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17 DICEMBRE/ LA GOLA

La gola è un vizio che non finisce mai, ed è quel vizio che cresce sempre quanto più l’uomo invecchia.

CARLO GOLDONI

Passeggiare per le vie di una città in questo tempo già segnato dai simboli natalizi è come fare un pellegrinaggio pagano nella terra di Bengodi. E anche un modo per imparare quante cose non necessarie siano contrabbandate come indispensabili. Naturalmente, oltre alla vista, è soprattutto la gola a essere catturata. Certo, il cibo non è mai stato solo un semplice mezzo di sopravvivenza, ma ha sempre tra­scinato con sé suggestivi significati simbolici di amicizia, di condivi­sione umana, persino di fascino e bellezza. C’è, però, sempre in ag­guato – come in tutte le realtà usate dall’uomo – l’eccesso, il peccato di gola, divenuto uno dei sette vizi capitali, bollato anche da Dante e da una schiera immane di scrittori, predicatori e moralisti.

Che questo vizio non finisca mai, anzi, si acutizzi persino nella vecchiaia quando dovrebbe presumibilmente spegnersi, ce lo ricor­da Ridolfo, il gestore della famosa Bottega del caffè, la commedia che Carlo Goldoni scrisse nel 1750. Ma il pensiero potrebbe correre a quel forte e incisivo film di Marco Ferreri del 1973 che ha un titolo emblematico, La grande abbuffata, e che intreccia in modo sferzante e tragico cibo, sesso, morte. Senza voler ripetere le pur fondate queri­monie sullo spreco, sul consumismo, sulla sfacciataggine del benes­sere che celebra le sue idolatriche liturgie proprio in questi giorni sa­cri, dobbiamo un po’ tutti riconoscere la necessità di una maggiore sobrietà. Non, però, per semplici motivi dietetici, bensì per guardare ai margini di quelle strade e città dove si accampano tanti che non hanno neppure il minimo per un pranzo di mera sopravvivenza.

Gianfranco Ravasi