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UNA VITA PER IL GIORNALISMO. PREMI A FRANCESCO MARATEA, GINO DE SANCTIS E MATTEO DE MONTE

Pubblichiamo le cronache delle cerimonie di assegnazione del premio di giornalismo «Saint Vincent» e della «Margherita d’oro» a Francesco Maratea, dovute a due «grandi firme» del Messaggero, Gino De Sanctis (pugliese, di Lecce) e Matteo De Monte (garganico, di Cagnano Varano).

I «servizi» di De Sanctis e De Monte faranno parte del volume «Una vita per il giornalismo: Francesco Maratea. Tra Aventino, Liberazione e «tempi nuovi», che uscirà nei primi mesi del prossimo anno (a cura di Giuseppe Maratea), che conterrà, oltre a numerosi scritti sul giornalista vichese, cinquanta suoi articoli, scritti nell’immediatezza degli accadimenti, e che esplorano fatti (la «guerra fredda», il conflitto «Usa-Urss», il «Patto Atlantico», le «Conferenze» internazionali, i primi passi verso l’Unione Europea) e figure egemoni (Churchill, De Gaulle, Krusciov, Kennedy, Papa Roncalli (Giovanni XXIII), Papa Montini (Paolo VI) del panorama politico mondiale.

P.S.: «Il Premio della Città delle Terme» aveva acquisito, all’epoca, un prestigio che valicava i confini regionali. Saprà il Sindaco Lodispoto riportarlo alla luce? E il neo-Sindaco di Cagnano Varano, Michele Di Pumpo, vorrà (finalmente) ricordare, in maniera degna, uno dei figli migliori della Città lacustre?

Consegnato ieri dal Presidente della Repubblica al Quirinale

A FRANCESCO MARATEA IL PREMIO «SAINT VINCENT»

Un riconoscimento all’illustre giornalista che con la propria attività ha contribuito alla dignità della professione – A Biagi e Corradi i premi per i giornalisti che nella loro attività si sono distinti in una particolare specializzazione – Gli altri premiati – Il discorso di Mario Missiroli, presidente della Federazione Nazionale della Stampa e la risposta di Saragat

Ieri mattina, al Quirinale, il Presidente della Repubblica ha consegnato i premi «Saint Vincent» per il giornalismo già assegnati nella tornata dell’anno 1965, quindicesima edizione del premio stesso.

Con la breve e assai ristretta cerimonia (c’erano solo, oltre ai premiati e a qualche collega intervenuto in segno d’ammirazione e d’affetto, i componenti il Consiglio Nazionale della Stampa, i membri della giuria e quelli del Comitato promotore) la Val d’Aosta ha dunque voluto fosse sottolineata l’importanza nazionale e internazionale di quello che è ormai considerato il massimo premio riservato ai giornalisti. La udienza particolare concessa dal Capo dello Stato è stata il più alto riconoscimento. La consegna vera e propria dei premi è stata preceduta da due succinti discorsi e da una relazione; ma ci si perdonerà se aggiungeremo una breve fase tutta nostra, di noi de «Il Messaggero», poiché a un eminente collega de «Il Messaggero», a Francesco Maratea, è andato il premio più vistoso e importante: quello di 3 milioni di lire riservato, come dice la motivazione, «a quel giornalista professionista che abbia contribuito alla dignità del giornalismo italiano». È una dignità, vogliamo aggiungere, fatta di riserbo, di autentica e schiva signorilità. Vogliamo svelare infatti, una tantum, ai nostri lettori che a Francesco Maratea son dovuti non solo gli esatti e vivaci resoconti delle conferenze internazionali di massimo livello, ma anche, e molto più di frequente, gli articoli di fondo, anonimi per consuetudine di questo giornale, che trattano di politica internazionale e che, nel giro di una colonna o poco più, scrutano i più inquietanti e appassionanti panorami: quelli della pace e della guerra, della faticosa costruzione della nostra Europa, dei rapporti di forza delle grandi Potenze, dell’instabile equilibrio fra le Nazioni. In Francesco Maratea «Il Messaggero» ha un columnist di prima grandezza che nulla ha da invidiare ai più celebri del giornalismo mondiale: la verve della esposizione, la felicità delle immagini e l’eleganza del periodare non sono orpelli per coprire l’incertezza di un giudizio generico e adiaforo, ma rivestono, anzi per voluta modestia velano un’informazione di prima mano, un’acutezza d’osservazione a volte profetica, una intransigenza sui principi basilari della convivenza fra le Nazioni: dove la difesa della pace non è tema d’obbligo, adeguamento al coro più o meno sincero, ma passone vissuta, sofferta, non disgiunta da un vivo sentimento della giustizia e dell’onore, da un amore sincero per quei valori universali di civiltà, di umanità, di libertà che sono e debbono restare patrimonio inalienabile del consorzio umano. Questo è Maratea, nel suo contatto col pubblico, un contatto che senza retorica può chiamarsi missione. Ma noi che quotidianamente e da tanti anni gli siamo accanto, conosciamo di lui qualcosa di più, e d’altrettanto prezioso: conosciamo la forza giovanile che e mana dalla sua età avanzata, il sense of humor che sempre interviene a moderare le posizioni eccessive e a smorzare i drammi, il sentimento fraterno della fedele amicizia.

