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SINTESI DI TUTTI GLI ALTRI LUOGHI VIESTANI OGGETTO DI ISPIRAZIONE DEI POEMI DI OMERO.

Riceviamo e pubblichiamo.

Egregio Sindaco e p.c. alla Giunta Municipale Comune di VIESTE

Oggetto: Sintesi di tutti gli altri luoghi viestani oggetto di ispirazione dei poemi di Omero.

Contrariamente all’<ultima volta> riferita alla presentazione della precedente relazione alle SS/LL, il sottoscritto Prof. Giuseppe CALDERISI, nato a Vieste ed ivi residente in Via Antico Porto Aviane 2d, ha deciso di rendere noto, data la sua tarda età, a codesto Comune, tramite i Loro rappresentanti, la sintesi di tutti i luoghi, solamente Viestani, oggetto di ispirazione delle poesie di grandi dimensioni del davvero più grande poeta di tutti i tempi e del mondo, il viestano Omero. Viestanità che lo scrivente desidererebbe venisse ufficializzata, ancora in vita, usando il contenuto di tutte queste relazioni, ivi compresa quest’ultima che contiene le ultime gocce che fanno traboccare il vaso dalla parte dello scrivente, con un’apposita delibera del Consiglio Comunale in modo da identificare ufficialmente la nostra amata città: Vieste – città di Omero.

Per l’Iliade Omero è stato ispirato dalle rovine della città ora di Merino, chiamata da questo sommo poeta Troia, o Ilio, nata dopo la distruzione di Dardania avvenuta per mano di Eracle per un diverbio nato da fatti riguardanti il commercio dei cavalli di Troia. Nella piana di Merino infatti vi sono tuttora rovine in parte esplorate di una città sepolta dal fango generato da una remota piena dell’adiacente Canale della Macchia, per un’alluvione di nove giorni, da cui il tuttora inidentificato Diluvio Greco, raccontato da Omero dopo l’incendio di Troia da parte degli Achei. La bassa collina, o poggio, chiamato dai Viestani “u Munduncidde”, è il sacrario di Myrina di Omero ed è tuttora funzionante come altare di Myrina, ora di (S.) Maria di Merino. L’omerica Bellacollina ha il nome attuale di “Montincello”, in viestano “u Muntincidde”, cioè un monte piccolo e bello che è lo stesso dell’omerica Bellacollina. Lo Scamandro, con tutti gli affluenti, si identifica con il letto del Canale della Macchia, che da make è: battaglia, luogo di battaglia.

Il nome Piano della Battaglia proviene dall’omerica pianura sulla quale si combattè poeticamente la guerra di Troia. La spiaggia di Scialmarino, lunga Km 5 è, non solo poeticamente, capace di contenere le duemila navi degli Achei giunti per combattere contro Troia.

Tra questi Omero elenca gli Ateniesi, che non appartenenti della città di Atene, ma un nome fatto una sola volta da Omero, per intendere un popolo seguace di Atena, dea che ha tanta parte in entrambi i poemi di Omero. Gli Ateniesi di Omero hanno come capo Eretteo, ora definito eroe ateniese, che fu allevato dalla dea Atena da cui gli omerici Ateniesi, che hanno un ruolo di secondo piano nell’Iliade riconosciuto dagli studiosi. La rocca di Caprareza con sopra il Pergamo di Priamo, la cui presenza già di per sé equivale a una polis omerica, compare sia come una residua Torre segnalata nel 4° sec. a. C. da Seneca (Le Troiane v. 1068), sia nel 1200 come “Castellum Marini” (A. Russi) e sia nel 1780 dal Giuliani che, oltre alcuni reperti archeologici, evidenzia un muro scarpato e la strada per salire sopra Caprareza.

Omero scrive che da metà di questa strada e affacciati a questo muro Elena identifica a Priamo i principali eroi achei. Caprareza è un toponimo di origine greca proveniente dalla fusione di capra(ina): troia, proveniente dal verbo capra(o). l’essere innamorato in calore, o troia; con il reza finale proveniente dal greco rezo che significa: sacrifico, offro in sacrificio. Caprareza in definitiva indica una “Troia data in sacrificio, o sacrificata” da intendersi anche come capro (greco caprio) espiatorio, usato di fatto nelle fondazione di diverse città già previsto da Omero nell’Odissea. Forse per il poetico passaggio di popoli che presero il nome da una qualche caratteristica di Vieste che come porto di approdo (greco cello) ha dato origine al nome dei Celtici che si diffusero in tutta l’Europa, come pure dei biblici Citei, o Cittei, la cui capitale è Cyta, altro nome certo di Vieste.

