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COME E PERCHÉ IL NOME YRIA È APPARTENUTO PER LUNGO TEMPO A VIESTE

Riceviamo e pubblichiamo.

All’Egregio Sindaco

p.c. alla Giunta Municipale Comune di VIESTE

Il sottoscritto Prof. Giuseppe CALDERISI, nato a Vieste il 01.02.1943 ed ivi residente in via Antico Porto Aviane 2d, lamenta il fatto che finora non ha ricevuto alcun cenno di riscontro alle sue richieste e si rifà presente per l’ultima volta, inviandovi una nuova relazione sulle sue più che trentennali ricerche storiche relative alla nostra amata città, sperando di poter ottenere il contributo, già richiesto con la prima relazione, per le spese di pubblicazione del suo 3° libro dal titolo “La storia incredibile, ma vera, della remota città di Vieste: figlia dell’Oriente’’.

Evidentemente le SS/LL non considerano minimamente né i vantaggi che la nostra amata città potrà avere in seguito alla pubblicazione di quest’ultimo lavoro del tutto documentato, in seguito alla quale lo scrivente suggerisce di titolare d’ora in poi Vieste – città di Omero -, nè l’evidente fatica dello scrivente nell’effettuare la ricerca storica di questa remota nostra gloriosa città che, non a caso, è definita Pizzomunno, nome che appartiene al Montarone in quanto punto di origine (e di fine) del Mondo (omerico) e che non va confuso con il monolite che va identificato come Puzmume, nome pronunciato dagli anziani viestani composto dagli etimi greci pòugx (leggi punxì), indicante un mergo, cioè un uccello marino che fra poco si troverà pure come un’uria, come pure un bastione marino (vedi Baia dei Mergoli), mentre il dialettale mume è il greco mòmos, che indica uno smisurato marchio d’infamia o, perché no, un gigantesco corno messo in mostra per tenere lontano le malelingue, che purtroppo non mancano mai, che Omero dice minacciato (e quindi creato) dal vendicativo Poseidone per ammonire i Feaci, ora Viestani, a non accompagnare più nessuno in patria dopo averlo fatto con Odisseo. Ai tempi di Omero il Puzmume era circondato di acque talmente profonde da non consentire di avere piede a Odisseo che infine vi si aggrappa. La strumentalizzazione da parte dei mitologi è presente in <Dei e Miti> di A. Morelli dal quale si apprende che: “Momo è il favoloso figlio del Sonno e della Notte e fratello della Follia ed è il dio del riso e della maldicenza, che egli voleva esercitare anche a scherno degli dèi, perciò finì con l’essere cacciato dall’Olimpo. Era comunemente raffigurato calvo e nudo (essendo in realtà il Puzmume un bastione di pietra a vista) con una maschera in una mano e, nell’altra, un bastone col quale percuoteva la terra (sulla quale è difatti piantato il Puzmume)”. Gli omerici monti dell’Olimpo, la cui cima fungeva da sede di adunanza degli dei, sono i monti del Gargano, già Monti Urii, cioè Viestani, la cui cima più elevata, visibile da Vieste è, pertanto e non a caso, il Monte Sacro del Gargano, sul quale ci sono ancora i resti di un remoto tempio, o altare divino. In virtù del quale gli omerici monti dell’Olimpo appartengono a quelli della Magna (grande anche per età) Greca, cioè ai Monti Urii, cioè Viestani, e non il monte in precedenza impossessato come il resto di tutto il mondo omerico, anche se fortunatamente non in modo definitivo, ma in modo del tutto illegittimo dagli antichi abitanti dell’attuale Grecia, poiché questo mondo appartiene a Vieste in quanto Pizzomunno.

Nell’invito a riflettere bene su questa importante questione e in attesa di un favorevole riscontro, lo scrivente Vi invia distinti saluti allegando l’ultima relazione che segue.

Prof. Giuseppe CALDERISI

COME E PERCHÉ IL NOME YRIA È APPARTENUTO PER LUNGO TEMPO A VIESTE

Nel corso dei millenni passati Vieste ha avuto molti nomi diversi. Il motivo del cambio viene chiarito da Seneca (A Elvia V-VII) quando tramanda che la popolazione indigena di questa città, una volta irnborghesita dalla fecondità naturale del sito e dalla sua importanza strategica nei commerci rnarittimi, è stata continuamente sostituita. Altri popoli di migranti per mare, disposti a svolgere quei lavori che ormai gli indigeni non volevano fare più, finivano col prevalere venendo a loro volta scacciati. Per questo gli indigeni, di prevalente origine indeuropea e dell’Asia Minore, davano alla stessa città nomi diversi ricavandoli da qualche particolare caratteristica del sito viestano. I nomi prescelti per la città venivano poi di volta in volta utilizzati dagli scacciati per identificarsi come popolo con il loro inoltrarsi in altre parti sia dell’Italia e sia dell’Europa. Questo racconto di Seneca è la ragione storica della remota identità di Vieste come “Pizzomunno”, il Pizzo del Mondo, ovvero l’angolo, l’atlante, il telamone, l’estremità, il punto di origine con, viceversa, la fine del Mondo (occidentale), ma del Mondo immaginato da Omero, poi andato del tutto perduto, o spostato nei luoghi più disparati del continente Europeo. Si pensi che nella località viestana detta Defensola c’è la miniera di selce definita da professori universitari di Siena come la più antica d’Europa, risalente a 6000 anni fa, mentre il culto a Myrina, ora (S.) Maria di Merino, risalirebbe a 8000 anni fa. Il che significa che a questa data c’era già un’attiva società vivente in Vieste.

Seneca, inoltre, tramanda un altro dato importante quando tra i fondatori di Vieste enumera “Enea, Antenore, Diomede e gli altri che la guerra di Troia disseminò i vinti insieme ai vincitori’. Quindi una città fondata ancora ulteriori volte da tutti gli eroi sopravvissuti alla guerra di Troia, siano essi Troiani siano essi Argivi, o Achei, nomi questi ultimi derivati dal colore bianco delle ripe calcaree del Montarone viestano, chiamati da Omero pure Achei, nome derivato dalle punte dello stesso Montarone. Il Montarone, sul quale è situato il centro storico di Vieste, è un nome di origine greca che da Moun-tauro-one è un “peduncolo isolato ma non distaccato dalla forma di corna di un toro possente, o di un solitario toro possente, o di un monade toro possente”, nei cui panni si trova principalmente Zeus, accompagnato da Poseidone e in sottordine da Oceano, tutti personaggi omerici poi rappresentati come muniti di corna, che non hanno il valore dissacratorio odierno ma il valore identitario della loro potenza.