Per anni e anni, fin da quando si mordeva il freno sotto un regime liberticida, il suo studio, qui al giornale, è stato il centro di pensieri e di incontri, di scambio di idee e di propositi. Sappiamo anche che questo premio che gli viene dai confini della Patria, dalle montagne, è particolarmente grato al suo cuore di «vecchio alpino». Pochi sanno infatti che Francesco Maratea, nato nella landa più piatta d’Italia, il Tavoliere delle Puglie, ha militato nelle «penne nere» e come corrispondente ha seguito tutte le guerre nella Nazione. Il pubblico dunque perdonerà all’amico cronista quest’abbandono, questa sincerità amichevole e familiare, un po’ fuori dalle regole di una cronaca «ufficiale».

Ma lasciamo la parola all’altro nostro eminente collega e maestro, a Mario Missiroli, che in qualità di presidente della Federazione nazionale della Stampa ha rivolto per primo il suo indirizzo al Presidente Saragat. Dopo aver ricordato il recente Congresso della Stampa tenutosi a Venezia e l’altro messaggio col quale il Presidente della Repubblica ha voluto riconfermare il compito del giornalismo nella vita nazionale, dopo aver ricordato le tematiche di quel Congresso, prima fra tutte l’esigenza d’autonomia dell’Istituto di Previdenza, modello a tutti i consimili Istituti di categoria professionale, Mario Missiroli ha tracciato un affettuoso ritratto del primo premiato, Francesco Maratea. «La carriera di Maratea – ha detto Missiroli – è lineare. Incominciò la professione a Bologna nella vecchia e gloriosa Gazzetta dell’Emilia, quindi passò a Como a dirigere il quotidiano locale, poi alla redazione romana del Secolo insieme con Garzia Cassola e il sempre compianto Andriulli. E quando il secolo mutò proprietà e indirizzo politico, il Maratea, dopo un breve passaggio al Giornale d’Italia, entrò nella redazione del Messaggero, dove si trova tuttora.

«Il nostro eminente collega ha dato molte prove si sé nel campo professionale, sia come inviato speciale in occasione di grandi avvenimenti internazionali, sia come scrittore di articoli universalmente apprezzati per la serietà dell’informazione, per la chiarezza del dettato e per il severo patriottismo. Ma non è proprio su questo che desidero particolarmente intrattenermi, perché in questo premio al Maratea è implicito un significato che va oltre quello strettamente professionale. Esso è anche e vorrei dire soprattutto un premio di virtù. So perfettamente che pronunzio una parola alquanto desueta, dati i tempi, e, in ogni caso, molto impegnativa. Ma questa è la verità. Virtù professionale ed anche virtù civile, perché il nostro Maratea nella sua qualità di segretario di quella Democrazia sociale, che faceva capo al duca Di Cesarò, si trovò improvvisamente, in una ora oscura e torbida per il nostro Paese, ad essere il segretario dei gruppi parlamentari, che avevano operato la secessione che prese nome dall’Aventino.

«Anche in questa nuova e inattesa funzione per la quale ci voleva del coraggio e non soltanto morale, l’amico nostro fece, come sempre, il suo dovere, incurante di ogni consiglio di prudenza. E non si impressionò molto quando, molti anni dopo, nel tragico settembre 1943, ebbe la casa saccheggiata, le suppellettili disperse e dovette cercare asilo lontano da Roma e dagli amici. Questo, signor Presidente, è il giornalista che è stato premiato. E tutti noi ne siamo lieti e orgogliosi perché non c’è collega che non abbia trovato in lui un amico fidato e discreto, un consigliere assennato e fraterno nei momenti difficili, quando si cerca ansiosamente qualcuno che ci comprenda e ci soccorra».