I Cittei prendono il nome dalla vallata o da una coppa per bere, un ciato, cioè un recipiente per attingere acqua contenuto nei greci cutos, da cui Cyta e i suoi Cytei, o Cyttei detti anche Pugliesi. I Cyttei, oltre che da cutos possono derivare pure dal suo omologo cyathos, presente in Vieste e di cui si dirà di più in seguito. In epoca postomerica dai Viestani Cyttei hanno avuto origine nomi di città italiane (Roma, Napoli) ed europee (Troianova per Londra, e Parigi da Paris, l’omerico Paride) con lo scopo di glorificare i loro popoli imparentandosi con i poemi e con il viestano Omero. Per questo basta rileggere ciò che ha scritto Seneca su Uria, cioè Vieste, dalla quale passarono tutti i popoli italiani ed europei. Delle coordinate geografiche di Omero che portano Troia e l’Ellesponto a Vieste non è il caso di dilungarsi, avendole già identificate, anche se in parti essenziali, in una delle precedenti relazioni già consegnate a codesto Comune. Fatto indicativo per la viestanità di Omero.

Il Regno dei Morti, citato da Omero nell’Odissea, si trova tuttora in adiacenza della spiaggia di Merino, detta di Scialmarino, in località denominata Necropoli della Salata. Ai piedi di questa necropoli, infatti, sgorgano e scorrono tuttora tre sorgenti d’acqua di natura carsica, che lo scrivente qui elenca nell’ordine di provenienza, cioè dalla loro origine, quindi in elenco inverso a quello descritto da Omero nell’Odissea: l’acqua dello Stige che confluisce in quella del Cocìto le quali acque fondendosi davanti una roccia bianca ricevono quella del Piriflegetonte che, fondendosi a loro volta, finiscono nel terminale fiume Acheronte che tuttora sfocia in mare a Scialmarino, la spiaggia di Troia. Altro fatto indicativo per la viestanità di Omero.

Premesso che il Pantanella è un toponimo di origine greca proveniente dalla fusione di panta- né(a)-èl(os)-là(as) che significa <tutto nave caviglia/puntello rupe>, ovvero rupe tutto navale puntello/caviglia, da intendersi come attrezzo per tenere dritte le navi tratte in secca, ed è un porto che con all’interno la corrente d’acqua dolce tuttora esistente che insieme compaiono in tutti i porti dell’Odissea.

Per l’Odissea Omero viene ispirato da alcuni luoghi prettamente viestani che partono dalla Punta della Testa del Gargano fino a raggiungere più volte l’antico porto naturale con la corrente d’acqua buona da bere del Pantanella viestano. Questo Pantanella che Ornero identifica con il principale porto dei due presenti in Scheda, con quello dei Lestrigoni, con quello dei Ciclopi, con quello dell’isola di Trinachia e con quello di Itaca, chiamato da Omero porto Reithro, nome contenuto nel greco reithron col significato di: corrente di fiume, fiumicello, torrente, come pure di: alveo, o letto (di mare presente in aggeion di aggos del porto Aggasus di Plinio, che nell’elencare in ordine alfabetico, oltre il Porto Garnae (= tutto navale) cita il porto viestano anche come Lago Pantano, un diretto riferimento al Pantanella chiamato pure Lago della Vittoria che si trova nella composizione dei termini greci nike-làas presente nella grotta di (S.) Nicola che ancora nel 1600 si trovava adiacente il mare.

Da questo si ricava che il letto di mare già presente in Itaca è lo stesso del porto Aggasus come porto riposo di navi che alle SS/LL è già stato presentato come quello del Pantanella dallo scrivente in almeno altre due precedenti relazioni che non è il caso di ripetere. Del principale dei due porti della città di Scheria, già esistenti pure in Vieste, e dell’attuale forgiatura del Montarone viestano da parte di Poseidone si è pure già detto in più di una occasione.

