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24 DICEMBRE/ UOMO DEL MIO TEMPO

Sei ancora quello della pietra e della fionda, / uomo del mio tempo. Eri nella carlinga, / con le ali maligne, le meridiane di morte, / t’ho visto dentro il carro di fuoco, alle forche, /alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu, / con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, / senza amore, senza Cristo…

SALVATORE QUASIMODO

Salvatore Quasimodo scriveva questi versi nel 1947 in Giorno dopo giorno, avendo alle spalle la seconda guerra mondiale. A distanza di più di mezzo secolo non è che l’«uomo del nostro tempo» sia cambia­to di molto rispetto a quello contemporaneo del poeta o all’uomo pri­mitivo che usciva dalla caverna armato di pietra e fionda. Anzi, gli strumenti di morte si sono fatti ben più sofisticati: aerei, sistemi di puntamento, carri armati, torture ed esecuzioni capitali si sono raffi­nati ed evoluti, sì, ma in peggio, in forme ben più crudeli e devastanti.

Ed è significativo che un poeta che ebbe con la religione un rap­porto piuttosto distaccato come fu Quasimodo metta alla fine quelle parole: «senza amore, senza Cristo». È inutile svicolare verso altri li­di, è solo nella riconquista della sponda ove risuona l’evangelo au­tentico, senza glossa o compromessi, ove si erge quella figura miste­riosa eppur vicina, che è possibile almeno arrestare la «scienza esatta persuasa allo sterminio» e ritrovare la sapienza libera dello spirito che ci persuade a non rispondere al male col male, inanellando una catena di morte senza fine. È questa l’anima genuina del fatale a cui ci stiamo forse accostando con la solita superficialità e banalità. La via della pace e della fraternità è, invece, la più breve per raggiunge­re la vera serenità della festa.

Gianfranco Ravasi