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Manfredonia/ Rivive il convento dei d’Angiò terminato il restauro dell’edificio. Comprende la chiesa della Maddalena e il monastero dei Domenicani.

E’ l’ultimo restauro, in ordine di tempo, del più antico reperto risalente agli albori della nascita della città di Manfredonia: la chiesa capitolare di San Domenico facente parte del convento do­menicano edificato tra il 1294 3 il 1299 dal guelfo Carlo II D’Angiò vincitore a Bene- vento del ghibellino Manfredi di Svevia. Il convento reale con annessa chiesa dedicata a santa Maria Maddalena sorge su un sito donato da D’Angiò ai frati predicatori, sul tratto costiero delle mura. A finanziare l’opera lo stesso Carlo II d’Angiò con un fiorino d’oro a settimana.

Sfortunatamente quel complesso con­ventuale subì gravi danni nel famoso sacco dei Turchi della città dell’agosto 1620. Ma è stato ricostruito ricalcando le strutture ori­ginarie sia pure con aggiornamenti dei tem­pi successivi. Sulla sua costruzione e ri- costruzione sono corse numerose interpre­tazioni non sempre gratificate da riscontri oggettivi. Come ad esempio quello riguar­dante l’abside della chiesa scoperta peral­tro solo sul finire dell’Ottocento a seguito di lavori occasionali, che sarebbe stata all’ori­gine una sinagoga a suffragare la tesi che quando re Manfredi decise di trasferire la diruta Siponto in luogo più ameno e sa­lubre, già vi era un insediamento ebraico.

A seguito degli editti napoleonici che abolivano gli ordini monastici, il convento venne poi scisso dalla chiesa e destinato a sede del municipio della città. Quel mo­numento storico è rimasto a unire ideal­mente il mare del golfo sul quale si affaccia la maestosa abside della chiesa, con la città guardata con la facciata della chiesa e il colonnato del municipio che dominano la piazza originariamente della Maddalena, oggi del Popolo. Con il castello svevo-angioino, la chiesa di San Domenico e il Mu­nicipio rappresentano la storia del­la città.

Nel tempo la facciata della chiesa ha subito vari rimaneggiamenti fi­no a quando negli anni Sessanta del secolo scorso, l’architettura della chiesa è stata ripulita dalle incro­stazioni anacronistiche e riportata alla sua struttura gotica originaria che nel tempo ha accusato dei ce­dimenti. Ad intervenire nel 2017, è rato l’arcivescovo Michele Castoro (1952-2018) provvido valorizzatore della memoria storica della diocesi, che ha destinato parte dei proventi dell’8 per mille devoluto alla Chiesa, alle opere così come progettate e dirette dall’architetto Antonello D’Ardes, di consolidamento della struttura (in particolare il piccolo campanile con re­stauro delle campane con introduzione di congegno elettrico per la loro movimen­tazione) e restauro della facciata. Una facciata dal nitido stile gotico sulla quale rimane il mistero del rosone andato distrutto nel richiamato sacco turchesco e del quale rimane la cornice orba del suo contenuto. Nonostante le accurate ricerche non si è riusciti a ricavare utili indicazioni per una sua ricostruzione.