La fondazione di Vieste da Diomede, l’eroe che con Odisseo partecipa ai più salienti episodi dei poemi omerici, oltre a fare parte della tradizione della nascita di questa città (E. Bacco. 1618), è provata dalla presenza di tutti gli elementi che formano il suo sacrario di nome Timavo, tramandato da Strabone (Italia). Tra gli elementi del Timavo, nome greco che dalla fusione di tim(ao)-auo significa “onoro con lamento”, vi sono: 1- le sette correnti di acqua salmastra di cui una di acqua buona, che tuttora scorrono sugli immediati litorali viestani; 2- dei due porti naturali viestani, di cui quello più considerato è il remoto porto naturale ubicato nella vallata del Pantanella, che dal greco panta-na(us)-hel(os)-laas è tutto-navale-approdo-rupe, ossia “rupe completamente approdo di navi’] 3- un bosco bellissimo (il bosco viestano con la Foresta Umbra al cui margine in entrata Omero situa il monte Ida ricco di vene dalla cui vetta Zeus controllava l’andamento della guerra di Troia; 4- l’isolotto deserto tomba di Diomede va individuato con l’isoletta del faro viestano, detto lo Scoglio; 5- la (quasi) isola abitata, chiamata Teuthria, nome che significa “biancastro” derivante dal bianco calcareo delle Rupi del Montarone viestano, che Diomede voleva tagliare con la creazione di un canale per farne una vera isola, che trova la sua realtà sia nel toponimo di Montarone del cui significato si è appena detto e toponimo appartenente al rialto sul quale sorge la remota città di Vieste, 6- la presenza dell’istmo che remotamente collegava il Montarone alla restante terraferma che Diomede avrebbe dovuto tagliare con la creazione di un canale, ma che non riuscì a completare l’opera perché morì, venendo sepolto sull’isola deserta (lo Scoglio) di queste due isole ( l’altra, falsa, isola è il Montarone).che in seguito furono rese famose come Isole Diomedee.

A tutto ciò si aggiungono le antiche monete (49), coniate e ritrovate in Vieste, recanti la scritta OINIADAN, da cui l’altro nome di Eniade per Vieste (M. Petrone). Il nome Oiniade identifica sia la precisa discendenza del popolo viestano e della città da Diomede, uno dei capi degli Achei, figlio di Tideo e nipote di Oineo (leggi Eneo); sia la discendenza di Vieste da Enea, uno dei capi degli Oìnetoi (Eneti, da cui gli attuali Veneti) indicati da Omero come alleati dei Troiani. Ciò spiega definitivamente la successiva venerazione dei Veneti, alleati dei Troiani, nei confronti di un loro nemico, l’Acheo Diomede; sia lo sbarco nello stesso porto viestano di Diomede, che fonda la città col nome Argos Ippion (= atta ai cavalli) ed Enea, che su un luogo già chiamato Troia e Troiano il suo popolo rifonda la sua nuova Troia. Un fatto che spiega la funzione dei territorio viestano come unità di luogo, di tempo e di azione dei poemi, cioè poesie di grandi dimensioni, di Omero.

Strabone inoltre scrive che i compagni di Diomede, tranne uno, furono tramutati con un incantesimo, o metamorfosi, in uccelli (gabbiani!) che tuttora gli rendono onore con lamenti (= tim(ao)auo da cui il nome Timavo) sull’isola deserta e tomba di Diomede (lo Scoglio viestano). Nel prosieguo del mito, invece, emerge che un compagno di Diomede riesce a salvarsi dalla metamorfosi e a sposare la bella fanciulla Yria con cui fonderà una città, chiamata col nome di lei, Uria, destinata a sprofondare nel mare per volere degli dèi (T. Maiorino. Senzetà, 1996).

La leggenda dello sprofondamento di Yria è sopravvissuta fino a oltre un secolo fa, venendo tramandata dal Beltramelli (Nel Gargano del 1907) quando, dopo avere accennato a una fondazione di Vieste da Diomede, su questa scrive: “E v’è quaggiù chi crede ancora alle sirene, v’è chi crede alla poesia del suo mare. Un pescatore che incontro fra questi scogli mi narra questa dolce leggenda. <Una volta viveva a Vieste una fanciulla come non se n’eran vedute mai; la sua bellezza superava il sole, era come l’occhio del Signore (quindi l’iride da cui Iria); le sirene ne vennero in gelosia e un giorno in cui ella andava sola attendendo il suo amico (Pizzomunno, da identificare con il solitario Montarone, in altre parole con Zeus, o in sottordine con Poseidòne), la rapirono. Ora vive in fondo al mare, incatenata agli scogli. Il suo amico piange eternamente e la sospira e l’attende su la spiaggia. Una volta ogni cent’anni, le sirene si commuovono e gli amanti possono avere un giorno d’amore, ma verso sera, allorché illusi dalla loro libertà, fanno per andarsene, le sirene tirano la catena alla quale la fanciulla è avvinta e ripiomba nel mare e per altri cento anni il pianto dell’amato, simile al gemito delle onde, corre la tempesta ed il sereno> ”, La leggenda paesana del bel pescatore viestano che, pietrificato dal dolore, attende sulla spiaggia la notte di luna piena di ogni cento anni in cui rivive il suo amore con la bella fanciulla viestana, che in questo caso possiamo chiamare Yria, trova supporto nelle tante (52) monete con la scritta Yria ritrovate in Vieste (M. Petrone). Yria, l’antica Vieste, infatti aveva una propria zecca.

Quanto al significato, Yria è un nome di origine polivalente. Ma, se non altro per continuità con la fanciulla amata da Pizzomunno, personaggio da identificare con il Montarone, in altre parole con il sempre a caccia di giovani fanciulle, Zeus, fanciulla che per bellezza superava il sole (per luminosità da cui Iria) ed era come l’occhio (l’iride) del Signore che è il caso di associare, come è normale che avvenga sempre nella creazione di un leggenda, sempre a Yria, quindi da riferirsi ancora una volta a Uria città, che per iridescenza è da associare allo splendore di un sito meraviglioso come quello viestano costantemente illuminato dal Sole che, senza ostacoli e in modo unico per il mondo antico circoscritto all’area mediterranea, nasce e tramonta nello stesso mare, facendo riflettere sotto le nubi diradate nel cielo un diffuso colore rosso ardente visibile sia al primo mattino sia a tarda sera. Uno spettacolo della natura che accompagna l’idea del fuoco (ebraico ur, latino uro), simbolo primordiale della vita che si rinnova giorno dopo giorno, e che ora con questa identità Vieste è sotto gli occhi dei turisti che la visitano in estate.

Le lettere K, come pure J, X, Y e W non fanno parte dell’alfabeto italiano, anche se ora per esigenze letterarie e per contatti della Lingua Italiana con letterature straniere le penultime tre lettere vengono associate alla lettera U, mentre W equivale al greco O’. Da questo si fa derivare che Yria vale per Iria, per Uria, per Oria, fanciulla matura per il matrimonio ma non sposata, come pure per Orio e O’rio, che oltre il limite, il confine, in greco indicano Zeus.

Il greco iris indica una striscia di colore, cammino, via, come pure Iride, arcobaleno, alone; iris ha per genitivo eos (= aurora) di cui Vieste è figlia. Da Iris nasce sia l’omerica Iri, dea dell’arcobaleno e messaggera “piè veloce” degli dèi, poi miticamente identificata con Iride; sia l’omerica Iria città dei Beoti e sia l’omerica erbosa Ire, sede di un castello non lontano dal mare, vicino ai Pilo sabbioso, castello ora dato erratamente in Messenia, regione sud occidentale dell’attuale Grecia. L’omerica Pilo, regno di Nestore, fu centro importante in età micenea che viene ora identificata, erratamente, come città della Trifilia nel Peloponneso sud-occidentale. Il Peloponneso è una regione della attuale Grecia, nazione che non ha niente a che fare con i poemi, cioè grandi poesie di Omero. Da Iris nasce pure Iros, Irò, il mitico messaggero analogo all’omerica Iris. L’omerico Irò è pure un mendicante di Itaca che era solito portare a Penelope i messaggi amorosi dei pretendenti Proci e che aizzato da loro, provocò Odisseo, anche lui travestito da mendicante, che uccide Irò con un formidabile pugno nel conseguente duello. Il nome omerico di Yria porta direttamente alla città di origine Beota, ora Vieste, mentre il termine greco Yrieus identifica Irieo, fondatore dell’Ina omerica, cioè Beota, poi Uria, antico nome prestato per lungo tempo a Vieste, anche e soprattutto per il significato del greco ouros (leggi uros) come fossa, solco, canale per trarre le navi da terra in mare e viceversa, uno specifico riferimento al canale tuttora presente nell’alveo del remoto porto naturale viestano del Pantanella.

