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L’Anti-Vieste. Fra Battiti e bruchi scansati. Riceviamo e pubblichiamo.

Nella febbre d’opposizione trovano tutti un proprio ruolo: ormai è nato anche l’anti-opposizione. Vedi, caro n., l’hai scritto anche tu: ti chiedi se ci sia ancora qualcuno che «sogni di riconoscersi in qualcosa di suo». Ce ne sono di persone che sognano, magari stringi loro la mano quando le incontri, ma evidentemente queste non riescono a riconoscersi nelle stesse cose in cui credi tu. Come fare a dire chi di voi ha ragione? Non parliamo di verità calate dall’alto, di rivelazioni dogmatiche: la politica è un gioco di scambio, un baratto facile per tenere a bada gli intestini; è ormai slegata dal pensiero, nessun grande nome che discuta dei destini umani. Si cerca di fare ammenda con un po’ di cultura, servita nei buffet d’inaugurazione degli attrattori.

Aristotele scrive in Grecia, non nella Vieste del nuovo millennio. La sua comunità non è la nostra compra-vendita di immobili. Il suo animale politico non va a farsi tre mesi d’ombrellone. Aristotele avrebbe fatto parte degli anti, se avesse dovuto schierarsi per della musichetta da radio.

Ma entriamo nel merito della questione: l’essenziale. Di rose e principini abbiamo capito che contano i numeri: quanti soldi abbiamo guadagnato, quante ambulanze c’erano, quanti ospiti sono arrivati. Di qualità, profondità, interiorità e innumerevoli altre idiozie in -ità ci interessa poco. Forse l’essenziale è molto più in superficie di quanto ci aspettassimo: bene, sarà più facile per tutti dirsi sensibili.

Non tutti i viestani, però, amano la matematica. Qualcuno ama riflettere. Riflettere significa piegarsi, non a quello che qualcun altro impone, ma verso se stessi, cercare di seguire il pensiero scaturito dalla visione, provare a tradurlo in parole per poter comunicare con gli altri. Ma a comunicare non sono ideologie, sono persone: scontato il fallimento di teorie senza uomini; persino più ovvia la difficoltà di una comunione fra uomini con teorie diverse. Il paradiso fra gli uomini esiste raramente: bisogna andare oltre la carne, con grande fatica. Se un lavoro di purificazione fosse stato compiuto da questi presunti nemici, allora si avrebbe ragione ad essere avversi a una massa di oppositori ignoranti, invischiati nella melma, senza collo, molluschi anti-tutto pronti a scivolare da uno scoglio all’altro pur di avere risonanza. Purtroppo le cose non stanno così. No, non perché qualcuno possiede lo spirito della storia, ma, banalmente, perché chi si libera dalla carne non ha pregiudizi, si separa dalla fanghiglia ed è nel giusto senza bisogno di arroganza.

Non parliamo delle maggioranze: molti “anti” sono identici a molti “pro”, a catalogarli sono gli introiti. Parliamo di chi si oppone non per puro ostruzionismo, ma perché realmente ha dei dubbi e cerca un dialogo che, spesso, viene affrontato come uno scontro, un lancio di coltelli, una gara a chi ferisce meglio. Quando si affrontano le questioni con logica, pacatezza, senso di parità, ecco che l’altro sparisce (o altrimenti continua a parlare senza ascoltare). Mangiamo a due tavoli separati: chi domanda è un ospite fastidioso, meglio non avvicinarlo ai nobili.

Ma alla fine, forse, n. ha ragione: basta con questa opposizione, accontentatevi del sole, prendete esempio dal Pizzomunno e statevene in silenzio; bisogna essere tutti amici, vedrete che la torta basterà per tutti. E che a nessuno interessi il nome del capo, tanto è il capo, ai dipendenti cosa cambia? Basta seguire le direttive, senza troppi rumori. Schierati, a prescindere, dalla parte di chi comanda. «Ecco che anche le città possono morire».

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