Il dott. Missiroli ha quindi concluso le sue parole con un augurio che certamente stringe oggi tutte le coscienze e i cuori degli italiani: quello che al più preso possa porsi riparo alle sofferenze che hanno colpito, e così duramente, le popolazioni di tante nobili contrade della Patria. Ancora una volta la Stampa è stata, in quest’occasione, la voce della Nazione tutta.

Dopo Missiroli, ha parlato il presidente della Giunta regionale della Val d’Aosta, avv. Cesare Bionaz che ha ricordato i particolari legami d’affetto che stringono la valle di frontiera alla persona stessa del Presidente piemontese. Poi il dott. Adriano Falvo, presidente della Giunta federale della FNSI ha letto la relazione della giuria del Premio Saint Vincenti. Tralasciando la prima parte della relazione che riguarda il premio maggiore, e pertanto ripete quanto Missiroli ha già detto su Francesco Maratea, riferiremo in breve la seconda parte che riguarda gli altri numerosi premiati. I due premi da un milione sono stati assegnati a due giornalisti di chiarissima fama ben conosciuti dal pubblico: a Enzo Biagi de La Stampa di Torino e a Egisto Corradi del Corriere della sera di Milano. Ed ecco gli altri premi di minore entità: ad Antonio Antonucci de La Stampa e a Mario Stefanile de Il Mattino di Napoli per i migliori articoli riguardanti problemi e aspetti della Val d’Aosta; per réportages internazionali di particolare livello a Giuseppe Dell’Ongaro del Giornale d’Italia, ad Angelo Del Boca della Gazzetta del Popolo e a Luciano Ferrari de La Notte. Per réportages nazionali a Giovanni Buffa de l’Avanti!, a Gino Palotta de L’Ora, a Luca Pavolini di Rinascita e a Silvano Villani del Corriere della sera; i premi radiotelevisivi a Emilio Pozzi ed Esule Sella per la Radio, ad Aldo Falivena per la Televisione; e ad Andrea Boscione per una trasmissione-radio sulla Val d’Aosta. I premi giornalistici regionali sono andati a Marie Cudre (che purtroppo è perita recentemente in un incidente aereo) di Le peuple Valdôtain, ad Angelo Oliva di Le Travail e ad Elia Pession di Le Messager Valdôtain. Una giuria speciale ha conferito anche un premio per il giornalismo sportivo a Giovanni Canestrini.

Ha quindi preso la parola il Presidente Saragat, il quale, dopo aver ringraziato il dott. Missiroli, il Presidente della Regione valdostana e il dott. Falvo, si è detto lieto di poter consegnare personalmente i premi ed ha espresso le sue vive felicitazioni a tutti i premiati e, primo fra essi, a Francesco Maratea. «Il giornalismo – ha detto Saragat – è un alto, arduo e impegnativo magistero. Alto in quanto missione, arduo in quanto esercizio di una professione difficile e che esige speciali attitudini e lunga preparazione; impegnativo, infine, in quanto chiama in causa non solo l’intelligenza, ma la coscienza dell’uomo. Il buon giornalista è colui che rispetta la verità rispettando così se stesso ed i propri lettori. Il buon giornalista è colui che difende le proprie idee, senza con questo mancare ai doveri dell’obiettività e del rispetto delle altrui opinioni. È informatore ed interprete dei fatti, non deformatore di essi».

Il Capo dello Stato, dopo aver accennato ai problemi della categoria, ha espresso l’augurio che essi siano risolti nel modo migliore. Saragat ha così concluso: «Apprezzo grandemente il fatto che, anche a nome dei presenti e di tutta la Stampa italiana, il dottor Missiroli abbia in questa circostanza levato il pensiero alla sciagura che ha colpito ai primi di novembre alcune regioni italiane, nobilissime e a tutti care. Questa sciagura richiama tutti noi a doveri di operante solidarietà verso le popolazioni colpite e alla concordia nell’opera di ricostruzione».

Subito dopo il Capo dello Stato ha proceduto alla premiazione di venti vincitori.

Infine un rappresentante della SITAV (la società che gestisce il Casinò di Saint Vincent) dottor Corra, ha comunicato che la società stessa ha versato alla Presidenza del Consiglio due milioni per i sinistrati delle zone alluvionate.

Il Presidente della Repubblica, dopo essersi intrattenuto a cordiale colloquio con gli intervenuti alla cerimonia, ha lasciato la sala gialla accompagnato dalle personalità del suo seguito.

