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6 Aprile/ CIÒ CHE COSTA DI PIÙ

Mi ricordo che una voltaavrò avuto 14 annisi passeggiava insieme e domandai al babbo: «Ma, babbo, come si fa a sapere se una cosa è buona o cattiva? Se una cosa è bene o male?». E lui mi disse: «Guarda, se scegli la cosa che costa di più, probabilmente è quella buona».

ENRICO CHIAVACCI

Questa testimonianza autobiografica è raccontata da un noto teo­logo moralista fiorentino, Enrico Chiavacci, nel libro-intervista II cammino della morale (2005). Il padre, professore universitario di estrazione «laica», dà al figlio una sorta di stella polare morale che precede ogni distinzione più accurata: il bene esige serietà, impe­gno, costanza, fatica e talora anche lotta contro se stessi. È una lezio­ne, certo, semplice ma del tutto necessaria ai nostri giorni, quando si è corrivi nell’educare, si è pronti a concedere e a scusare sempre, si ama la via più larga del tutto e subito.

In questa luce è diventato vero quello che scriveva il poeta Vin­cenzo Cardarelli (1887-1959): «Il bene è l’infrazione, il male è norma / nella nostra esistenza». È paradossale, ma ciò che dovrebbe essere per eccellenza violazione, eccezione, infrazione non è più il male, che è accettato pacificamente e comodamente, ma il bene, che rima­ne solitario e controcorrente.

È facile, allora, lasciarsi andare, giungendo fino al punto di stravolgere i valori, chiamando bene e giusto ciò che è solo facile e piacevole, gustoso e agevole. Già Isaia ammo­niva coloro che «chiamano bene il male e male il bene, che scambia­no le tenebre in luce e la luce in tenebre, l’amaro in dolce e il dolce in amaro» (5,20). È la via della perversione e dell’assenza di rimorso, come già osservava Leopardi (1798-1837) nel suo Zibaldone: «Io non chiamo malvagio propriamente colui che pecca, ma colui che pecca o peccherebbe senza rimorso».

Gianfranco Ravasi