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14 Maggio/ DIRE E FARE

Il mondo si divide tra persone che realizzano le cose e persone che ne pren­dono il merito. Cerca, se puoi, di appartenere al primo gruppo. C’è molto meno concorrenza.                                 

DWIGHT MORROW

Così scriveva a suo figlio Dwight Morrow (1873-1931), diplomati­co e senatore statunitense, introducendo una linea di demarcazione tra il dire e il fare, linea che è ancor oggi articolata in tutti i settori dell’esistenza e della storia. Anche Gesù formulava un principio analogo per la stessa esperienza di fede: «Non chiunque mi dice: Si­gnore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Matteo 7,21). Nella frase di Morrow ci sono, però, due elementi ulteriori che vorrei sottolineare.

Innanzitutto egli colpisce quelli che non solo dicono e non fanno, ma che «se ne prendono il merito». È, questo, un dato di fatto scanda­loso: sopra il paziente lavoro di molti spesso si impianta il vessillo di chi si attribuisce il merito dell’opera.

E l’atteggiamento altezzoso e arrogante di chi sa di poter controllare l’opinione e la comunicazione; è il comportamento di chi riesce a sgomitare e a mettersi sempre in prima fila; è la fermezza delle facce di bronzo che non hanno pudore nel falsificare la realtà, facendolo anzi in modo convincente.

Morrow, poi, ricorda al figlio che l’ambito dei veri operatori ha minore concor­renza perché molti si preoccupano più dell’apparire e dell’inganno. È, dunque, nell’orizzonte della generosità umile, silenziosa e pazien­te che ci sono i veri «eroi». Ma, purtroppo, la verità più comune è quella che rappresentava Shakespeare nel Mercante di Venezia: «Se il fare fosse facile come il sapere quello che è bene fare, le cappelle sarebbero chiese e le casupole dei poveri sarebbero palazzi di principi».

Gianfranco Ravasi