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Vieste/ Raduano resta in carcere. Per il traffico di droga, annullato invece l’arresto per l’arsenale. Il ricorso al TDL del capo clan di nuovo in cella dal 7 agosto: concessi i domiciliari ad uno dei quattro indagati.

Annullata l’ordi­nanza cautelare per la più grave accusa di traffico di droga ag­gravato dalla mafiosità e con­cessione dei domiciliari per un’imputazione di concorso in detenzione ai fini di spaccio di 152 chili di marijuana per Luigi Troiano, 55 anni; accuse con­fermate per il figlio Gianluigi Troiano di 25 anni, che resta in carcere; come restano confer­mate le accuse più «pesanti» e quindi il carcere per il presunto capo clan Marco Raduano di 25 anni, anche se sono state annullate due imputazioni relati­ve al possesso di ingenti quan­titativi di droga e armi. È l’esito del ricorso della difesa al Tri­bunale della libertà di Bari di 3 dei 4 viestani fermati nel blitz del 7 agosto scorso dai carabi­nieri del reparto operativo di Foggia su decreti firmati dalla Dda, poi convalidati dal gip di Foggia e successivamente da quello di Foggia. L’operazione antidroga ha colpito presunti esponenti o per­sone contigue al clan Raduano, uno dei due gruppi coinvolti nel­la sanguinosa guerra di mala viestana con i rivali del gruppo Perna, 7 dei quali sono a loro volta finiti in carcere tra il 21 agosto e il 10 settembre perché accusati di traffico di droga e detenzione e porto illegale di ar­mi con l’aggravante della ma­fiosità. 14 indagati del blitz del 7 agosto sono accusati a vario ti­tolo di 6 imputazione: traffico di droga aggravato dalla mafiosità (tutti e 4); detenzione ai fini di spaccio di 152 chili di marijuana sequestrati a Vieste il 15 ottobre del 2017 nell’abitazione estiva di un villeggiante estraneo alla vi­cenda (tutti e 4); detenzione ai fini di spaccio di 25 chili tra co­caina, hashish e marijuana (Ra­duano e Azzarone); detenzione illegale di un mitra, un fucile e due pistole (ancora Raduano e Azzarone); il porto illegale di una pistola (Raduano e Gianlui­gi Troiano); ed infine il solo Ra­duano di violazione della sor­veglianza speciale cui era sot­toposto all’epoca dei fatti, che vanno dal giugno 2017 all’agosto scorso. I tre giudici del tribunale del­la libertà di Bari hanno esami­nato il ricorso difensivo di Ra­duano e dei Troiano padre e fi­glio, difesi dagli avvocati Fran­cesco Santangelo, Cristian Caruso e Federico Straziota, mentre Azzarone ha rinunciato al ricorso. Le più gravi accuse di traffico di droga aggravato dal metodo mafioso sono state con­fermate dal «Tdl» per Raduano e Gianluigi Troiano, ma non an­che per il padre Luigi Troiano scarcerato per questa imputa­zione. Confermate le accuse a carico di Raduano e dei Troiano poi in relazione al maxi-seque­stro di marijuana dell’ottobre di un anno fa: è per questa impu­tazione che Luigi Troiano ha ot­tenuto i domiciliari in quanto le esigenze cautelari sono state ri­tenute attenuante dai giudici. Il «tdl» ha poi accolto parzialmen­te il ricorso dell’avv. Santangelo e annullato le accuse contestate a Raduano sia di concorso nella detenzione di 818 grammi di co­caina (se ne potevano ricavare 3959 dosi) che furono sequestra­ti dai carabinieri il 30 marzo del 2018 in campagna; sia di essere coinvolto nell’arsenale del clan che i carabinieri scoprirono il 3 maggio scorso in un apparta­mento, arrestando in flagranza Giovanni Surano (estraneo al blitz del 7 agosto) e pure ritenuto contiguo al clan Raduano. Quella mattina gli investiga­tori perquisirono un’abitazione abbandonata, ma che sarebbe stata nella disponibilità di Su­rano, rinvenendo 843 grammi di cocaina (4161 le dosi ricavabili); 18 chili di marijuana (35713mila le dosi ricavabili); 6 chili e mez­zo di hashish (43551 le dosi ri­cavabili); un mitra «Kalashni­kov» con silenziatore e 2 ser­batoi con 47 munizioni; un fucile a pompa calibro 12; due pistole «Beretta» calibro 9×21. I giudici del riesame hanno ritenuto, an­che se le motivazioni del prov­vedimento non sono ancora no­te, che Raduano sia estraneo sia al sequestro di cocaina di marzo sia all’arsenale scoperto nel maggio scorso. Confermata in­fine la gravità degli indizi a ca­rico del capoclan in relazione al possesso di una pistola e per la violazione della sorveglianza speciale. Secondo il capo d’imputazio­ne contestato dalla Dda era Ra­duano a dirigere «le attività il­lecite, procurando da Cerignola la droga da smerciare a Vieste, interagendo con gruppi crimi­nali cerignolani, procurando i mezzi per il trasporto della dro­ga, decidendo prezzo della sostanza e corrispettivi per i so­dali». Il nipote Azzarone – stando al ruolo attribuitogli da investigatori e magistrati – avrebbe rifornito direttamente gli spacciatori al dettaglio, curando gestione finanziaria e recuperando i proventi dello spaccio, sostituendo Raduano quando era detenuto o ricoverato in ospedale in seguito all’agguato subito lo scorso 21 marzo. I Troiano, padre e figlio, invece avrebbero «individuato i luoghi idonei per a nascondere ingenti quantitativi di droga»; accusa che, come det­to non ha retto per Luigi Troiano. Ai 4 viestani la Dda in relazione alla più grave imputazione di traffico di cocaina e marijuana contesta tre aggravanti: associazione armata, ingente quantitativo, e soprattutto la mafiosità per i metodi usati in relazione «alle minacce e violenza nei confronti dei spacciatori» – indipendenti che non si rifornivano dal gruppo Raduano.

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