Il pm della DDA Ettore Cardinali ha chiesto la condanna a 18 anni di reclusione a testa dei cugini viestani Giovanni e Claudio Iannoli di 33 e 43 anni. Nel processo «Scacco al re» sono accusati del tentato omicidio aggravato da premeditazione e mafiosità del capo clan rivale, Marco Raduano di 36 anni.
Rimase ferito la sera del 21 marzo 2018 dai colpi di arma da fuoco esplosi da tre killer appostati sotto casa: l’agguato è collegato alla guerra di mala con il clan rivale (capeggiato sino a qualche mese da Girolamo Perna assassinato lo scorso 26 aprile), che a Vieste dal gennaio 2015 ad oggi ha contato 10 omicidi, 1 lupara bianca e 6 agguati falliti.
DETENUTI PER DUE BLITZ – Il processo si celebra con rito abbreviato davanti al gup di Bari Luigia Lambriola che ha rinviato l’udienza a gennaio per le arringhe degli avvocati Salvatore Vescera (difende Claudio Iannoli) e Michele Arena (assiste Giovanni Iannoli). I due imputati hanno assistito all’udienza in videoconferenza dalle carceri di Temi (Claudio Iannoli) e Siracusa (il cugino).
I due viestani, ritenuti esponenti di spicco del clan Pema, sono detenuti dal 21 agosto 2018; attualmente sono in attesa di giudizio anche nel processo «Agosto di fuoco», che pure si celebra con rito abbreviato davanti ad un altro gup del Tribunale di Bari, e in cui la Dda ha chiesto la condanna di 20 anni a testa per traffico di droga .aggravato dalla mafiosità, porto e detenzione illegale di armi: si dicono innocenti in entrambi i processi. Anche Raduano, vittima mancata dell’agguato, è detenuto dall’8 agosto 2008 per un altro blitz antidroga: per lui la Dda in un ulteriore processo abbreviato in corso ha chiesto la condanna a 20 anni per traffico di droga aggravato dalla mafiosità, spaccio e armi.
LA MAFIOSITÀ – L’inchiesta «Scacco al re» coordinata dalla Dda sfociò nel blitz di squadra mobile e carabinieri del 3 giugno scorso con l’arresto dei due cugini su ordinanze cautelari che furono notificate in carcere in quanto erano già detenuti dopo il fermo dell’agosto 2018 nel blitz antidroga «Agosto di fuoco». Claudio e Giovanni Iannoli sono ritenuti al vertice dell’ex clan Perna rivale del gruppo Raduano. Quest’ultimo fu affrontato da tre sicari mentre rincasava e nonostante plurime ferite d’arma da fuoco riuscì a scappare e salvarsi.
I due imputati sono accusati di concorso in tentato omicidio aggravato sia dalla premeditazione sia dalla mafiosità «per aver commesso il fatto per agevolare la compagine criminale facente capo a Girolamo Perna nell’ambito della violenta guerra di mafia intercorsa con la fazione contrapposta facente capo a Raduano, e mirante ad acquisire il controllo criminale del territorio viestano e l’assunzione del monopolio nella gestione e commercio degli stupefacenti e delle altre attività illecite così da acquisire risorse necessarie per garantire la sussistenza e l’espansione del clan» contestano i pm della Dda.
DUE SOSPETTATI MORTI – Lo stesso Perna era indagato per l’agguato fallito al presunto rivale Raduano, tanto che la Dda ne aveva chiesto l’arresto quale presunto mandante: richiesta revocata dopo l’omicidio, ancora ad opera di ignoti, di Perna assassinato sotto casa la sera del 26 aprile dopo che a settembre 2016 e marzo 2017 era sfuggito ad altri due agguati. I cugini Iannoli sono ritenuti gli esecutori materiali del ferimento di Raduano, e con loro avrebbe partecipato all’agguato – ipotizza l’accusa – anche Gianmarco Pecorelli giovane viestano poi assassinato il 19 giugno 2018 nell’ambito della guerra viestana.
LE INTERCETTAZIONI – La Dda aveva chiesto e ottenuto inizialmente dal gip di Bari il processo immediato per i cugini Iannoli, che serve a saltare l’udienza preliminare, e che si sarebbe dovuto svolgere davanti alla sezione collegiale del Tribunale di Foggia. I difensori a quel punto avevano optato per il giudizio abbreviato che comporta lo sconto di un terzo della pena, e gli atti erano stati così trasmessi al gup di Bari Luigia Lambriola. L’accusa contro i due presunti pistoleri poggia essenzialmente su intercettazioni ambientali, soprattutto quelle a carico di Giovanni Iannoli, da cui emergerebbe – nell’ottica accusatoria – il coinvolgimento dei due imputati nell’agguato fallito al presunto capo clan rivale.
TREGUA FINITA – Marco Raduano la sera del 21 marzo 2018 rincasava in contrada «Piano Piccolo» alla periferia di Vieste quando tre sicari appostati in zona fecero fuoco con un mitra Kalashnikov e un paio di fucili calibro 12: Raduano fu raggiunto dai colpi a torace, braccio e avambraccio destro, spalla destra, mano, gluteo e caviglia ma riuscì a scappare e rifugiarsi nella vicina casa del suocero: venne soccorso dai medici, trasportato all’ospedale «Casa sollievo della sofferenza» di San Giovanni Rotondo, operato e dimesso dopo sei giorni. L’agguato fallito a Raduano segnò la fine della tregua tra i clan rivali che durava dal luglio 2017: al tentato omicidio del presunto boss seguirono infatti tra aprile e giugno 2018 tre agguati con altrettanti morti ammazzati (tra cui come detto Pecorelli sospettato del ferimento Raduano) e due scampati su entrambi i fronti in guerra.
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