Lo stesso dicasi della particolare recinzione della città di Scheria con grossi blocchi di pietra squadrati, che secondo Omero fu realizzata da Alcinoo, figlio di Nausitoo e nipote di Poseidone. Questi grossi massi sono venuti fuori in seguito alla caduta di abbondanti piogge in parte nella seconda metà del 1600 dal Pisani, nel 1780 dal Giuliani che evidenza la presenza di una palizzata e di un ponte situata all’entrata di Vieste: la stessa dalla quale Odisseo e Nausicaa entrano in Scheria nel racconto di Omero, mentre nel 1840 il Masanotti evidenzia la presenza di questi massi venuti fuori per gli scavi di una vigna nelle vicinanze della collina del Carmine, cui si aggiungono alcuni altri massi dello stesso tipo venuti fuori intorno al 1990 nello scavo delle fondamenta per l’ampliamento dell’Hotel Mediterraneo, al cui fianco sono tuttora diligentemente accatastati. I pretendenti alla” mano di Penelope vengono chiamati da Odisseo Achei, nome ispirato a Omero dalle punte del Montarone, nell’Iliade detti pure Argivi, per il biancore del calcare di queste due punte.

Ulisse, cioè ferito, poiché da giovanissimo fu ferito al ginocchio dalla zanna di un cinghiale durante una battuta di caccia, ma alla nascita chiamato Odisseo, anche in previsione dell’odio di Poseidone per avergli accecato uno dei suoi figli, Polifemo. Durante il suo vagare di Odisseo per il mare da cui scampa restando con una sola nave e giungendo presso la maga Circe su una “lingua di spiaggia” sulla quale la nave viene temporaneamente ammainata.

Odisseo e compagni incuriositi esplorano il territorio, venendosi a trovare di fronte a una casa di “pietre lisce” nella quale viveva Circe. Con le sue lusinghe la maga Circe riesce a convincere Odisseo a rimanere per qualche tempo e dietro la promessa del suo ritorno in patria. Odisseo e compagni trascinano la nave in una “grotta” piena d’acqua con l’aiuto di una corrente che ha tuttora origine all’interno di una grotta in località Catharella, nome greco che da catàrè significa: sorgente pura, essendo queste ultime due correnti un po’ meno salmastre di tutte le altre sei presenti nella Scialara.

La Catharella, presente in una mappa del Gargano esposta nella Galleria degli Uffizi nel Vaticano, venne poi italianizzato dagli ignari Viestani come Gattarella. In seguito Circe trasforma in porci tutti i compagni di Odisseo, il quale dopo essere stato salvato da Atena con una bevanda, con Circe amoreggia per circa due anni. Negli ultimi tempi Odisseo pretende il ritorno in patria e Circe, figlia del Sole e di Perse e sorella di Eèta, con lo scopo di non perdere questa occasione amorosa consiglia a Odisseo di recarsi al Regno dei Morti per interpellare il tebano Tiresia sulla sua sorte finale riguardante il suo ritorno a Itaca.

Dopo la positiva risposta ottenuta da Tiresia, Odisseo ritorna da Circe con la pretesa che ai suoi compagni fossero restituite le sembianze umane. Dopo questo evento i suoi compagni fecero festa, ubriacandosi. Uno di loro, Elpenore, ubriaco salì sul giaciglio per dormire togliendo la scala. Il giorno successivo, non ricordando ciò, Elpenore precipita rompendosi l’osso del collo e morendo senza che nessuno se ne fosse accorto.

Tant’è vero che il giorno dopo Odisseo, meravigliato, incontra per prima l’anima di Elpenore nel Regno dei Morti. Per esaudire la preghiera di Elpenore, al ritorno Odisseo brucia e seppellisce i suoi resti là dove più sporge il “promontorio” piantando sul loculo un remo, per ricordare ai passanti che per tutti esiste la fine della vita. Circe, che di fatto abita nell’isola Eèa, poi favoleggiata in oriente, un fatto vero, trovandosi nella parte del Mare Grande, o Ionio, o Orientale che anticamente a Vieste confinava con il Mare de Fore, il Mare di Fuori (cioè nella distesa dell’Oceano di Omero, ma fuori anche dal percorso del Sole nascente), o della Mancina, la sinistra: in definitiva il Golfo Adriatico.

