C’era un orizzonte «del prima», scandito da un’immensa pianura, le montagne intorno e gli ulivi a fare da garitta al mare. E c’è un orizzonte «del poi», in cui la monumentale chiesa che avrebbe dovuto abbreviarne la distanza sembra aver scavato un fossato tra fede e turismo. Come se Renzo Piano avesse previsto la fragilità dei molluschi, la caducità di ima religione troppo fragile per rimanere estranea alle tentazioni, e avesse cercato di proteggere l’eternità di San Pio sotto una conchiglia da ventimila posti: una chiesa tanto ardita quanto inutile, che rivolgendosi alle montagne e al mare avrebbe dovuto attrarre verso sé la pace che evocano gli spazi siderali. E invece il guscio ha retto a tutto, tranne che alla vanità degli uomini.
Avrebbe dovuto diventare una sentinella, questo «stadio cattolico» avrebbe dovuto dominare l’orizzonte e offrire una nuova (immensa) casa ai fedeli del frate, almeno negli auspici dell’archistar genovese. Perché subito dopo l’insediamento del cantiere, alberghi, bed&breakfast, costruzioni abusive e no, chioschi addetti alle vendite di oggetti religiosi, hanno accerchiato la conchiglia fino a renderla marginale, fino a farla rinnegare dal suo stesso padre: «Non è come avevo chiesto che fosse, se si viola l’idea di partenza si viola tutto il progetto». Così 36 milioni di costo e 20 anni di tempo, tra progettazione e costruzione, persero senso all’improvviso. E con essi persero senso il grandissimo sagrato su cui sorge una croce di 40 metri, colonnato e campanile orizzontale con 8 campane, 12 vasche in cui scorre acqua destinata agli ulivi, un monumentale organo a canne realizzato a mano, 36 nicchie con mosaici realizzati da Marko Ivan Rupnik (artisti e presbitero sloveno) che raccontano le vite di San Francesco e San Pio (come possano conciliarsi tanta ostentazioni e la povertà di due severissimi cappuccini, resterà un mistero).
Il 1° luglio 2004 viene inaugurata li nuova chiesa di San Giovanni Rotondo, momento storico che in molti fanne coincidere con l’inizio della caduta della città di San Pio, con il compimento di una nemesi. Da allora i fedeli diminuiscono progressivamente e la risposti dei frati a una presunta crisi devozionale (in realtà i fedeli autentici non sole non l’hanno mai dimenticato, ma non hanno mai messo in discussione San Pio) diventa man mano sempre piè scomposta, istintiva, a tratti imbarazzate. Si potrebbero citare la traslazioni della tomba dalla vecchia alla nuovi chiesa (forse il tradimento più eclatante, così ostile all’umiltà del frate), la maschera di cera sul suo volto, l’ostensioni perpetua di chi non amava esporsi di vivo (figurarsi da morto), e recentemente il viaggio delle ceneri di Raffaella Carrà: basterebbero questi episodi, tra mille altri, per raccontare la lunga serie di scivoloni che, contrariamente alle intenzioni di chi li ha ispirati, denotano debolezza e non forza, perdita del controllo e non affidamento alla fede. Niente sembra aver insegnato nemmeno il commissariamento dei cappuccini avvenuto a maggio 2003, quando il Vaticano interruppe una speculazioni fin troppo evidente. «Riappropriarci di San Pio nella dimensione autentica» tuonò l’allora vescovo Domenico D’Ambrosio, aggiungendo «ci sono realtà belle ma fuorvianti, c’è il rischio che il nome di Padre Pio possano operare realtà estranee a lui». Quelle realtà non solo si sono impossessate dell’identità civica e spirituale di San Giovanni, ma ne sono diventate il simbolo. San Giovanni oggi è un’icona pop, una città reclame su cui incombe una necessità fin troppo laica, anzi commerciale: tenere il Santo in vita il più possibile, alimentarne il Mito per alimentare la città. Tutto mentre, ben più che paradossalmente, la vecchia e piccola chiesa della Madonna delle Grazie – che avrebbe dovuto essere sfrattata dalle funzioni di memoria storica – acquisisce nuovo magnetismo, come quando un posto che stava per essere abbandonato si scopre dotato di una missione impossibile da seppellire.
Oggi San Giovanni Rotondo è una città in cui oltre la metà degli alberghi, spuntati come funghi intorno alla chiesa di Piano, è vuota. Alcuni dismessi, altri in vendita. Una città in cui l’ibrido dell’ospedale fondato proprio da San Pio – Casa sollievo della sofferenza, ente di ricerca privato sostenuto con soldi pubblici – testimonia la difficoltà e insieme la drammatica urgenza di individuare un’altra strada, un’altra idea di futuro oltre a quelle percorse finora.
Sembra esserne consapevole il sindaco Michele Crisetti, chiamato a un impegno rivoluzionario. Stanare facoltà e talenti, riscoprire San Giovanni oltre San Pio. «Lo dobbiamo a noi stessi, alle nuove generazioni» urla dal palco del Gargano Film Festival, una delle iniziative con cui sta provando a sfilare San Giovanni dal cappio dell’identità turistico-religiosa. «Per anni San Giovanni è stata solo questo, ma sono convinto che a San Pio sarebbe piaciuto che qualcuno avesse provato a scommettere sulla tenacia e sulla grinta dei suoi concittadini, abbiamo il dovere di provarci». Può darsi abbia ragione lui, ma per tenere accesa la giostra che a ondate illumina la città («vengono qui solo per curiosità, in chiesa ci vanno in pochi» mugugna un cappuccino fuori dalla Madonna delle Grazie) sono pronti a scommettere che prima o poi si ricadrà negli stessi errori, che ci s’inventerà qualcos’altro in grado di suscitare stupore. A cominciare dalla veglia del 23 settembre, in occasione del 53esimo anniversario della morte di Padre Pio da Pietrelcina: quando a San Giovanni torneranno televisioni, radio, giornali e qualche collegamento in diretta con la tivù pruriginosa e pietista del primo pomeriggio, per poi fare di nuovo silenzio. Infine, la famigerata questione legata all’aeroporto Gino Lisa di Foggia (che c’è ma non c’è, specialità della casa), a cui molti affidano le speranze di un rilancio del turismo di «prima» e «seconda battuta»: quelli che, dopo aver fatto visita a San Giovanni, dovrebbero fermarsi in vacanza sul Gargano.
E la fede? Che c’entra, quella c’è sempre. Ma si è nascosta bene, così bene che nessuno sa dove sia finita. Forse sotto una conchiglia.
Davide Grittani
corrieremezzogiorno