Pensa ai tuoi difetti nella prima parte della notte, quando sei sveglio. Pensa ai difetti altrui nella seconda parte della notte, quando dormi.
ANTICO DETTO CINESE
La sapienza cinese a cui appartiene questo aforisma si riconnette idealmente a una lezione che già nei Vangeli ha una formulazione divenuta proverbiale: «Perché osservi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, mentre non consideri là trave che è nel tuo occhio?… Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora vedrai bene per cavare la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello» (Matteo 7,3.5).
La premura soddisfatta con cui riusciamo a elencare la sequenza dei difetti altrui è pari a quella con cui cerchiamo di non esaminare mai i nostri. È per questo che uno degli esercizi ascetici più tradizionali come l’esame di coscienza è quasi del tutto scomparso, persino nei luoghi di formazione spirituale.
Aveva, perciò, ragione il poeta e drammaturgo tedesco Christian Friedrich Hebbel (1813-63) quando nel suo Diario annotava: «Conosci te stesso? Potrai rispondere di sì senza paura di sbagliare quando scoprirai in te stesso più difetti di quanti ne vedano gli altri».
Vorrei a margine dell’aforisma cinese sottolineare un aspetto secondario: il proverbio suppone la notte come tempo di verifica. Detto in altri termini, per riflettere su se stessi è necessaria la quiete silenziosa.
Bisogna che la giornata sia trascorsa con le sue opere e le sue parole, coi rumori e le distrazioni, ed è allora che si può forse creare un’oasi di solitudine. Purtroppo spesso quell’oasi è già occupata dalla televisione che è lì per rigettarti nel pettegolezzo e nella vanità.
È solo attraverso il silenzio e la riflessione che si può comprendere la vera realtà del vizio e della virtù: essi – come scriveva Karl Kraus nei suoi Detti e contraddetti (1909) – presentano qualche somiglianza, ma «sono parenti solo come il carbone e i diamanti».
Gianfranco Ravasi