Il Mare Ionio e il Golfo Adriatico sono idealmente divisi da uno stretto braccio del vasto mare che Omero chiama Ellesponto, che di fatto divideva in due l’omerico Oceano. L’isola di Circe proviene dall’omerico greco nesos, che oltre l’isola indica anche un luogo isolato, o un isolato promontorio marino, o promontorio solitario come lo è il Montarone viestano. La fantasiosa isola Eèa di Circe viene, vivaddio, immaginata in Italia, ma erroneamente presso il monte Circeo.

Secondo leggende postomeriche Circe ebbe da Odisseo due figli: Agrio e Latino, quest’ultimo diventa il capostipite dei Latini poi Romani, un modo come l’altro per mettere alla pari Odisseo con la nascita di Roma di Enea e il suocero di Diomede, Dauno, che ebbe due figli, Romolo e Remo, da Rea Silvia.

Dal seguito della poesia omerica avviene l’individuazione della precedente lingua di spiaggia con quella tuttora formata tra la settima e l’ottava corrente d’acqua presenti dietro la località viestana detta di Drète u Ponde, Dietro il Ponte. La sorgente dell’ottava corrente, ora detta Corrente Caruso, ha origine in una grotta in localtà Catharella, la stessa grotta in cui viene trascinata la nave di Odisseo. La casa di pietre lisce di Circe è da collegare al toponimo di Mattoni-Calcari presente tuttora in località Catharella, subito Dietro il Ponte. La punta del promontorio sul quale vengono seppelliti i resti di Elpenore è la Punta della Testa del Gargano, che non si farebbe male a dedicare a Elpenore, nome greco che dai significati di Elpe-nore diventerebbe il Capo di Vera Speranza, ora attribuito erroneamente davanti al Corno d’Africa.

La precisa individuazione di queste località viene dal seguito delle vicissitudini della nave di Omero, che dopo la Testa del Gargano e venendo verso Vieste subito incontra l’Isola delle Sirene. Questa è da individuare con l’isoletta di Lamicane, da cui l’errata individuazione della località attigua ora italianizzata come Lama le Canne.

L’etimo greco Lamia, oltre che mostro favoloso divoratore di fanciulli, o uno spauracchio, indica anche una sorta di vorace pesce marino o pesce cane. In pratica lamia, o lamiè, indica un mostro marino avente il volto di donna e la coda di pescecane, mentre il dialettale cane è la riduzione del verbo greco canakeo: rumore, strepito, suono, squillo come pure, trattandosi di sirene: gemito. Dal greco canakeo nasce latino cano-is: canto. Quindi una sirena che come mostro dal volto di donna e la coda di pescecane che canta, appare tuttora dalla spiaggia adiacente la settima corrente nello scoglio adiacente a quello più grande, che è l’isola delle Sirene.

Per questo le omeriche sirene sono native di Vieste e presenti nel racconto del Beltramelli sulle sirene che rapiscono la bella fanciulla Yria, da riferirsi sempre a Uria città, legandola sul fondo del mare perché gelose dell’innamoramento con il bel pescatore viestano, cioè il sempre a caccia di fanciulle Zeus come pure Poseidone, che in questo caso si pietrifica: un fatto da riferirsi sempre al Montarone in quanto Pizzomunno, in attesa di rivivere il loro amore dopo cent’anni e in una notte di luna piena. In questo stesso episodio Omero aggiunge anche l’incontro della nave di Odisseo con un polmone marino, necessario per dare voce alle sirene, ma che in realtà è lo stesso scoglio di Lamicane visto dal mare verso la Punta della Testa del Gargano, o Capo di Vera Speranza, che si presenta esattamente con la forma di una gabbia toracica che anatomicamente contiene il polmone marino citato da Omero.