Il porto del Pantanella compare nel codice’Hamilton del sec. XIII (cioè anni 1200) che nel paragrafo dedicato a <Lo Monte SanctoAngelo> (p. 29) presenta il porto di Vieste come Bestij: <Del Monte SanctoAngelo e Bestij, che è en capo de lo dicto monte da ver greco, V millara. Bestij è bom porto”. Il V miliaria (= km 8,750) è la reale distanza tra la punta della Testa del Gargano e Vieste. Il “ver greco” è da intendere con l’esposizione verso il Greco, cioè verso l’Oriente estivo, direzione reale del detto monte (il Gargano) e della sua estremità (il Montarone) sul quale è situata Bestij. L’esposizione verso greco di Bestij convalida l’uso corretto del termine greco che vale per la Magna (= antica) Greca, cioè Vieste, da cui la Magna (= antica) Grecia estesa all’Italia (erratamente quella meridionale), ma che per questa specifica peculiarità di fatto esclude il termine greco proveniente dall’attuale Grecia. Il vento di greco, o grecale, che Omero chiama Euro, proviene frontalmente al Montarone viestano esattamente dal punto in cui sorge il Sole il giorno del solstizio d’Estate, cioè da dietro la punta settentrionale dello Scoglio, evento da cui nasce il nome Vieste, figlia dell’Oriente come pure figlia legittima Greca. In mezzo ai due corni del Montarone c’è una spiaggetta, ora detta di Marina Piccola, che durante la mia adolescenza veniva chiamata “U Riante”, nome che da ri(s)-ante in primo luogo si riferisce a un sito opposto a ciò che è orientale, come è nella realtà. In secondo luogo potrebbe provenire dalla fusione di due etimi greci ri(s)-anto(lie) che conduce ugualmente sia a un canale, generato dalla particolare orografia interna del Montarone i cui rivoli dì acque piovane anticamente confluivano in un canale situato nella pendenza centrale di una strada viestana di epoca murattiana detta “strada del canale”, ora via Apeneste; sia a una sporgenza della terra rivolta, opposta, di fronte all’Oriente, che per direzione questa spiaggia è difatti esposta all’Est, al greco, all’oriente, all’antichità, all’eternità, all’immortalità, all’origine immutabile del sole e della vita. Anche perchè con questa sua

immaginaria corsa verso Oriente il Montarone viestano si presenta ai supplici del mare per soccorrerli, facendo diventare Vieste una remota città santa, o comunque divina, presente nel suo nome Estia. La dimostrazione di ciò viene confortata sia dai fatti narrati da Omero sul sacrario di Myrina davanti la città di Troia, funzione inalterata di questo altare, tomba, sacrario che si trova tuttora su un poggio (U Munduncidde) davanti la città rovinata ora di Merino, come pure per quanto scrive lo stesso Omero di Scheda, città in cui gli dei si presentavano visibili. Sia dal remoto nome di Vieste inneggiante alla dea sempre vergine Estia, poi Vesta e verginità infine riversata sulla matura fanciulla Oria. Sia dalla funzione di Vieste come Porta della Gran Madre Terra presente in un’iscrizione su pietra inneggiante alla dea Demetra interpretata, asetticamente, dal Petrone. Sia per la presenza a Vieste del Sanctum Idalium di Catullo, un riferimento specifico al Monte Ida ricco di vene, luogo di amore e di reciproci inganni di Zeus ed Era, o Atena, sull’esito della guerra dì Troia di cui scrive Omero. Il monte Ida che, invece di un monte garganico vicino alla località viestana di Merino, o Troia, viene ora erratamente individuato come monte della Misia i cui Misii per alcuni sono abitanti di una regione dell’Asia Minore per altri di una regione della Tracia. Sta di fatto che il santo Idalio compare unitamente agli Uri Aperti del Gargano in Catullo, che sono Viestani come veneratori di Venere Sosandra, cioè soccorritrice, soprattutto dei naviganti del mare.

Il predetto nome di Monte SantoAngelo, ora passato per più recenti motivi religiosi a Montesantangelo, città che di fatto è situata sulla coda, a Occidente, del Monte Gargano e che di fatto non si annuncia (greco aggello) né verso il mare, né verso il Sole nascente, né verso il vento di Greco che i Montanari identificano tuttora come “Vento di Vieste”. Il Monte Gargano assume il nome SantoAngelo perché ha al suo apice Vieste, definita “borri porto”, cioè un buon sito portuale che si annuncia (greco aggello) verso il mare, il vento orientale, il Greco e il Sole nascente, da cui il significato di figlia Greca, o dell’Oriente, insito in Vieste, dentro il cui porto naturale, il Pantanella, si appoggiavano i numerosi supplici e sventurati naufraghi del mare, a cominciare dall’omerico Odisseo, odiato da Poseidone per avere accecato suo figlio Polifemo.

Il portolano Magliabecchi nel 1420 scrive: “Dal monte sancto Angniolo al monte allisola bestia 25 miglia quarta di ponente ver maestro, lisola e buon surgitoio e puoi entrare da ponente (e da leuante) e puoi stare a anchora e prodese alli pali”. La distanza di 25 miglia (km 43,750) indica la lunghezza del Monte Gargano. L’esposizione dell’isola bestia questa volta ver maestro, il Maestrale, cioè un vento più nordico e poco meno orientale del Grecale, che Omero chiama Euro; il ver maestro vale per la punta del corno di sinistra del Montarone detto della Banchina cui fa seguito la Mancina, la sinistra, da cui il mare occidentale o Golfo Adriatico; la presenza dell’altro “monte allisola bestia” è un preciso riferimento all’isolato Montarone, su cui sorge il centro storico di Vieste, città che il Magliabecchi identifica anche come isola, identità già presente in Omero; il buon surgitoio interessa soprattutto la corrente del porto del Pantanella e le correnti che tuttora scorrono sui litorali del Montarone dell’isolata Vieste; la presenza di due porti: uno a Ponente, a Ovest, il Pantanella, e l’altro a Levante, a Est del Montarone viestano, era anticamente situato sul fianco del lato orientale, a Levante, dello stesso Montarone.

