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VIESTE/ VIAGGIO NEGLI ANNI DAL 1943 AL 2013 – Lavori e svago – (10)

Negli anni del dopoguerra, dalle rovine in cui il nostro Paese si trovava scaturì una vitalità straordinaria. Grazie al risanamento finanziario attuato dal ministro del bilancio Luigi Einaudi, poi diventato Presidente della Repubblica, e all’abile regia politica di Alcide De Gasperi, Capo del Governo, furono adottati numerosi provvedimenti per riparare ai danni della guerra e incentivare la ripresa economica dell’Italia, al cui successo concorsero gli aiuti americani.

Allora, a Vieste, oltre agli spinosi problemi contingenti, primo fra tutti la scarsezza di lavoro, ce n’erano due all’ordine del giorno da decenni: la ferrovia, che si chiedeva arrivasse fino al nostro comune, e il porto. Due tasti sui quali si cominciò a battere subito, e si continuerà a farlo per anni, confidando nel più facile rapporto, con l’avvento della democrazia, fra governati e governanti. La gente della media e piccola borghesia paesana diceva che i politici locali e quant’altri avevano voce in capitolo dovevano battere i pugni, alzare la voce, farsi sentire in alto, dove si prendono le decisioni. Ed effettivamente, tranne il battere i pugni – modo di dire ma non di fare -, i civici amministratori, le sezioni dei partiti, i giornalisti locali facevano sentire la loro voce attraverso lettere, relazioni, articoli sui giornali e raccomandazioni ai parlamentari ogni volta che qualcuno di loro veniva a Vieste. Nessun risultato. Anzi, circa la capacità o possibilità di far qualcosa da parte di questi ultimi si faceva spesso dell’ironia. Una volta che doveva venire a Vieste l’On. Raffaele Petrilli, il giorno prima i comunisti affissero un manifesto in cui si vedeva un treno fumante che entrava nella immaginata stazione ferroviaria di Vieste. A lato un’ironica didascalia.

Primi interventi

C’erano però delle opere fattibili da subito. Su queste si concentrò l’attività dell’Amministrazione comunale insediatasi nel ’46, guidata dal sindaco Vincenzo Medina. Che in pochi anni riuscì a realizzare numerosi lavori che servirono a migliorare l’assetto urbano della città e l’igiene pubblica. Ai lati del palazzo comunale furono costruite le due scalinate che dal Corso Lorenzo Fazzini portano su alla Via Cesare Battisti e, alle sue spalle, il muraglione per contenere il terreno scosceso ivi esistente, il cosiddetto “Montarone”, la cui superficie, poi alberata, è diventata il boschetto dei pini che oggi vediamo. La Piazza del Fosso, che era a fondo naturale, venne lastricata; ma dopo qualche anno, essendo risultata sdrucciolevole per i carri agricoli, fu ricoperta di bitume. Venne rifatto l’asfalto al Corso Lorenzo Fazzini, l’unica via di Vieste che già l’aveva, e si bitumarono ex novo altre vie della città. Fu realizzata e resa funzionante la rete idrica e fognaria al rione di “Fuori la Porta” (quello che dalle spalle della chiesa Santa Croce si dirama fino al viale Italia). Si costruirono le prime palazzine di case popolari. Un complesso di opere da ascrivere essenzialmente al lavoro paziente del sindaco Vincenzo Medina, alla sua azione intelligente, costante e silenziosa. Che continuò ad esercitare pure dopo che, nel ’49, ebbe rinunciato all’incarico, restando consigliere comunale.

Gli successe il già vicesindaco Francescantonio Bosco, che continuò con impegno l’intrapreso cammino per portare a compimento le opere avviate o solo impostate. Aggiunse anche del nuovo, di suo, e non è esagerato dire d’importante, quale la realizzazione del campo sportivo comunale di calcio, un’opera vagheggiata, sperata, sollecitata da più generazioni di giovani viestani. E bisogna dire che per farlo mostrò coraggio, poiché il terreno venne comprato con i fondi di bilancio del Comune, in un periodo in cui la civica amministrazione aveva difficoltà a trovare i soldi per pagare gli stipendi mensili al personale dipendente.