Gino de Sanctis

Un premio ambitissimo a un illustre collega

A FRANCESCO MARATEA LA «MARGHERITA D’ORO»

Premiati anche il prof. Cassandro, l’avv. Luzi, il pittore Cantatore e l’avv. Carbone

Margherita di Savoia, 22 agosto

Nel turbine estivo dei premi italiani, la “Margherita d’oro” che la città delle saline e delle terme assegna da qualche anno ai pugliesi illustri, si illumina di luce propria. C’è la scelta del simbolo: elegante e poetica, ma anche la voce di un richiamo nativo, rivolto agli eletti dello stesso sangue. Dal profondo Sud, Margherita di Savoia, assediata e deliziata dal sale, manda il suo fiore ai figli migliori, ed è come se invocasse un aiuto, qualche soccorso morale, il tiepiedo affetto che è nel ricordo. Così il premio diviene un messaggio, una sorta di colloquio fra parenti lontani che si ritrovino ad una festa, nella calura degli ultimi giorni d’agosto. Questo senso profondo e umanissimo di virtù confrontate alle infinite necessità meridionali mi è apparso chiaro stanotte, mentre sedevo tra le autorità nei giardini fioriti del Cral dei salinari, aspettando la cerimonia di premiazione.

I discorsi che si intrecciavano tra prefetti e deputati regionali, sottosegretari e presidenti di aziende di soggiorno, ricalcavano nella monotonia delle cifre e dei progetti, i vecchi temi dei piani quinquennali di sviluppo. Si parlava con animazione di ponti da allargare, di strade nazionali ridotte a tracciati da carrera messicana, di stabilimenti termali ormai cadenti, privi di seggiole, dotati di vasche smaltate bucate come padelle in disuso. E il sale era nei pensieri d tutti, capo di accusa e a un tempo capro espiatorio.

Nel vento leggero che soffiava dal mare, se ne intravedevano i cumuli biancastri tagliati a piramide e illuminati da grandi fari gialli. Le file dei carrelli meccanici che graffiano e mordono con le loro enormi lame i depositi nei bacini, continuavano ad andare, insieme alle catene cingolate, come in un film di fantascienza. Oltre le vasche piatte, che al tramonto mandano delicati riflessi di corallo, si indovinavano i canali, le dighe, i divisori dei campi per salare, le nere paludi con i muri d’erbe secche, i vivai d’anguille, le enormi idrovore che succhiano l’acqua verde del Golfo di Manfredonia. È un apparato dello Stato imprenditore che esercita i suoi diritti di monopolio e trasporta la ricchezza dei poveri nelle cucine di tutta Europa. Per i cittadini di Margherita è anche l’immagine dell’egoismo della collettività che nulla concede agli autoctoni. Del tesoro bianco e cristallino, in eterno movimento sotto i loro occhi, i salinari non raccolgono che poche briciole. I milioni passano, i problemi restano, le promesse aumentano, cominciano a mortificarsi anche le speranze. I cittadini di Margherita hanno case alte e strette poiché occorre lasciare spazio ai venti per l’evaporazione delle vasche. Un metro quadrato di suolo edificatorio costa centinaia di biglietti da mille. I sacrifici sono immensi, moltissime le rinunce.

Le «Margherite d’oro» dovrebbero servire a rimuovere ostacoli secolari, a sanare vecchie piaghe, sospingendo i grandi nomi della economia, dell’industria, dell’università, dell’arte e del giornalismo, a fare qualche cosa di concreto per Margherita di Savoia, in nome della solidarietà e della concordia regionale, per quei vincoli affettivi indissolubili che agli uomini, anche a quelli d’oggi frastornati dalla civiltà delle macchine, non è lecito dimenticare o sciogliere: l’amore del aese, la tenerezza delle memorie. Cinque fiori d’oro per cinque uomini illustri: ecco, nel suo significato più intimo, il valore del premio della Margherita. La scelta quest’anno è caduta su Francesco Maratea, redattore politico e diplomatico de «Il Messaggero», sul Prof. Emilio Cassandro, titolare della cattedra di Ragioneria Generale e Applicata all’università di Bari, sull’avv. Benedetto Leuzzi, presidente dell’Ente dell’Acquedotto Pugliese, sul pittore Domenico Cantatore, insigne Maestro d’arte, e sull’avv. Ferdinando Carbone presidente della Corte dei Conti, «grande servitore dello Stato», come ebbe a definirlo Einaudi.

