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24 OTTOBRE/ LA KIPPÀ

Due sono le interpretazioni simboliche della kippà (il famoso zucchetto in­dossato dagli ebrei osservanti). Secondo la prima, essa significa l’atto di adorazione e di umiltà nei confronti della grandezza di Dio. La seconda suggerisce, invece, che essa serve per evitare che il lezzo dei nostri pensieri abbia a salire fino a Dio.

MONI OVADIA

Moni Ovadia faceva una volta questa considerazione seria e iro­nica al tempo stesso e non esitava a optare per la seconda interpreta­zione. Ovviamente quella teologicamente vera è la prima, ma l’altra ci sembra adatta a tutti, per cui sarebbe utile che idealmente ci mu­nissimo di uno zucchetto o di un copricapo. Il sobbollire dei nostri pensieri è, infatti, continuo e in quel magma c’è di tutto. Forse qual­che lettore ha visto il film What Women Want, dove Mel Gibson, in seguito a una scossa elettrica, riesce a sentire i pensieri delle donne trasformati in parole. Se dovesse davvero capitare a noi di lasciar trasparire in modo sonoro e udibile i nostri pensieri…!

Nel nostro cervello c’è, infatti, di tutto: grano e zizzania, dolcezza e veleno, santità e oscenità, amore e odio, in un impasto strano e il più delle volte mefitico. Aveva ragione il grande Pascal quando af­fermava che «il principio della morale è il pensare bene» (si badi non il «ben pensare» che spesso è solo ipocrisia e inganno). Purifica­re il cuore è anche per la Bibbia il ritrovare la limpidità della coscien­za e delle scelte, spazzando via tutta l’immondizia e lo scarto inte­riore. Per stare ancora a Pascal, nel suo capolavoro, i Pensieri appunto: «L’uomo è fatto per pensare: è tutta la sua dignità e il suo mestiere. Ma tutto il suo dovere è pensare come si deve».

Gianfranco Ravasi