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10 Febbraio/ CHIAVE E CHIAVISTELLO

Non sono un letterato né uno scienziato. Cerco soltanto di essere un uomo di preghiera. Senza la preghiera avrei perso la ragione. Se non ho perso la pace dell’anima, malgrado le prove, è perché questa pace mi viene dalla pre­ghiera. Si può vivere alcuni giorni senza mangiare, ma non senza pregare. La preghiera è la chiave del mattino e il chiavistello della sera.

GANDHI

È stupenda questa confessione autobiografica di Gandhi (1869- 1948) sulla preghiera. Aveva ragione la tradizione cristiana quando parlava del pregare comparandolo al respiro. Non ci si chiede né si comanda ai nostri polmoni di respirare: lo si fa spontaneamente, al­trimenti si morirebbe. La stessa cosa dovrebbe accadere per l’anima.

Se si deve pianificare artificiosamente la preghiera, è segno che lo spirito è intisichito e ha bisogno di un trattamento terapeutico. Tut­tavia, a differenza del moto primo e naturale del respiro, il pregare è anche un’arte ed esige esercizio, proprio come l’atleta che regola i moti fisiologici calibrandoli sull’attività agonistica: non per nulla in greco àskesis, da cui «ascesi», significa «esercizio».

Nelle parole di Gandhi mi piace l’immagine finale della chiave e del chiavistello. È bello, infatti – quando cala la sera e tu sei più quieto nella tua casa, spento il televisore -, chiudere la tua giornata col sug­gello di una pausa orante.

Oppure, uscito dal grembo del sonno e del­la notte, aprire le porte del giorno con la chiave della preghiera che ti spalanca davanti la vita illuminandola, anche se le ore che seguiranno saranno pesanti e forse tenebrose.

E sarà proprio con questo esercizio costante del chiudere e aprire la casa dell’anima, così come si fa per quella di pietra, che ci accadrà ciò che diceva il filosofo Jacques Mari­tain: «Il credente perfetto prega così bene che ignora di pregare».

Gianfranco Ravasi