Ciascuno di questi uomini di spicco rappresenta una provincia di Puglia: quella che gli ha dato i natali.

La cerimonia della consegna dei premi, al Cral di Margherita, è stata breve e toccante. Le orchestre hanno smesso di suonare ad un cenno dell’avv. Giuseppe Di Lecce, presidente dell’Azienda del Turismo. Le coppie sono tornate ai tavoli; le polemiche fra le autorità si sono chetate, almeno per un poco. A turno, i membri della commissione hanno letto al microfono il testo delle motivazioni. Per una volta saremo parziali, dando più spazio alle cose di casa nostra: certo i lettori non ce ne vorranno. La «margherita d’oro» di Francesco Maratea è accompagnata da queste parole: «Nato a Vico del Gargano rivelò giovanissimo un non comune talento giornalistico. Scrittore raffinato e brillante, giornalista dotto, acuto commentatore politico e redattore diplomatico di larga esperienza internazionale, Maratea ha fatto parte della famiglia dei grandi quotidiani del tempo, dalla «Gazzetta dell’Emilia» a quella di «Mantova» e della «Provincia di Como» di cui è stato direttore, fino al «Secolo di Milano», al «Giornale d’Italia» e infine al «Messaggero» di Roma, del quale ultimo è attualmente il più autorevole fondista e commentatore di politica estera. Questo premio si aggiunge ai vari riconoscimenti avuti in ogni tempo e in particolare al «Saint Vincent» riservato ai giornalisti che hanno onorato la professione con la loro intelligenza e dedizione».

È mancata, alla cornice del giardino di Margherita di Savoia, l’alta e bianca figura del grande giornalista pugliese, e per lui è stato un dolore dover rinunciare al viaggio. A chi scrive è toccato l’onore di ritirare il premio e leggere un commosso indirizzo di ringraziamento inviato al presidente dell’Ente del Turismo.

La «letterina» di Francesco Maratea è un servizio giornalistico compiuto e perfetto, che fa un ritratto di Margherita di Savoia di cui Cantatore dovrebbe essere geloso. Trascrivo la «letterina» così come mi è stata consegnata dall’autore, annotando che il pubblico l’ha applaudita a lungo, con simpatia. La scienza del protagonista è stata pienamente giustificata da quel battere di mani dei generosi salinari. Ora vedo quasi il sorriso compiaciuto di Maratea, fra le pagine delle rime del Petrarca, nella quiete ombrosa di Vitorchiano, all’annuncio di questa pace raggiunta nella sua terra, in una sera di festa.

«Affido al mio affettuoso amico e valoroso collega Matteo de Monte un incarico che a lui costa molta abnegazione e a me la più deludente rinunzia. Egli può testimoniare con quanto compiacimento mi proponessi di venire a Margherita di Savoia ed esprimere di persona la mia gratitudine per il prezioso premio che mi viene da conterranei, benemeriti antesignani di una completa trasformazione economica del territorio pugliese. Ma, la torrida estate non mi consente il viaggio, anche se Margherita di Savoia possa oltrettuto offrire generose possibilità curative.

De Monte riceverà in mia vece il segno della vostra gentilezza. Egli, come me e come tutti noi, è debitore a Margherita di Savoia del crisma che schiude l’intelletto: non possiamo dimenticare che viene da Margherita la presina di sale inseparabile dal battesimo cristiano, quella che all’alba della vita fa sentire il forte sapore della sapienza, o piuttosto della saggezza. Ora si dimostra che il tonico sale di Margherita è il talismano che può dare sapienza, saggezza, e anche salute.

Nella vicina Cerignola ai tempi della «Cavalleria Rusticana» il maestro Mascagni cantò con una bellissima romanza la «sfinge d’amore», l’umile margherita dei nostri campi. «Sfoglia, sfoglia, fin che ne hai voglia» diceva il cuore innamorato nell’interrogare quel fiore e se il responso della sfinge d’amore non appagasse l’attesa della stessa romanza, troviamo il modo di avvicinarci favorevolmente allo scopo. «Via, riproviamo», dice reiteratamente il canto. È il tradizionale «provare e riprovare» del filosofo.

Provando e riprovando il responso sarà benigno: e questo è l’ augurio che alimenta le nostre speranze». Gradisca, illustre presidente le mie rinnovate espressioni di rincrescimento per la forzata assenza e i miei grati saluti».

Matteo De Monte

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