Cinema e spettacoli

In campo privato sorsero tre cinema: l’Arena Medina, il cinema Adriatico e il cinema Oratorio. Tutti e tre ora non ci sono più. Il primo era un cinema all’aperto realizzato da Ernestino Medina in un terreno tra via Cavour e Corso Lorenzo Fazzini. Fu una gradita novità. Potemmo vedere i famosi film di Holliywood, quali Via col Vento, Casablanca, Bellezze al bagno, Gilda, per citarne alcuni, con attori quali Clark Gable, Gary Cooper, Lana Turner, la conturbante Rita Hayworth, Ingrid Bergman e Humphrey Bogart; e potemmo incantarci agli svolazzi in palcoscenico della celebre coppia di ballerini Fred Astaire e Ginger Rogers; e alle evoluzioni artistiche in piscina della nuotatrice Esther Wiliams. Nell’arena Medina c’era pure il palcoscenico per il varietà. Un’estate venne una compagnia che aveva in cartellone L’armata delle donne. Come il titolo lascia immaginare, il cuore dello spettacolo era costituito da una schiera di belle ragazze in due pezzi. Al giorno d’oggi, quei due pezzi sarebbero indumenti castigati rispetto ai mini… che si vedono sulle spiagge. Ma allora faceva richiamo. Rimase qui per tutta l’estate. Qualcuna delle ragazze non disdegnò l’affettuosa compagnia di giovani viestani più intraprendenti. L’arena fu chiusa sul finire degli Anni Sessanta e su quell’area venne edificato un palazzo di civili abitazioni.

Al termine della spiaggia di Marina Piccola (allora detta della pescheria), sull’ultimo tratto, dove fa angolo con la strada Banchina, fu costruito il citato cinema Adriatico e al piano superiore alcune camere d’albergo. Il costruttore e proprietario si chiamava Francesco Papotto. Originario della Sicilia aveva sposato una delle figlie di Michele Scannapieco, industriale di Vieste che operò nel campo del legname tra l’Ottocento e il Novecento. Sul sito prescelto, all’inizio, la gente di piazza si divise blandamente tra contrari e favorevoli. I primi perché giudicavano inopportuno lasciar costruire sulla spiaggia, i secondi perché ritenevano preminente l’interesse ad avere in paese un albergo e un nuovo cinema teatro, visto che alberghi non ce n’erano e l’unico cinema prima esistente, il Merino, era stato chiuso e prossimo ad essere smantellato.

Una volta costruito, il complesso non piacque ai viestani; vuoi per la sua architettura, vuoi perché l’albergo consisteva di poche stanze e stanzette appena passabili sovrastanti il cinema, vuoi per altri motivi che non serve stare ad elencare. Il cinema Adriatico iniziò le proiezioni, operatore il giovane Camillo Marchetti, con il film americano Bernadette e ingresso gratuito per quattro sere. Funzionò poco più di trent’anni, fino al 1982. Poi, dichiarato inagibile, come l’albergo anni prima, fu chiuso per non più riaprire. Per eliminare l’immobile, che ormai era solo un ingombro sulla spiaggia, il Comune si è indotto, al principio del 2000, a comprarlo, demolirlo ed edificare al suo posto un nuovo complesso. Che è stato realizzato, dignitoso e polifunzionale. Ma per un intrico di motivi: la mancanza di fondi necessari ad arredarlo, la gestione (chi, come), altri, è ancora inattivo.

Vecchie e nuove usanze.