Più dettagliatamente, nel 1490 il portolano Rizo scrive: “Bestie e cita e sia per tramontana do ixole che li fa porto la sua intrada si e di leuante e perche la bocha da ponente e pizola et iui per esserui picol fondi usa grandissima chorente de aque pero darai li prodexi in terra ale ixole e le anchore in fondi verso la terra L’orientamento verso la tramontana del Rizo vale soprattutto per la direzione Sud-Nord dello Scoglio viestano, valevole anche per l’omerica Bora, vento che giunge a Vieste da 0° latitudine Nord, ma che è anche dovuta alla vastità della vista marittima di cui godono i Viestani; oltre le due isole della città di Bestie c’è da considerare sia la grandissima corrente di acque, tuttora esistente, da usare per far entrare (e far uscire) le navi di poppa nella piccola bocca di Ponente, quindi il Pantanella, che si trova a Ovest del Montarone; sia le do ixole che li fa porto, che significa che oltre le due isole, lo Scoglio e l’isolato Montarone, ci sono pure due (li fa) porti. Il secondo porto, di Ponente, con piccola bocca e già di poca profondità (picol fondi), e con la corrente d’acqua da usare per l’entrata (e per l’uscita) di poppa è un chiaro

riferimento al Pantanella già presente nel greco ouros da cui uno dei principali motivi del nome Uria per Vieste. Il primo porto di cui scrive il Rizo si trovava a Levante, cioè a Est, sul fianco destro, dentale, dell’isolato Montarone viestano. Il nome Bestia, che compare nel Codice Hamilton, nel Magliabecchi, nel Rizo come pure in altri antichi scrittori, deriva dall’essere fuori di sé, quasi ubriacati, storditi, dall’essere andato in bestia del Montarone con i suoi abitanti per colpa dei venti e dalle conseguenti maree che quasi costantemente flagellano il Montarone viestano. Da ciò i Viestani vengono chiamati da Plinio “Methynnati ex Gargano”, nome proveniente dal verbo greco rnethyo, da cui pure il dio del vino Methynnaio, e tuttora presente nella bestemmia dei ragazzi viestani di qualche tempo fa: “mannagghia la madosca” (mal n’abbia la madosca, cioè l’ubriacatura, l’essere ebbro, l’essere fuori di sé, l’essere in bestia presente anche nel verbo greco methysco). Fatto per cui i Viestani si sono autoproclamati Vestysane, cioè figli dell’aestus antico, fenomeno naturale che viene reso esaltato dalla particolare orografia a forma di imbuto aperto verso il mare della parte interna dei corni del Montarone, che vengono in parte chiusi dallo Scoglio, che insieme contribuiscono a creare l’aestus anche in giornate di assenza di vento. Il latino aestus è in parte simile al greco rnethyo. Un fenomeno naturale che parte già da Omero quando scrive dell’Isola Eolia, che non è l’indicata attuale isola di Lipari, ma la ventosa Vieste che come l’isola Eolia di Omero prende il nome da Eolo, il dio dei venti che consegnò a Odisseo un otre chiuso ripieno di venti, venendo nel suo poetico vagare per il mare in un secondo momento scacciato dallo stesso Eolo perché, durante una pausa di sonno di Odisseo, i suoi compagni trasgredirono le direttive di questo dio aprendo l’otre da cui fuoriuscirono tutti i venti, che lasciati liberi provocano marosi che tormentano il Montarone i cui abitanti, Viestani, vengono identificati da Plinio come Methynnati, anche come discendenti del dio del vino Methynnaio, o Vestysène e la città identificata come l’isola Bestia.

Nel Codice Diplomatico del Monastero Benedettino di S. Maria di Tremiti si legge che “nel 1155 la Chiesa di S. Lorenzo è fondata sulla punta medesima sopra il porto Aviarie, che si trova dalla parte dove si vede la punta della chiesa rupestre di S. Eugenia (Petrucci)”, poi rupe di S. Croce. Laicamente la punta della Banchina, la cui parte occidentale viene detta pure la Mancine, la sinistra, da cui origina il mare occidentale, precisamente il Golfo Adriatico anticamente chiamato pure Sinus Urianus, Golfo Uriano, in contrapposizione al viestano Mère Granne, il Mare Grande, il Mare Ionio, che anticamente originava a destra del corno di (S.) Francesco, detto “U Trione”, che dal latino trio-onis conferma il toro già presente nel Montaurone. Come si vedrà in seguito il Mare Ionio e il Golfo Adriatico ancora tempo fa si dividevano di fronte a Vieste, città Pizzomunno.

Plinio, che si limita a citare i luoghi in perfetto ordine alfabetico, scrive: “di qui l’Apulia dei Dauni, dal nome del duce suocero di Diomede, in cui la città di Salapia Siponto Uria Porto Aggasus, la punta del Monte Gargano, che dista 234 miglia dal Salento o Japigo, comprendendo in questa distanza il periplo del Gargano, il porto Garnae, il lago Pantano…” A parte Uria, del cui parziale significato di canale per trarre le navi in e dal porto del Pantanella si è già detto, il porto Aggasus (dal greco aggos e aggeion) è, tra l’altro, un letto di mare che è lo stesso di un porto di riposo di navi situato alla punta (il Montarone) del Monte Gargano, che entrambi si annunciano (aggello) nel mare. Il greco aggeion indica pure una vena, o un’arteria, che sta per la corrente d’acqua che, secondo il Magliabecchi e il Rizo, serviva per l’entrata (e l’uscita) nel porto Aggasus di Plinio. Dal porto viestano detto Aggasus ha origine il nome dell’antico popolo italico degli Angesi (Aggaisioi) di Licofrone (3° sec. a.C.). Il porto Garnae (= perché navale) è ancora lo stesso porto viestano del Pantanella munito di sorgente d’acqua (la vena, o arteria). Il lago Pantano è in primo luogo da identificare con lo stesso porto del Pantanella, che in una rivista per architetti veniva indicato come “lago della Vittoria” nome derivante dallo stato d’animo di chi riusciva a giungere via mare in questo porto. La vittoria è tuttora presente nel nome dell’attuale grotta di (S.) Nicola che ancora nel 1600 si trovava adiacente il mare (Mascio Ferracuti). Nicola è nome greco che proviene da nike = vittoria, e laas = rupe. In secondo luogo il lago Pantano citato da Plinio va identificato con il viestano lago Pantano, da tempo disseccato, ma che ancora nel 1780 si trovava nella piana di Merino ricordato in modo del tutto fiabesco dal Giuliani (Memorie Storiche di Vieste).

Virgilio (Eneide 111,521) del porto di sbarco di Enea, altro fondatore di Vieste col nome Troia, scrive di: “un porto che si curva ad arco verso l’onda orientale, con gli scogli avanzanti che

grondano spuma e spruzzi salmastri, ma esso è al riparo: in doppio bastione allungano i bracci rupi turrite e il tempio, dedicato a Minerva, arretra da riva comparendo sulla vetta”, Gli scogli avanzanti con il doppio bastione e suoi bracci sono i due corni del Montarone. In vetta alle rupi turrite del Montarone c’è la basilica viestana, edificata sulle rovine dell’antico tempio di Vesta (E. Pacco). Vesta, oltre che con Estia, si sincretizza sia con Minerva per la perenne verginità di queste due dee, sia con Oria (di Puglia), una fanciulla pronta per il matrimonio ma non ancora sposata.

P. Mela individua il porto viestano con alcune particolarità, scrivendo:      e il Monte Gargano: è un

seno incinto dalla continuità del litorale apulo, di nome Uria, con un’entrata stretta e per lo più tormentata (asper accessu). Fuori Siponto”. Il seno incinto equivale a un golfo cinto di rupi che è lo stesso dell’alveo con canale per trarre le navi da e per il mare presente nel greco ouros da cui Uria, mentre l’entrata stretta e di accesso difficile di questo porto coincidono parzialmente con i racconti del porto di Ponente, o occidentale del Rizo, del Magliabecchi e dalla realtà del porto naturale del Pantanella viestano.