Una volta realizzati questi fatti presenti nelle poesie di grandi dimensioni di Omero che Platone nel Crizia sintetizza con lo sprofondamento di Atlantide scrivendo di “vera storia”, il Nostradamus nel 1500 nella quartina X. 72, scrive: “L’an mil neuf cent nonant neuf sept mois,/ Du ciel viendrà vn gran Rov d’effrayeur./ Resusciter le grand Roy d’Angolmois,/ Auant apres Mars regner par bonheur.”, che tradotto alla lettera significa: “L’anno millenovecentonovantanove settimo mese/ Dall’alto verrà (quindi una specie di imposizione,) un grande ciclo di fatti madornali/ risuscitare il Regno dell’Angoloculla/ dopo una girata (avanti-dopo) di polemiche (Mars sta per Marte, battaglia inevitabile come in questo caso!) regnare per buona pace di tutti’. Il Regno d’Angolmoise: angolo culla, è lo stesso del Regno di Atlantide di Platone in quanto l’angolo è sinonimo di atlante ed entrambi da riferire a Vieste in quanto Pizzomunno poiché atlante e angolo sono a loro volta sinonimi di pizzo, del mondo, funzione effettiva di Vieste, che col nome di Scheria è la capitale del mai da nessun’altro trovato, o scomparso, continente Apeira di Omero.

Apeira, cioè “aperta” è presente a Vieste in quanto già identificata come l’Uria “aperta” del Gargano di Catullo, che oltre l’Apulia (= senza porta) è del tutto simile sia all’essere “aperta” di Apeira, sia alla “vasta vista” di Europa di Erodoto. Il nome omerico di Scheria per Vieste deriva dalla funzione di approdo dei due porti naturali viestani che ispirano Omero, in particolare quello del Pantanella, che ispira questo formidabile poeta in diverse occasioni dell’Odissea e di cui si è in parte accennato. La venuta dal cielo di un grande ciclo di fatti madornali non è certamente riferita alla caduta di un’asteroide che, stando a quanto scritto da Nostradamus, sarebbe dovuto accadere il settimo mese del 1999, che non è la caduta di un asteroide, paventata da tutti i critici, storici, mitologi, astronomi, astrologi, sapientoni della Terra, che di fatto non c’è stata ma che ha tenuto per cinque secoli in apprensione tutti gli abitanti del pianeta. Profezia che fa dello scrivente un predestinato poiché, per la cronaca, qualche mese dopo la pubblicazione del secondo libro avvenuta nel Febbraio 1999, lo scrivente ha iniziato a scrivere il terzo libro che parte proprio da questa profezia di Nostradamus,

Precisato ciò, in questa relazione lo scrivente passa all’analisi dell’Odissea della quale sono stati in precedenza omessi alcuni altri fatti relativi luoghi viestani raccontati da Omero nei suoi poemi.

L’Odissea comincia con un Concilio degli dèi, convocato dalla dea Atena per deliberare il definitivo rientro a casa di Odisseo, trattenuto per sette anni nell’isola Ogygia, in realtà la punta di un promontorio subito dopo riferita dallo stesso Omero, dalla figlia di Atlante, Calypso.

Il Concilio viene tenuto sulla cima più alta dei Monti dell’Olimpo, ora dato come monte tra la Macedonia e la Tessaglia, mentre si tratta del Monte Sacro dei Monti del Gargano, sul quale ci sono ancora i resti di un grande e remoto tempio. Per avere notizie del padre da Nestore, il figlio di Penelope e Odisseo, Telemaco, partito da Itaca si reca poeticamente prima alla sabbiosa Pilo, greco Pulos, da cui gli alleati degli Achei, o Argivi, detti Pili (Puloi), ora data erroneamente come città della Trifilia nel Peloponneso sud occidentale dell’attuale Grecia, mentre si tratta di nomi di popoli derivanti dai corni bianchi del Montarone e della città aperta verso il mare e verso il punto di origine del Sole, quindi greca, presente nel nome Vieste.