Nelle sere d’estatesi riprende il passeggio alla banchina e d’inverno si comincia a passeggiare al corso Lorenzo Fazzini. Aumentano i bagnanti che frequentano le spiagge, in particolare ragazzi e ragazze senza impegni di lavoro. Basta guardare qualche cartolina illustrata degli Anni 50 e 60 quando sulle spiagge eravamo pressoché tutti viestani,

Alcuni volenterosi organizzano i primi balli all’aperto. Si svolgono alla punta della banchina, nell’area sotto l’altura, tuttora libera e piana. Anima le serate a volte l’orchestrina, altre volte il giradischi. Si ripetono per tre o quattro anni. Negli Anni 50 è poi la Pro Loco che organizza la sera del 15 agosto la festa danzante con orchestra forestiera e la partecipazione di cantanti di buon nome. I primi due o tre anni sul piazzale antistante il porto, poi, dalla metà degli Anni 60 e nei 70, sulla rotonda di Marina Piccola.

D’inverno riprende vita il ballo in casa, i classici quattro salti in famiglia sotto gli occhi vigili della mamma padrona di casa, dove tutto è a modo E se accade che un “pensierino” di lui, metta le ali, favorito dalle ammalianti note di un tango o d’un valzer, e un invito a rivedersi sussurrato all’orecchio di lei sia bene accolto, la mamma non se ne accorge. O così mostra.

Rientrano nell’usanza, interrotta durante la guerra, le serenate all’innamorata, portate ancora con chitarra e mandolino, ma adesso da qualcuno anche con la fisarmonica. La desiata fanciulla, quando in casa le arriva la musica, sbircia dalla vetrata o dall’imposta socchiusa, scruta i suonatori e il giovane che si sbraccia per farsi notare. Se tra lei e lui c’è già corrispondenza d’amorosi sensi, o comunque se il corteggiatore le va a genio, lei apre la finestra e si fa vedere sorridente. Forse in petto non le vibra più l’interno affanno che emozionava in gioventù la sua nonna e forse anche la sua mamma. I tempi sono cambiati. Ora agita la manina e magari manda anche baci sulla punta delle dita. Se invece il tipo non l’interessa, chiude la finestra e spegne la luce. Ma l’usanza della serenata è in declino. Presto decadrà.

Su di un altro piano è sempre attuale, nei 13 giorni che precedono la festa di S. Antonio, l’occasione d’incontri fra chi li cerca alle funzioni religiose della sera, le cosiddette “tredicine”. La chiesa di S. Francesco, dove le funzioni si svolgono, è sempre affollata di giovani d’ambo i sessi. Tra loro si cercano e s’incrociano gli sguardi. Secondo la tradizione, le ragazze da marito chiedono in pensiero a Sant’Antonio un aiutino. Questo: “Sant’Antò, famm truà nu bell gio-v-n”. E’ difficile sapere se il santo dei miracoli si sia mai immischiato in queste faccende.

Un’ultima nota. La sera della vigilia di S. Michele, il 28 settembre, nelle strade si riaccendono i falò in onore del Santo e per la gioia dei ragazzi e dei giovani, nonché di tanti grandi, che si riuniscono intorno al fuoco a conversare, talvolta a intonare un canto micaelico. La sera stessa, sul tardi, si muoverà la lunga processione che camminando a piedi, di notte, attraverso i sentieri del bosco, arriverà la mattina del 29 a Monte Sant’Angelo, dove i pellegrini s’intratterranno tutta la giornata per seguire i riti e la processione. Torneranno a Vieste, sempre a piedi, la sera dopo, cantando mentre entrano in paese con in mano penne di piume variopinte. Gli vanno incontro frotte di ragazzini rumorosi spingendo cerchi di vecchie biciclette e cerchi nuovi fatti ad hoc dal fabbro. Portano a casa come trofei le penne a loro donate dai pellegrini.

Presto decadrà pure questa usanza.

Si ricomincerà, con qualche modifica, nel 1995, ad iniziativa di un gruppo di amatori. Si attraverserà ancora il bosco a piedi, di notte, per arrivare la mattina a Monte Sant’Angelo, ma si tornerà a Vieste la sera stessa con il pullman. Questa nuova edizione del pellegrinaggio ha un grande successo, che da allora, come l’elevato numero di partecipanti dimostra, si rinnova ogni anno.

10 – (CONTINUA)

Ludovico Ragno

Il Faro settimanale