Omero di Scheria, nome che proviene dalla funzione di approdo del porto di questa città derivante dall’indeuropeo sker presente nel greco scheripto, scrive: “Ma come in vista della città arriveremo un muro alto, e bello ai lati della città s’apre un porto, ma stretta è l’entrata” e che “Guardava ammirato Odisseo i porti, le navi equilibrate, le lunghe mura, eccelse, munite di palizzata, meraviglia a vederle”. I porti (due) che si aprono ai lati della città (Scheria) e l’entrata stretta (del principale porto come pure della città coincidono sia con l’entrata stretta del porto del Pantanella, sia con l’entrata stretta della città (ora Vieste) la cui porta principale e le lunghe mura munite di palizzata si trovavano sull’istmo, a monte del Montarone. L’altro porto viene descritto da Omero come “piccola roccia grandi flutti trattiene” che fino a qualche anno fa si trovava a Levante, cioè a Oriente, del Montarone. A Oriente, sulla destra del Montarone iniziava il viestano “Mère Granne”, il Mare Grande, il Mare Ionio che confinava con il Sinus Urianus, poi Golfo Adriatico. Del ritrovamento di queste predette mura fatti di grandi blocchi di pietra squadrati vi è notizia nel Pisani (1664-1700), di mura munite anche di palizzata nel Giuliani (1780) e in T. Masanotti (1840). Parte di questi grandi blocchi di pietra sono ultimamente emersi negli scavi delle fondamenta per l’ampliamento dell’Hotel Mediterraneo (intorno al 1990) sul cui fianco sono ora diligentemente accatastati. Scheria si identifica con Vieste anche per la creazione di Poseidone di forti è alte rupi tutto intorno la città; per la falesia generata dallo stesso Poseidone con un colpo di tridente che provoca la morte del bugiardo Aiace Oileo. A questi fatti si aggiungono l’affondamento e la pietrificazione della nave (lo Scoglio) dei Feaci con una manata di Poseidone al ritorno a Scheria da Ithaca per l’accompagno di Odisseo, proseguendo con il minacciato rigonfiamento del Montarone per coprire la città dal mare (l’evidente soprelevazione calcarea del Montarone se visto dalla Scialara) cui si aggiunge il minacciato vomito di una stele sul fianco di Scheria (il Puzmume), come ammonimento a non accompagnare più nessuno, che di fatto si incontra come il bastione di pietra (il Puzmume) al quale si attacca sia Odisseo in balia delle onde, e sia Eracle nelle narrazioni di Omero. Le lunghe mura della città di Scheria sono state edificate da Alcinoo, figlio di Nausitòo, nipote di Poseidone, marito di Areta e padre di Nausicàa. Nausica si incontra con Odisseo, sbattuto sulla spiaggia di Scheria dall’ultima ondata di Poseidone, dove approda alla prima delle sei correnti (canali, o fiumi) della Scialara, precisamente in località viestana detta la “Scanzatore”. Scanzatore è un nome formato da tre etimi greci: scanao = scene col significato di palcoscenico; za sta per dia = per mezzo; tore abbreviazione di toreuo = fo sentire ad alta voce, che complessivamente portano a un ‘‘palcoscenico per mezzo del guale farsi sentire a voce alta”, cioè al luogo omerico in cui sia le ancelle e sia Nausica si fanno sentire, gridando a voce alta, dall’esausto e sonnolento Odisseo, per la caduta accidentale della palla nella prima delle sei correnti della Scialara con cui tutte le ancelle giocavano in attesa che i panni appena lavati e stesi sulla spiaggia si asciugassero. Un’usanza che a Vieste è vissuta ancora fino agli anni 1955.

Omero del porto dei Lestrigoni scrive: “Qui, e come entrammo nel bel porto, che roccia inaccessibile cinge, ininterrotta da una parte e dall’altra, e due promontori sporgenti, correndosi incontro sulla bocca s’avanzano, stretta è l’entrata; qui, dunque, gli altri tutti spinsero dentro le navi ben manovrabili e quelle nel porto profondo stavan legate vicine, che mai si gonfiava flutto là

dentro, né grande né piccolo, ma v’era candida bonaccia (è il letto di mare presente in aggos)”. La polla sorgentifera, o fiume, o corrente, di questo porto viene da Omero chiamata Artachia (la Vena, o arteria presente in aggos). Il porto dei Lestrigoni con la corrente di Artachia è quello più veritiero e corrispondente a tutta la remota località sia del Montarone, con i due promontori sporgenti che s’avanzano sulla bocca del porto, sia del porto del Pantanella con la spinta di tutti gli altri componenti l’equipaggio all’entrata, o bocca stretta con dentro e per uso, la foce dell’Artachia. Sui due promontori sporgenti facenti parte di Scheda, Omero sul primo ubica Scilla, il mostro marino con sei bocche che preleva altrettanti compagni dalla nave di Odisseo, che assiste impassibile alla scena, preferendo allontanarsi per lo spavento. L’omerica Scilla si trovava dentro la viestana “Grotte i Trève” un crepaccio con una spiaggetta ciottolosa cui fa seguito una grotta buia sotto la punta interna del Trione, o punta di S. Francesco. Trève viene dal greco treo, fuggire atterriti, cosa che come è capitato a Odisseo e compagni per l’occasione, capitava pure a noi ragazzi che una volta entrati venivamo spaventati e fuggivamo atterriti dopo che qualcuno più grande di età si divertiva creando panico col grido al mostro! Sul secondo promontorio, a un tiro di freccia con l’arco, come scrive Omero, c’è tuttora Cariddi, detto in dialetto “U Spacche Rusenèlle”. Questo nome deriva da etimi greci intonati a quanto avviene in questo crepaccio, che da spao = risucchio, tracanno; rous = corrente, o corso delle acque, o roos = flusso (e riflusso) di ventre; neles = spietato, inesorabile, conducendo a un crepaccio che “risucchia il corso delle acque con un flusso e riflusso di ventre inesorabile, o che non perdona”, che corrisponde esattamente al fenomeno naturale, descritto da Omero per le vicissitudini, questa volta, della zattera di Odisseo: fenomeno ancora visibile nelle giornate in cui spira il vento Grecale malgrado la recente costruzione della diga foranea attaccata allo Scoglio del Faro. Questo fenomeno viene creato dalle ondate che s’incavernano nell’ampia grotta successiva allo stretto passaggio, o cunicolo, che a sua volta viene anticipato dalla forma a imbuto aperto dell’entrata del crepaccio verso il mare e che una volta superato il limite con le ondate successive, quando le acque fuoriescono con una certa violenza danno modo di vedere il fondo del mare: l’unica licenza poetica di Omero è la riduzione a tre volte al giorno del numero complessivo del continuo flusso e riflusso delle onde marine, in e da, questo Spacche di Rusenèlle, alias Cariddi. Ora Scilla e Cariddi vengono erratamente situate sullo Stretto di Messina dove, sul lato calabro c’è una località, o cittadina chiamata Scilla, senza considerare la distanza di un tiro di freccia con l’arco da Cariddi a Scilla considerata da Omero.

