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13 Giugno/ OSPITI O PRIGIONIERI?

L’emiro Ma’n ibn Zayd, al termine di un’aspra battaglia, catturò un grup­po di uomini. Quando seppe che li attendeva la morte, il più anziano dei prigionieri disse all’emiro: «Noi siamo affamati e non è giusto ucciderci pri­ma di offrirci del cibo». L’emiro fece, allora, imbandire un banchetto, al ter­mine del quale l’anziano disse: «Secondo le usanze arabe, prima eravamo tuoi prigionieri, ora però siamo tuoi ospiti: perciò non puoi ucciderci!». E l’emiro, colpito da quelle parole, li mise in libertà.

RACCONTO DELLA TRADIZIONE ARABA

Questo bell’apologo, contenuto nella raccolta Sindbad e il falco sa­piente, è un’illuminante lezione sul valore dell’accoglienza e dell’o­spitalità, capace di trascendere ogni altra norma. Sappiamo quanto essa sia rilevante nella cultura orientale genuina (e non degenerata nel fondamentalismo) e quanto sia carente da noi, ove facile è che at­tecchiscano il rigetto, la speculazione sullo straniero, persino la pre­varicazione. Certo, occorre che l’ospite si comporti degnamente: non per nulla l’anziano fa ricorso abilmente a una prassi codificata araba secondo la quale chi è a mensa cessa di essere un estraneo.

È, dunque, necessario il rispetto di una legge da parte di entram­bi, l’ospite e il padrone di casa. Ma l’accento finale della parabola ca­de sulla generosità dell’emiro. Infatti il testo finisce con questa di­chiarazione pronunziata da un sapiente di corte. È un po’ come la morale conclusiva delle favole ed è il suggello che poniamo anche noi sulla nostra riflessione sull’accoglienza: «Principe, noi ora non sappiamo quale dei due giorni è il più glorioso: se il giorno della tua vittoria sui tuoi nemici o il giorno del tuo perdono verso di loro. Chi perdona ama e chi ama vivrà in eterno!».

Gianfranco Ravasi