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IL FASCINO DI VICO DEL GARGANO

Arrocca­to sul monte Tabor con le sue dodici chiese e con la sua cinta medioeva­le, con le ventidue torri che lo cir­condano, con il labirinto di stradine, spiazzi e casette bianche, il borgo antico di Vico del Gargano conserva un omogeneo impianto medioevale. E il bene culturale più interessante della città. Vi nacque un genio, Mi­chelangelo Manicone. Ma egli non fu affatto il parto eccezionale di un paese racchiuso nelle mura arrocca­te attorno ai due luoghi simbolici della chiesa matrice e del palazzo marchionale. Anche nelle periferie avviene un’elaborazione autonoma. Frutto di ricerca intellettuale pro­fusa dal mondo ecclesiastico più propenso alle nuove idee, che cerca di “tracciare la via” del progresso a un mondo pago degli odori dei centimoli.

Come quelli respirati dalla sofferta umanità di Vico del Garga­no nel Trappeto Maratea, un antico frantoio ipogeo adibito alla spremitura delle olive fin dal lontano 1317. Un’umanità che conduceva una dura lotta quotidiana contro l’indi­genza imperante. La chiesa di Santa Maria del Suffragio, detta del Purga­torio, nel Borgo Nuovo a Fuoriporta, sede della Confraternita della Morte ed Orazione, nel 1759 aprì la sua sa­crestia all’Accademia degli Eccitati Viciensi. Il respiro filosofico, scien­tifico e religioso che animò il cena­colo, aleggia ancora nel tempio, in cui ebbe sepoltura mons. Domenico Arcaroli, accademico e ultimo ve­scovo di Vieste, ed uno dei più insi­gni Eccitati. Il laboratorio storico è proprio qui, in questa chiesa di Vico del Gargano: la rievocazione di Filip­po Fiorentino torna a farci rivivere le atmosfere settecentesche del piccolo ritrovo. La cappella dell’Ad­dolorata della Chiesa del Purgatorio ospitò, negli scranni di legno del coro, gli illuministi vichesi ante litteram. Erano sacerdoti, padri cappuc­cini, dottori, fisici. Si incontravano a cadenza settimanale, per dissertare contro i ritmi “dimezzati della vita quotidiana”, in questa chiesa fuo­riporta alla piccola città racchiusa nelle mura, singolare miscuglio di tappeti sotterranei e di dimore pala­vate. L’intelligénzia vichese pensò di poter introdurre una proiezione sulla ricerca della felicità degli uo­mini del Settecento. In che modo? Eccitandoli. Tirandoli fuori, sve­gliandoli dal sonno dell’incultura. Simbolo dell’Accademia è Pallade che sveglia gli uomini, presentando loro un libro.

Gli Eccitati si pongo­no sotto la custodia della “Madonna dei Sette Dolori”, ma l’intendimento è laico; un’approfondita ricerca del­la ragione. Discutono, con grande competenza, di questioni sociali ed economiche. Credono fermamente che la rinascita degli studi sia l’uni­co elemento di incivilimento uma­no per contrastare i nuovi barbari. L’impegno è rivolto ai giovani, per affinarli alla ricerca ed alla crescita civile. Il dinamismo intellettuale è testimoniato dalla varietà dei temi dibattuti: la moneta, la legislazione, ma anche i culti di altri popoli, come Il confucianesimo. Lo trattò un so­cio dal singolare nome di “Serpillo amante”. Ma il tema esotico non nasce dalla “stravaganza eccitata di Serpillo. E’ in atto, nel mondo cattolico, un acceso dibattito sul modo più opportuno in cui i missionari de­vono rapportarsi con le popolazio­ni orientali da convertire: le forme ibride, le contaminazioni non sono ben accette alla Chiesa ufficiale. A Napoli viene istituito un Collegio dei Cinesi (oggi Istituto Orientale di Lingue Straniere) per educare dei giovani provenienti dalla Cina affin­ché, nel loro linguaggio, imparino i principi del vero Cristianesimo. Per divulgarlo in modo genuino e con­vinto. Il fatto singolare è che que­sto fermento sia stato prontamente recepito dagli utopisti Eccitati di Vico del Gargano. Protesi verso il fu­turo… che vogliono “convincere ed avvincere” un’umanità avvolta nel­l’oscurità di barbari rituali. Alcuni soci avevano già avuto esperienze arcadiche. Dell’Accademia, sorta nel 1759, Michelangelo Manicone non farà parte, ha appena 14 anni, ma il sodalizio costituirà l’humus di cui si nutriranno le sue “illuminazio­ni”. A lui va il merito di aver dilatato queste sollecitazioni in una curva­tura di spessore europeo. L’opera di Manicane è un’eleborazione interna, un prodotto autonomo, non è un tributo al mondo francese, i savant francesi non insegnano nulla al Regno di Napoli.