Omero del porto dei Ciclopi scrive: “qui all’estrema punta una grotta vedemmo, sul mare .. qui un uomo aveva tana, un mostro, che greggi pasceva … un’isola piatta davanti al porto si stende .. c’è un porto comodo, dove non c’è bisogno di fune, o di gettar l’ancora o di legare le gomene, ma basta approdare e restare a piacere, fino a che l’animo dei marinai non fa fretta o non spirino i venti (il letto di mare di aggos) In capo al porto scorre acqua limpida una sorgente sotto le grotte (la vena, o arteria presente in aggos): pioppi crescono intorno”. Il mostro è Polifemo che abitava nella grotta, ora di (S.) Nicola, che ancora nel 1600 si trovava iuxta (adiacente il) mare (Mascio Ferracuti). L’isola piatta che si stende davanti al porto è lo stesso poggio che in parte si trova tuttora a fianco della Scuola Media Spalatro sul quale ora spicca un traliccio telefonico, ma che ancora nel 1970 aveva origine dal fianco interno della collina del Carmine. Quest’isola piatta che con l’opposta Chianghe dell’Onne, Chianga (roccia levigata) dalle Onde, ora quasi del tutto divelta per fare posto a fabbricati, semichiudevano con una leggera sgambatura in buona parte l’entrata del Pantanella rendendo quiete le sue acque interne. Oltre il riferimento del Giuliani, che afferma la presenza di una scogliera bassa sulla quale si infrangeva il mare, situata all’imboccatura antica del Pantanella, aggiungendo che “Donna Peppinella Mafrolla”, nota ai Viestani perchè novella Poppea faceva il bagno nel latte, in quel sito possedeva il giardino detto “Chianghe de l’Onne”, cioè “il giardino della bassa scogliera delle onde”. Alcuni dicono che fosse chiamata così per il particolare terrazzamento che ricordava le onde del mare, che fino al 1600 vi arrivava realmente. Tra questi

due opposti poggi tuttora scorre -(dal 1972 canalizzato sotto via Pertini e la parte terminale già da data precedente sotto via della Repubblica) la corrente di acqua buona (la vena di aggos) del Pantanella, che tuttora sfocia nell’angolo che si trova all’origine del molo turistico, o molo di Ponente. Secondo Omero la nave di Odisseo non entra in questo porto, ma reste ormeggiata fuori, al di qua dell’isola piatta situata all’entrata di questo porto.

Omero, dopo aver scritto che il porto di Itaca è sacro al signore del mare, il dio Forches, o Forchi, o Forco, la cui presenza è tuttora testimoniata dagli scogli marini detti <i Forchi>, ora italianizzato in Forti, situati sott’acqua a sei miglia a nord di Vieste, di questo porto di Itaca Omero aggiunge: “due punte s’avanzano e sporgendo a picco (i due corni del Montarone) proteggono la baia (del Pantanella), chiudendo fuori l’onde immani dei venti violenti e dentro senza ormeggio rimangono le navi buoni scalmi, (il letto di mare presente in aggos) quando alla fonda sian giunte. In capo alla baia c’è un ulivo frondoso, e li vicino un antro amabile, oscuro, sacro alle ninfe che si chiamano Naiadi (.) e vi sono acque perenni”, che sono quelle della fonte che questa volta Omero, per ovvie ragioni poetiche, chiama Aretusa (la vena, o arteria presente in aggos). Le acque perenni sono di fatto presenti nelle correnti viestane, a cominciare da quella di acqua buona da bere del Pantanella e finire con quelle tutte salmastre che continuano a urinare tuttora sui litorali di Vieste, uno degli altri motivi da cui nasce il suo nome di Uria, comprendendo i numerosi pozzi sorgivi privati e pubblici esistenti nel suo territorio. Vieste come “Porta della Gran Madre Terra. Acqua Sorgiva”, è presente su un’iscrizione messapica su una pietra interpretata, in modo asettico, dal Petrone; la Gran Madre Terra è tuttora presente nella località la “Gioia”; la Porta è Vieste con i suoi due remoti porti. Quanto all’Acqua Sorgiva si aggiunge che Vieste viene indicata da Polibio come “sorgente e madre del mare”, nel 1907 il Beltramelli di Vieste, la Sperduta del Gargano scrive: “Le due lavandaie mi raccontano come il mare si sia formato, sotto la montagna, un grande nido”Un riferimento al Montarone nei panni dell’omerico Oceano, pure lui munito di corna, pensando che il mare si fosse formato dall’acqua, o urina, proveniente dalle correnti viestane che, invece e secondo Omero, venivano traboccate, cioè riempite oltre il loro orlo superiore, dalla forza di Oceano. La similitudine del porto naturale del Pantanella con quello dei Ciclopi, dei Lestrigoni, di Itaca e di Scheda costituisce una delle tante evidenti prove che portano in esclusiva Omero e i suoi poemi a Vieste.

A questi fatti si aggiunge Platone che del porto di Atlantide testualmente scrive: “Quel pelago allora era navigabile, da poi che un’isola aveva innanzi alla bocca (il Montarone), la quale chiamate Colonne d’Ercole (i due corni del Montarone in quanto Pizzomunno che data la sinonimia diventa nel contempo Atlante; o l’unione del Montarone con il Puzmume, cioè l’omerica stele vomitata da Poseidone sul fianco della città di Scheda; l’omerico bastione di pietra al quale si aggrappa Odisseo riuscendo a salvarsi, cui si aggiunge la limitrofa Rupe (la Ripe viestana) che pare levigata e che un mortale non poteva scalare neppure se avesse avuto 20 mani e 20 piedi dal momento che Platone scrive di Colonne d’Eracle, mentre Omero scrive di un solo bastione della terra d’Eracle (il Puzmume) usato pure da costui per salvarsi. Platone continua .. ‘‘ed era l’isola più grande che la Libia e l’Asia insieme (cioè l’Europa) .. donde era passaggio alle altre isole (ora Croate).. a quelli che viaggiavano di quel tempo, e dalle isole (ora Croate) a tutto il continente che è a dirimpetto (l’omerica Tracia, ora Penisola Balcanica), che inghirlanda quel vero mare (l’Oceano di Omero). E per fermo (Vieste, che con il nome greco di Estia, o Istia, da istemi è fondamento, statua, sisto, al pari di un telamone, di un atlante, di un pizzo) quel tanto mare che è dentro alla bocca della quale favelliamo (il Golfo Adriatico, già Sinus Urianus) è un porto dall’entrata stretta a vedere (il Pantanella); ma quell’altro assai propriamente dire si può vero mare (il mare Ionio, il viestano Mère Granne). La già considerata divisione di questi due mari a Vieste, oltre che in Omero che scrive di un naufrago (Odisseo) che non si sa se proveniente dalle genti orientali (eonion) o dalle genti occidentali (esperion), si trova nel geografo/matematico Tolomeo che scrive:

nel mare Ionio Salapia, Siponto, Apeneste 42,50,40, (dato riferito alla longitudine dell’estremità del) Monte Gargano 42,20,41 (dato riferito alla longitudine della base, o dell’entroterra del Monte

(Gargano) e adiacente il mare Adriatico, Hyrium”. Platone continua: “…Ora, in cotesta isola

