitz) «che si sostituì naturalmente nel rifornire chi fino a poche settimane prima si rivolgeva e operava assieme a Pasquale Nota­rangelo. Ben presto emerse dalle indagini che il giovane viestano su­bentrato nello spaccio operava per conto di un gruppo più ampio e strutturato che fa capo proprio a Marco Raduano». Il giovane viestano che sarebbe subentrato nello spaccio «era in stretti rapporti con Liberantonio Aazzarone, nipote di Ra­duano» e pure fermato dai cara­binieri nel blitz del 7 agosto: «quando il giovane viestano aveva bisogno di droga si accordava infatti con il suo fornitore Azzarone».

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I 4 INDAGATI – TRAFFICO DI COCAINA E ARMI DA GUERRA –

Sono 4 le persone fer­mate dai carabinieri su decreti di fermo della Dda di Bari il 7 agosto: oltre Marco Raduano, che com­pirà 35 anni a settembre, presunto capo clan, ci sono il nipote Liberantonio Azzarone di 28 anni; e Luigi e Gianluigi Troiano, pa­dre e figlio di 55 e 25 anni, anche loro viestani. Sono accusati di as­sociazione per delinquere finaliz­zata allo spaccio di cocaina e marijuana. Raduano viene ritenuto.il capo del clan, colui che dirigeva «le attività illecite, procurando da Cerignola» contesta la Dda «la dro­ga da smerciare a Vieste, intera­gendo con gruppi criminali cerignolani, procurando i mezzi per il trasporto della droga, decidendo prezzo della sostanza e corrispet­tivi per i sodali». Il nipote Azza­rone avrebbe rifornito direttamente gli spacciatori al dettaglio, curando gestione finanziaria e re­cuperando i proventi dello spac­cio, sostituendo Raduano quando era detenuto o ricoverato in ospe­dale in seguito all’agguato subito lo scorso 21 marzo; padre e figlio avrebbero «individuato i luoghi idonei per nascondere ingenti quantitativi di droga». Ai 4 vie­stani si contestano l’aggravante dell’associazione armata, quella dell’ingente quantitativo e soprat­tutto la mafìosità per i metodi usa­ti in relazione «alle minacce e vio­lente nei confronti i spacciatori» indipendenti che non si riforni­vano dal gruppo Raduano. I 4 indagati rispondono poi di concorso nella detenzione ai fini di spaccio di 152 chili di marijuana sequestrati dai carabinieri a Vie­ste il 15 ottobre 2017 in una casa di vacanza di un turista estraneo alla vicenda. Raduano e Azzarono ri­spondono di concorso nella deten­zione di 818 grammi di cocaina sequestrati il 30 marzo 2018; di concorso nella detenzione di altri 843 grammi di cocaina, 18 chili di marijuana e 6 chili e mezzo di ha­shish, sequestrati il 3 maggio 2018 quando i carabinieri arrestarono in flagranza Giovanni Surano, scoprendo un’abitazione dove era­no custodite droga e armi. E Ra­duano e Azzarono rispondono in­fatti anche, in concorso con Su­rano, di detenzione illegale di un mitra Kalashnikov Ak74 con si­lenziatore e 2 serbatoi con 47 mu­nizioni; un fucile a pompa calibro 12; due pistole marca «Beretta» ca­libro 9, armi che – come detto – furono sequestrate il 3 maggio scorso con l’arresto in flagranza di Surano. Raduano, Azzarone e i Troiano si dicono innocenti, anche se si avvalsero della facoltà di non ri­spondere alle domande del gip che convalidò i decreti di fermo della Dda e dispose la prosecuzione del­la custodia cautelare in carcere.

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