Colui che noi abbiamo sfuggito, ci ha seguito. Colui che avevamo perso, si è riunito a noi! / Ci ha raggiunti nel grembo della nostra miseria e si è umiliato nelle nostre mani. / Abita nel vino dei calici e nel pane bianco degli altari. / Tu, o Chiesa, lo stendi sulle nostre labbra affamate. / Tu lo sprofondi nel cuore della nostra solitudine, per dischiuderla come una porta disserrata.
GERTRUD VON LE FORT
«Ci ha raggiunti nel grembo della nostra miseria»: canta così in uno dei suoi Inni alla Chiesa Gertrud von Le Fort (1876-1971), la scrittrice tedesca protestante convertitasi a Roma al cattolicesimo. In queste parole si celebra il mistero dell’Incarnazione che è nel cuore del Vangelo di Giovanni, l’evangelista che oggi il calendario festeggia: «Il Verbo si è fatto carne e pose la sua tenda in mezzo a noi» (1,14). Anzi, la poetessa vede la continuazione vivente dell’Incarnazione nell’Eucaristia: «Abita nel vino dei calici e nel pane bianco degli altari».
E ancora: l’Incarnazione continua nella Chiesa, il corpo mistico di Cristo, che rende presente nel tempo e nello spazio l’opera di salvezza del suo Signore. È suggestiva l’immagine finale nella quale si raffigura Cristo mentre «sprofonda nel cuore della nostra solitudine». L’umanità, pur immersa nelle cose e nelle distrazioni, sente affiorare nell’anima un senso di solitudine, di insoddisfazione, di inquietudine. Ecco, allora, quel viandante misterioso che s’accosta a noi durante il nostro cammino, com’era accaduto in quel pomeriggio ai discepoli di Emmaus. È ima presenza discreta e segreta, ma non spettrale o eterea. Le ultime parole del Cristo risorto sono state: «Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo» (Matteo 28,20).
Gianfranco Ravasi