Atlantide (Vieste, poiché l’atlante, l’angolo, il telamone, il pizzo di Pizzomunno sono sinonimi anche perché Atlante tiene il mondo sulle spalle, mentre il nano Vestri, altro nome di Vieste usato nel “1442 e nel 1646, tiene il lembo occidentale della volta celeste coadiuvato dal nano Austri che tiene il lembo della volta celeste orientale), venne su possanza di cotali re, grande e meravigliosa (che rei 1500 Nostradamus definisce il Regno d’Angoulmois cioè Regno dell’Angolo culla, altro riferimento a Vieste come Pizzomunno), che signoreggiavano in tutta l’isola (l’Italia in quanto ritenuta da Omero e successivamente da altri storici come un’isola di forma triangolare!) e in molte altre isole e parti del continente (l’omerica Apeira, o l’erodotiana Europa); e di qua dallo stretto tenevano imperio sovra la Libia infino a Egitto, e sovra l’Europa (ridotta all’Italia) infino a Tirrenia (Tirrenia è l’Etruria, l’attuale Toscana)”. Lo stretto cui si riferisce Platone è lo stretto braccio del vasto mare dell’Ellesponto che, secondo Omero, Achille, partendo dalla spiaggia troiana (ora Scialmarino) avrebbe ripercorso in tre giorni di navigazione verso l’Aurora, (verso l’Est, l’Oriente, il Greco) per tornare in patria a Ftia in Tracia; o lo Stretto Ionico di Polibio oltre il quale c’è il Golfo Adriatico; o il Laurento di Livio che sul punto di arrivo (o di partenza) aggiunge: “Anche questo luogo è chiamato Troia“, dando prova di ignorare, come tutti finora, l’esistenza di Troia e di Omero a Vieste. Infatti in località di Merino ci sono ancora i resti di una città sepolta dal fango in seguito alla piena del torrente detto Canale della Macchia dopo un’alluvione, di nove giorni, raccontata da Omero dopo l’incendio di Troia; la bassa collina, o poggio, (il viestano Munduncidde), sacrario di Myrina che è tuttora funzionante come altare di Myrina, ora (S.) Maria di Merino; l’omerica Bellacollina ha il nome di “Montincello”, in viestano “u Muntincidde”, cioè un monte piccolo e bello, che è lo stesso di una Bellacollina; lo Scamandro con tutti i suoi affluenti confluiscono nel letto del Canale della Macchia, che da make è battaglia, luogo di battaglia; la spiaggia di Scialmarino, lunga Km 5 è poeticamente capace di contenere le duemila navi degli Achei; la rocca di Caprareza con sopra il Pergamo di Priamo che compare sia come una Torre segnalata da Seneca (Le Troiane v. 1068), sia nel 1200 come “Castellum Marini” (A. Russi) e del quale scrive il Giuliani ancora nel 1780 con il muro scarpato e la strada per salire sopra Caprareza. Omero scrive che da metà di questa strada Elena indica a Priamo i principali eroi achei. Caprareza è un toponimo di origine greca proveniente dalla fusione di capra(ina): troia, a sua volta simile a capra(o), cioè l’essere innamorato in calore, o troia; con il reza finale proveniente dal greco rezo che significa sacrifico, offro in sacrificio. Caprareza in definitiva indica una “Troia data in sacrificio, o sacrificata”. Vicino a Merino, inoltre, c’è la Necropoli della Salata, che è il Regno dei Morti di Omero. Ai piedi di questa necropoli, infatti, scorrono tuttora tre sorgenti d’acqua di natura carsica, che elenco nell’ordine inverso a quello descritto da Omero: quella dello Stige che confluisce in quella del Cocìto le quali fondendosi davanti una roccia bianca ricevono quella del Piriflegetonte che, fondendosi a loro volta, finiscono nel terminale fiume Acheronte, che tuttora sfocia in mare a Scialmarino.

Per suo conto Erodoto nelle sue Storie scrive: “Sta vicino a questa montagnola un monte (il Montarone) che ha nome Atlante(da cui Atlantide per il Montarone in quanto già Pizzomunno, essendo pizzo sinonimo di atlante). E’ stretto e circolare (il Montarone) da ogni parte ed alto -a quanto si dice- tanto che le sue vette non si possono scorgere: giammai infatti le abbandonano le nubi né d’estate né d’inverno (lo stesso scrive Omero per la già citata Rupe (la Ripe) del Montarone che nessun uomo avrebbe potuto scalare neanche con 20 piedi e 20 mani, con a fianco il monolite del Puzmume). Gli indigeni dicono che sia una colonna della volta celeste(Il Montarone). Da questo monte (il Montarone) gli abitanti del paese han tratto il nome, si chiamano infatti Atlanti(cioè infaticabili, lo stesso del monade toro possente del Montarone come pure dei Vestani da ves = forza, quindi forzuti; atlante è lo stesso di angolo, di pizzo presente nel Pizzomunno come riduzione del Montarone, come pure del telamone etimologicamente presente in atlante) (…) Dunque fino a questi Atlanti sono in grado di dire i nomi di quelli che abitano sull’altura (il Montarone), ma da questi in poi non più. Il ciglione(il Montarone, o l’orlo di italica spiaggia di Virgilio, o il pizzo di Pizzomunno, o l’atlante di Atlantide) si estende in ogni modo fino alle colonne d’Eracle(che invece del bastione della terra d’Eracle e di luoghi viestani, ora vengono erratamente situate sullo Stretto di Gibilterra), e anche oltre queste” (dove ora c’è l’Oceano Atlantico, che per significato di infaticabile è lo stesso di Adriatico, nome fatto pervenire dalla città di Adria, altro nome dell’impronunciabile Vesta. Adros, forte, è presente in ves di Ves-ta e nella potenza insita nel Montarone viestano, mentre nell’attuale Oceano Atlantico tuttora si

cerca, invano, il continente Atlantide, che come infaticabile è lo stesso di adros (forte) di Adria e di Ves-ta (= forte estremità, che è presente nella potenza del monade toro del Montarone). Alla divisione di Omero tra occidentale (esperion), in viestano “la Mancine” poi Golfo Adriatico (= forte), già chiamato Sinus Urianus, cioè Golfo Uriano, con il confinante mare Ionio (da eonion = orientale: il viestano Mare Granne), divisione confermata anche da Tolomeo, si aggiunge che il continente Europa (= vasta vista) di Erodoto, o il continente Atlantide (infaticabile) di Platone con il suo Oceano Atlantico (infaticabile), hanno origine rispettivamente sia dalla vasta vista verso l’orizzonte marittimo orientale, o greco, che si gode dal Montarone e sia dalla potenza dovuta alla resistenza gii marosi dello stesso Montarone in quanto Pizzomunno e sia dalla forza presente in Ves-ta. Il Continente Apeira (= aperta, del tutto identico alla mia “vasta vista” di Europa) con capitale Scheda di Omero, che chiama Oceano tutto il mare di fronte a Vieste. Oceano che viene per la prima volta diviso in due (eonion ed esperion) da Omero con la sua creazione dell’Ellesponto, lo stretto braccio del vasto mare che non è lo stesso di un canale marittimo stretto da due terre dell’attuale Bosforo, chiamato dagli antichi abitanti dell’attuale Grecia come Stretto dei Dardanelli, generando un’indicibile confusione che perdura tuttora. Dardanelli è un nome proveniente da Dardania, città distrutta dall’omerico Eracle con sei navi, dalla cui rovina poi nasce Troia.

Come Adria pure il nome Uria venne attribuito per oltre sei secoli a Vieste in sostituzione del nome greco Estia poi latino Vesta, nome tenuto segreto per ragioni politiche/militari/religiosi dei Romani che, pena di morte, proibirono a tutti la semplice pronuncia di questo nome. Uria, si presta a diverse interpretazioni, essendo ur appartenente sia a ur, col significato ebraico e latino di luce, fuoco, sia ad uro col significato indeuropeo e latino di acqua presente pure nel greco ouron. Da questi due elementi ha origine la sparizione in una notte e un giorno di diverse città, a cominciare dall’omerica Troia come pure di Uria, allo stesso modo in cui avviene pure la sparizione di numerose isole mitiche mai più trovate, se non dal relatore che a ragione le ha associate tutte alla sparizione di Troia e di Uria, alle quali città i loro molti popoli amarono imparentarsi, come pure alla sparizione di isole talvolta anche di dimensioni continentali come Atlantide di Platone, Thule di Pitea e la biblica Tiro (le indeuropee consonanti tr, indicano rovina, si trovano pure nell’omerica Troos) di cui scrivono Ezechiele e Isaia, ma entità riconducibili a Vieste a cominciare da Uria e Troia, senza contare la sparizione di Scheda capitale di un Continente Apeira di Omero.

