Menu Chiudi

Accusato di far parte di associazione dedita al narcotraffico: confermata condanna per viestano

”(…) il (…) risulta ripetutamente menzionato nei dialoghi tra i cugini (…), a dimostrazione del ruolo stabile da costui ricoperto nell’associazione, i quali nello specifico frangente del sequestro dei due chili di marijuana si lamentano apertamente del danno sofferto e delle conseguenze negative che si sarebbero riverberate sulla compagine sociale (…)”.

Con recente sentenza, i magistrati della 3^ sezione penale (Presidente: Sarno Giulio) della Corte di Cassazione di Roma hanno dichiarato inammissibile il ricorso di R.C., classe 1970 di Vieste, contro l’ordinanza in data 1.10.2018 del Tribunale di Bari che, adito in sede di  riesame, ha confermato la misura cautelare della detenzione in carcere disposta nei confronti del citato R.C., indagato per i reati di cui agli artt. 74 e 73, quarto comma d.P.R. 309/1990 per aver preso parte ad un’associazione dedita al narcotraffico e per la detenzione a fini di spaccio di due chili di marijuana in concorso con altri membri del gruppo.

Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione, articolando un unico pluriarticolato motivo con il quale contesta la sussistenza tanto dei gravi indizi di colpevolezza quanto delle esigenze cautelari.

Le doglianze relative al primo profilo si fondano sulla contestazione di un solo reato fine che non consentiva di dedurre la partecipazione dell’indagato ad un sodalizio criminoso, sulla mancanza degli elementi costituitivi dell’associazione criminosa in assenza di un organigramma con ripartizione dei ruoli, l’esistenza di una cassa comune e la spartizione dei proventi, il breve arco temporale considerato e l’assenza di riferimenti in relazione all’acquisto di droga avvenuto a Napoli ad approvvigionamenti e cessioni per conto di terzi.

Il ricorrente “Sostiene in particolare che le conversazioni intercettate evidenziano come il prevenuto avesse avuto in passato contrasti con (..), posto ai vertici del sodalizio criminoso, ragione per la quale era inviso ai componenti del gruppo, con nessuno dei quali aveva intrattenuto rapporti ad eccezione di (…), suo amico, del quale ignorava i legami con l’associazione. In relazione alle esigenze cautelari deduce la mancanza di motivazione riferita alla concretezza dei fatti essendosi l’ordinanza impugnata limitata a fare riferimento generico alla gravità dei fatti utilizzando una clausola di stile e l’inadeguatezza delle argomentazioni utilizzate ai fini del diniego della sostituzione della misura con altra meno afflittiva non essendosi tenuto conto del ruolo del tutto marginale rivestito dall’indagato avente compiti di mera manovalanza senza contatti con gli altri partecipanti all’interno del sodalizio criminoso e della sua condizione di incensuratezza“.

Per i magistrati della Corte di Cassazione ” La contestazione dei gravi elementi di colpevolezza si compendia di censure generiche, prive di aderenza alla motivazione della sentenza impugnata
che evidenzia, invece, con chiarezza e dovizia di particolari tratti dalle conversazioni intercettate che costituiscono la piattaforma indiziaria presa in esame dai giudici de libertate, gli elementi a carico del (..) atti a delineare una qualificata probabilità di colpevolezza in ordine ai reati contestati“.

Le specifiche argomentazioni sviluppate dal Tribunale barese a commento delle singole conversazioni riprodotte ed analizzate delineano, con plausibilità di ragionamento ed in assenza di illogicità evidenti, comunque non evidenziate dalla difesa, la sussistenza di un vincolo solido e stabile venutosi a creare tra l’indagato ed il gruppo dedito al narcotraffico facente capo sul piano
organizzativo, nell’ambito della più vasta compagine criminale guidata da Girolamo Perna, ai cugini (..), nel cui ambito era stato incaricato delle attività connesse allo spaccio delle sostanze stupefacenti e della riscossione dei crediti derivanti da pregresse forniture fornendo un contributo diversificato, ma comunque di inequivoco rilievo ai fini della sopravvivenza e del rafforzamento dell’organizzazione e della realizzazione del suo programma criminoso. Le contestazioni relative all’estraneità dell’indagato al gruppo criminale per avere, in passato, avuto ragioni di attrito con il dominus per cui sarebbe stato inviso anche agli altri componenti, sono state diffusamente esaminate dall’ordinanza impugnata che ha chiarito come le originarie riserve da parte di (…) nei confronti del (…) in quanto proveniente dal gruppo criminale avversario, che si contendeva con quello del Perna il dominio del territorio, fossero state completamente superate a seguito dell’avvenuto pestaggio dell’odierno ricorrente da parte di taluni componenti del clan di provenienza, segno della sua definitiva estromissione dallo stesso e che si fosse instaurato sin dal suo ingresso nell’associazione, perorato da altri due membri, un rapporto assolutamente fiduciario, comprovato dalla delicatezza dei compiti affidatigli e dalla fattiva collaborazione da costui prestata evidenziante al contempo la sua consapevolezza di contribuire all’attuazione del programma criminoso proprio dell’associazione. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, la esplicita manifestazione di una volontà associativa non è necessaria per l’adesione al sodalizio, ben potendo la consapevolezza dell’associato essere provata attraverso comportamenti significativi che si concretino in una attiva e stabile partecipazione (Sez. 5, n. 10076 del 24/09/1998 – dep. 11/08/1999, Burgio S ed altri, Rv. 213978)”.

statoquotidiano.it