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21 Gennaio/ UNA DONNA SEMPLICE

Vive sola con la figlia Susanna, gravemente inferma dai primi mesi di vita. L’infermità della figlia le impedisce di pensare alla propria morte tranquilla­mente. Tuttavia ha fiducia nella provvidenza, nell’affetto degli altri figli, negli angeli custodi. Benché in modo caotico, tormentato e discontinuo, crede in Dio.

NATALIA GINZBURG

Un anno prima di morire – cosa che accadrà nell’ottobre 1991 a Roma, all’età di 75 anni – la scrittrice Natalia Ginzburg compilava questa toccante autotestimonianza in terza persona. È il ritratto di una donna tutta protesa a curare la figlia malata e che non ha altro conforto se non nelle convinzioni semplici e pure: la provvidenza, l’affetto, una fede «tormentata e discontinua» eppure genuina. È suggestivo quel riferimento anche agli «angeli custodi» che sono co­me i segni quotidiani della presenza di Dio, i suoi inviati a curare quelle modeste vicende in cui le sue creature sono coinvolte.

Il Si­gnore dell’essere e della storia ha la guida e la visione dell’insieme della realtà, ma si affida agli angeli per intervenire negli eventi pic­coli di ogni persona e di ogni giorno.

C’è un’altra frase significativa nell’autoritratto della Ginzburg: essa si sente impedita a «pensare alla propria morte tranquillamen­te» dalla cura della figlia inferma. Certo, c’è un rimpianto in queste parole, perché è doveroso – anche se si fa di tutto per evitarlo – il pensiero della fine che permette di assegnare un giusto valore alla realtà della vita.

Ma c’è anche il segno di una benedizione, perché, quando si è impegnati per gli altri, si dimenticano le proprie paure e preoccupazioni. È, quindi, una lezione di vita quella che l’autrice del Lessico famigliare ci propone, una vita autentica, semplice e fedele.

Gianfranco Ravasi