Al via oggi in corte d’assise a Foggia, con la costituzione delle parti e l’ammissione delle prove, il processo di primo grado ad uno dei presunti responsabili dell’omicidio di Giuseppe Silvestri, l’allevatore di 44 anni di Monte Sant’Angelo, soprannominato «l’Apicanese», assassinato all’alba del 21 settembre 2017 in un agguato ritenuto collegato alla guerra tra il clan Libergolis cui era ritenuta vicina la vittima, e il gruppo Romito-Ricucci-Lombardi con cui sarebbe schierato uno dei presunti assassini. Alla sbarra c’è Matteo Lombardi, 49 anni, detto «u’ carpinese», di Monte Sant’Angelo, commerciante d’auto: è ritenuto vertice dell’omonimo clan alleato dei Romito e della famiglia Ricucci nella guerra con gli ex amici e soci Libergolis.
Lombardi fu arrestato dai carabinieri del nucleo investigativo di Foggia il 18 aprile scorso su ordinanza del gip di Bari chieste dalla Dda: già ih passato è stato accusato di omicidio e sempre assolto. Detenuto in carcere, Lombardi risponde di concorso con persone rimaste ignote nell’omicidio premeditato di Silvestri, aggravato ulteriormente dalla mafiosità per i metodi usati e per aver agevolato il proprio gruppo criminale contrapposto ai Libergolis. Lombardi, difeso dagli avvocati Francesco Santangelo e Pietro Schiavone, si dice innocente: sostiene che all’ora dell’omicidio – le 4.50 del 21 marzo 2017 – era in viaggio in auto da Manfredonia diretto in Lombardia per la sua attività di commerciante d’auto.
Il secondo imputato è Antonio Zino, quarantenne di Manfredonia, ai domiciliari: risponde di favoreggiamento perché avrebbe aiutato Lombardi a eludere le indagini, «dapprima prestandosi a trasportare Lombardi in auto nel nord Italia il giorno dell’omicidio; e successivamente dichiarando falsamente agli inquirenti» recita il capo d’imputazione «che fin dalla partenza da Manfredonia in direzione di Lodi, Lombardi fosse in sua compagnia».
L’accusa invece ritiene che Lombardi sia salito sull’auto di Zino non a Manfredonia al momento della partenza, ma in un secondo momento sull’A/14 vicino al casello di Poggio Imperiale: raggiunse in auto l’autostrada – dicono Dda e carabinieri – dopo aver partecipato all’agguato a Silvestri. Zino, difeso dall’avvocato Innocenza Starace, respinge le accuse. La madre della vittima si costituirà parte civile con l’avvocato Giuseppe Casale. Giuseppe Silvestri guidava un «Fiat Doblò» e percorreva la strada «extramurale» quando i sicari a bordo di una «Toyota Rav 4» (ritrovata bruciata vicino Cagnano Varano) lo uccisero a colpi di lupara. L’accusa contro Lombardi poggia su intercettazioni e analisi di «scientifica» del Ris su alcune cartucce rinvenute sul luogo dell’agguato: fu ricavato il dna che sarebbe di Lombardi, il che dimostrerebbe – nell’ottica accusatoria – che le cartucce furono maneggiate dall’imputato.
Il movente del delitto sarebbe legato alla guerra che dal 2009 vede contrapposti gli ex amici-alleati Romito e i Libergolis e che ha contato sino a oggi una quindicina di morti. Silvestri fu ucciso – ipotizzano Dda e carabinieri – perché era organico al clan Libergolis; e il gruppo Romito-Ricucci-Lombardi volle «dare un messaggio chiaro e inequivocabile di supremazia criminale e controllo del territorio» dice l’accusa «anche alla luce della rapina messa a segno in una gioielleria di Monte Sant’Angelo il 18 febbraio 2017», un mese prima dell’agguato mortale e che fruttò un bottino di 200mila euro in preziosi. L’accusa ipotizza infatti che Silvestri avesse favorito e supportato i rapinatori organici al clan viestano Perna (Girolamo Perna ucciso il 26 aprile scorso era ritenuto alleato dei Libergolis), che a Vieste è in guerra con il clan Raduano, considerato invece alleato del gruppo Romito.
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