Un luogo- simbolo della vicen­da familiare del Giannone, per la presenza delle spoglie materne, era stato il convento francescano di Ischitella. E’ nei suoi ovattati silenzi interrotti di tanto in tanto dalle preghiere e dai canti dei fraticelli minori, che trova ispirazione anche Michelangelo Ma­nicone. Dopo essersi laureato nelle varie Scienze mediche, fisiche e na­turali, rispettivamente nelle univer­sità di Vienna, Berlino, Bruxelles, Parigi e Londra, ed aver corrisposto con il grande Linneo, nel 1806 scri­ve “La Fisica Appula”. Nelle bianche celle dei monaci francescani echeggia un’eco di scrittura… che determina emozioni produttrici di scrittura. Manicone ama la solitu­dine del cenobio ischitellano, in quegli anni è prostrato da una grave malattia, è costretto a rinunciare al piacere insito nel viaggio. Scriverà, a questo proposito, una sorta di “vademecum” per i viaggiatori del suo tempo: esalterà gli antichi, i  cui libri additano la vera strada, riconoscerà il valore della tradizione storica, dirà che sono importanti gli “informi”, le informazioni altrui. Ma è soprattutto viaggiando ed osser­vando che si formò la sua cultura di fraticello cittadino del mondo. Una cultura estremamente aperta alle innovazioni, una cultura senza fron­tiere, universale.

Michelangelo Manicone sistema­tizza in modo scientifico le teorie/dottrine scientifiche più avanzate del suo tempo. E la sua opera diven­ta una specie di summa, l’ecologia ante litteram del Settecento. Nel pe­riodo in cui si opera per comparti stagni, organizzando il sapere in vari settori, egli impianta una dottrina che mette insieme ambiti ecosiste­mici globali, da mantenere da parte degli uomini civili. In una realtà di massicci interventi di cesinazione, in un mondo agricolo sacrificato dalle leggi a favore della pastorizia, in cui il taglio degli alberi produce reddito liberando, nel contempo, il terreno da destinare alla pastura, egli sostiene che questa politica non è affatto ecosostenibile. “I pa­stori – come dirà poi il Galanti – sono l’immagine della conservazione del­la barbarie, gli agricoltori finiscono per essere perenni civilizzatori”.

La Fisica Appula

Ne La Fisica Appula troviamo notazioni interessanti per ricostrui­re l’ambiente di tutta la Capitanata, com’era nello scorcio di fine Sette­cento. Con un’attenzione partico­lare, che suscita il vivo interesse del lettore, a tante piccole curiosi­tà. Come quelle gastronomiche; ed ecco le ricette de il porco alla pampanella, profumato con erbe par­ticolari ed aromatiche; e del “caffè del rusco” o pungitopo seccato; dei “funghi di zappino al petrisinolo e alle acciughe”. Ricette da provare in un gustoso percorso di slow food … alla ricerca dei sapori perduti del Gargano Segreto.

Pasquale -Soccio, ‘Gargano Se­greto’, 1965: ‘Materna Terra’; 1992: ‘Penso dunque invento. Del mito, di Vico e oltre, 2000. Ultima tappa del viaggio del viandante, i luoghi nar­rati da Pasquale Soccio in Gargano Segreto.

Alla Dolina Pozzatina, il cuore ritrovato è quello del Gargano “in­quieta zolla vagabonda, impregnata nel vento della vita”. Un cuore an­tico, quello del promontorio, che ha ispirato a Soccio pagine ricche di vissuto lirismo: “Ora più non so dove il suo cuore smarrito palpiti ancora. In un tempo più felice, o meno triste, io lo pensavo occulto nel profondo di una dolina, disteso nel verde riposo di una foresta o nel­l’inquieto rifugio di un antro dove il risonante mare gli donava lingua e parola…”. L’emotività davanti agli spettacoli della natura, carichi di tempo e di fremiti è testimoniata dal sofferto ‘Commiato’:”Già declina il mio giorno/ e colgo ombre e me­morie… solo mi rimane/ questa dol­cezza di saper morire/ tacitamente alle cose che amavo”. La “Materna Terra “ è San Marco in Lamis, luogo di silenzi, di intimo contatto con la spiritualità racchiusa nel convento francescano di San Matteo. Filippo Fiorentino, a chiusura del lungo iti­nerario della mente all’interno del cuore del “Gargano segreto” sottoli­nea come Pasquale Soccio “cantore di segni che vivono nella latitudine del poetico, si alimenti degli umori stillanti all’interno del guscio calca­reo del promontorio e si compene­tri sommessamente in esso, senza mai rimanere prigioniero dei limi­ti provinciali e arcigni che quella Montagna impone a chi ha deciso di radicarvisi”. L’Infinito è proprio qui, nel cuore pulsante del Gargano assolato.