Gli adulatori sono abili lettori del pensiero. Ti dicono proprio quello che pensi.
THOMAS BABINGTON MACAULAY
Alzi la mano chi, almeno una volta in vita, non si è lasciato incantare da una lusinga o da un apprezzamento, anche se evidentemente esagerato o enfatico. E, in senso contrario, chi non è mai ricorso all’incensamento o alla sviolinata per accaparrarsi il favore di una persona importante? Potremmo torcere il celebre motto di Voltaire sulla calunnia nel suo antipodo: «Lodate, lodate: qualcosa resterà!».
Uno scrittore moralista francese del Settecento, il marchese Lue de Clapiers, osservava che «noi amiamo persino le lodi che sappiamo non essere sincere», tanto è dolce l’adulazione.
Sopra ho, invece, citato una frase presente nella Storia d’Inghilterra del barone Thomas Babington Macaulay, politico e storico dell’Ottocento. Le sue sono parole sacrosante e dovremmo ripetercele quando ci sentiamo troppo celebrati ed esaltati, consapevoli che questo atteggiamento è stato da noi forse esercitato nei confronti di chi volevamo conquistare o imbonire.
Certo, un po’ di urbanità, di generosità e di fiducia infusa nell’interlocutore è una buona cosa. Ma la piaggeria, la prostrazione e la cortigianeria fino alla falsità e all’impudenza sono una malattia che infetta i rapporti sociali e non di rado anche quelli ecclesiali. È necessario conservare dignità e sincerità, anche se qualche volta può costare in successo, carriera e popolarità.
L’adulazione, infatti – notava Balzac nel suo famoso romanzo Eugénie Grandet (1833) – «non viene mai dalle anime grandi; è, invece, appannaggio degli spiriti piccini, che riescono a rimpicciolirsi ancor più per riuscire a entrare meglio nella sfera vitale delle persone intorno a cui gravitano».
Gianfranco Ravasi