Dal dittongo ou si passa a u, già presente in ouros di Uria, l’alveo con canale per trarre le navi da e per il mare del Pantanella, da cui nascono gli Ouroi, cioè gli Uri, popolo della Colchide dato giustamente da Orfici in Argivi. Gli Uri sono presenti a Vieste come Uri aperti del Gargano in Catullo. La Colchide, cioè vergine, è una regione troiana, quindi Viestana, anche come città argiva, cioè bianca per il calcare presente sui fianchi del Montarone, cui si aggiunge pure l’omerica Creta, cioè bianca per la polvere calcarea, o creta, sia per le cento città dell’Iliade, sia per le novanta città dell’Odissea, sia per i monti coperti di neve e per il mare fumoso di cui scrive Omero, che per dimensioni e clima escludono questo nome dall’attuale isola di Creta. Non a caso nelle loro vicissitudini i Cretesi fondano Uria sul luogo di approdo dopo un naufragio a Vieste, assumendo il nome di Iapigi-Messapi, che dal greco la-pyga/Mes-apia equivalgono a una Monade Troia-Centro (dell’) Antichità da riferirsi a Vieste in quanto Uria e Troia. Uriel è il nome dell’angelo che governa l’ispirazione, l’intelligenza e la spiccata intuizione dei nati sotto il segno zodiacale dell’Aquario di cui fa parte lo scrivente. Il greco ouros indica sia un vento favorevole pervenuto dopo la sventura, o il naufragio capitato a molti fondatori di Uria, ora Vieste; sia un guardiano, difesa, protettore, difensore, custode, baluardo, un riferimento al Montarone come faro dei naviganti, funzione di Vieste presente nel V sec. a.C.; sia a un uro, una sorta di bufalo, cornuto come il Montarone; sia un monte, il Montarone; sia un limite, confine, che si trova pure in ouron, in orion, in oros, in oria anche come estremità, funzione di confine, di limite della Terra del Montarone viestano già identificato come Pizzomunno. Orios e O’rios, oltre che limite, confine insito nel pizzo di Pizzomunno, individua Zeus già presente nel monade toro possente del Montarone come

Pizzomunno, che come penisola si trova anche sotto l’egida di Poseidone, il cui figlio Nausitoo (il navigatore veloce) fonda Vieste col nome Scheda nel racconto di Omero. Oltre il significato di limite, confine, il nome Ouron (ind. eu. uers; sscr. vari, acqua, lat. urina), presenta il significato di orina, cioè acqua che gargarizza e tuttora scorre in abbondanza nelle correnti viestane che unitamente a ur, fuoco, sono la causa della sparizione in una notte e un giorno di Troia come pure di Uria e per finire del continente Atlantide. Il fuoco è una prerogativa di Vesta come pure di Estia, divinità che nascono da Demetra, la terra madre grande, o grande madre terra, dotata di fiaccola, che così appare in una iscrizione messapica su pietra trovata a Vieste e interpretata, asetticamente, dal Petrone. Il termine ouria, presente sia in ourios, sia in ouron, indicante un’uria, una sorta di anitra, in realtà un mergo, o un solitario e silenzioso uccello che si tuffa sott’acqua per lungo tempo per catturare pesci e che fuoriesce, talvolta a notevole distanza, subito dopo averne catturato uno: un parallelo riferimento di questa uria al Montarone viestano che difatti solitario strapiomba inabissandosi nel mare. Infine il nome Ourion dato a Vieste da Strabone significa “uovo infecondo” che una volta fecondato dà origine a tutto lo scibile umano, come di fatto è avvenuto. L’uovo infecondo va attribuito al Montarone in quanto Pizzomunno, Pizzo del Mondo, sia in senso geografico e storico; sia in senso demografico, per l’elenco dei nomi di numerosi popoli omerici impegnati nella guerra di Troia di cui ha fatto una quasi totale incetta l’attuale Grecia, rea di aver individuato l’Ellesponto omerico col Bosforo; sia in senso religioso, tuttora valido. Ma tutti questi significati trovano univoco conforto a Vieste, città di nascita di Omero e dei suoi poemi.

L’incontro tra Eòs, l’Aurora, e il fondatore dell’Yria dei Beoti di Omero, Irieo, viene spiegato dalla mitologia (A. Morelli. Dei e Miti) in cui Irieo, per avere dato ospitalità per una notte a Zeus, Poseidone ed Ermes, ebbe per ricompensa la nascita di suo figlio Orione, personaggio già presente in Omero. A Chio, Orione, definito cacciatore mitico che per Omero diventa costellazione, come pure un normale uomo, si innamorò di Merope, figlia di Enopione (= il buon vino) a sua volta figlio di Dioniso (altro dio del vino). Enopione tergiversò e per la rabbia Orione bevve un’otre del buon vino e, ubriaco, fece sua Merope. Dopo che Dioniso, nonno di Merope, per punizione fece bere ancora altro vino a Orione, Enopione, il padre di Merope, lo accecò abbandonandolo sulla spiaggia. Un oracolo predisse ad Orione che avrebbe potuto riacquistare la vista se, andando verso Oriente, avesse potuto rivolgere le orbite vuote a Elio (il Sole) sorgente dall’Oceano (l’omerico mare viestano). Orione non si perse d’animo, guadò il mare fino a raggiungere Lemno. Qui acchiappò Cedalione che guidò Orione fino all’estremità del mondo (il Pizzomunno). Giunto sulle rive d’Oceano, Orione riebbe la vista da Elio, la cui sorella Eòs s’innamorò perdutamente di Orione, il quale volle vendicarsi di Enopione tornando a cercarlo sia a Chio sia a Creta. Comunque sia morto, l’omerico Orione fu trasferito in cielo per formare la costellazione che porta il suo nome, mentre per Omero finì agli inferi. Nel percorso di Orione verso Eòs, l’Aurora, di cui Vieste è figlia, attraversò il Gargano, creando un vago e comodo porto, il Pantanella, con l’ultima pedata messa sulla terraferma, fatto che diede modo ad Orione di essere identificato come il Monte Gargano (Scilace di Carianda). Il Monte Gargano, già identificato come l’Orionos oros situato all’estremo confine del mondo (il pizzomunno, o l’atlante) sulle rive dell’omerico Oceano, si identifica con Orione, il quale si sincretizza con il re del Gargano Pilunno, nome che significa portone, o atrio del territorio. Orione/Pilunno, o Portuno nome derivato dal porto formato dall’ultima pedata sul territorio garganico da Orione. Proprio come capita ad Atlante, pure Orione e Pilunno vengono pietrificati da Perseo, altro personaggio omerico, dopo aver mostrato loro la testa della Medusa, una pietrificazione che porta direttamente al porto del Pantanella e al Montarone/Pizzomunno, che così oltre l’origine diventa pure l’estremo confine del mondo.

Prof, Giuseppe Calderisi