La sabbiosa Pulos, cioè sabbiosa Porta, sta all’origine del nome Apulia: senza porta, sinonimo di aperta dell’omerica Apeira, come, pure l’erodotiana Europa, vasta vista. Vieste come Porta della Gran Madre Terra. Acqua Sorgiva è presente in una iscrizione messapica su pietra interpretata, asetticamente, dal Petrone. Vieste come Porta della Gran Madre Terra. Acqua Sorgiva, si identifica tuttora nel toponimo e nella realtà della località viestana adiacente il porto naturale del Pantanella detta “La Gioia”, nome che deriva dal greco Gaia, o Gea, o Ge, da cui l’odierna Porta contenuta nell’omerica sabbiosa Pulos (pula, o pulè da cui pulòn = porta, portone, ingresso, vestibolo, atrio) ma che è da riferirsi a Vieste in quanto Porta della Gran Madre Terra (Gea).

Il Petrone aggiunge Acqua Sorgiva, poiché dall’utero di questa Gran Madre Terra, o Gea, scaturisce l’urina, lo stesso di acqua, che in questo caso è l’unica di acqua buona da bere che ha origine (dall’utero di Gea) e tuttora scorre nella località adiacente “la Gioia”, il Pantanella. Questa corrente fluviale viene mitizzata con le altre sei tutte di acqua salmastra nel monumento del Timavo situato nell’isola abitata chiamata da Strabone col nome Teuthria, per il colore biancastro del calcareo Montarone, facente parte delle due Isole Diomedee, eroe omerico che dopo la sua morte viene sepolto sulla seconda isola, quella disabitata, da individuare esclusivamente con lo Scoglio viestano.

A confortare tutto ciò si evidenzia che In Pilo esiste un cantore anonimo, di cui scrive Omero. La funzione di Vieste come Porta della Granda Madre Terra costituisce un’ulteriore prova di una Troia viestana, poiché Vieste grazie alla sua identità con questa Pilo di Omero venne identificata come Porta della Gran Madre Terra dalla successiva Letteratura. Ma identità dovuta alla partecipazione dei tanti popoli sia greci e sia troiani alla guerra di Troia, in seguito alla quale questi popoli, di cui ha fatto quasi totale incetta l’attuale Grecia dopo l’errato riconoscimento dell’Ellesponto di Omero con il Bosforo, che secondo il racconto dell’Iliade vengono difatti tutti distrutti con le loro navi dopo tempeste marine provocate da Poseidone.

Di Vieste come Porta della Gran Madre Terra scrive Seneca che testimonia come tutti i popoli italiani ed europei passarono da questa piccola città, definita pure un buco (un riferimento al Pantanella), chiamata Uria che, come specificato nella relazione precedente su Uria, è sempre la stessa Vieste. A questo riguardo entra in causa lo Scoglio viestano che in tempi remoti veniva idealizzato come una culla, una nave e una tomba. La culla, presente nell’Angoloculla di Nostradamus, sta per la nascita ideale degli ecisti di tutti i popoli d’Italia e d’Europa di cui ha scritto Seneca; una nave, già identificata come tale nel 1420 dal portolano Giovanni di Antonio da Uzzano quando scrive che davanti a Vieste c’è: “uno schollietto ebbasso chome una galea pare, lontano”, nave che viene pietrificata e affondata con una manata di Poseidone davanti a Scheda; la stessa che è pure l’arca di Noè, anche per le misure dell’arca equivalenti a quelle dello Scoglio, che dopo il diluvio (questa volta Universale) approda a Vieste fondandola come prima città della terra dopo il diluvio col nome Vesta di cui scrive il Giuliani; o la nave Argo su cui si imbarcano gli Argonauti ma che idealmente al loro arrivo fondano la prima città della Terra, il cui nome ora mi sfugge; infine come tomba, perché luogo di sepoltura di Diomede e di Vesta moglie di Noè, entrambi seppelliti sullo Scoglio,

Nel suo viaggio sempre e soltanto poetico, successivamente Telemaco per avere notizie del padre da Menelao da Pilo si trasferisce da Menelao alla città concava, avvallata, luminosa Lacedèmone, ora data erroneamente come regione di Sparta, nell’attuale Grecia. Ma la concavità del porto del Pantanella, l’avvallamento e la luminosità di Lacedèmone sono da riferirsi sempre a Vieste il cui avvallamento è presente in E. Bacco quando scrive che Vieste: “Ha il suo territorio fertilissimo & ripartito dalla Natura in piani & colli con mirabile simetria” il Giuliani quando scrive che Vieste: “Rimira (.) il libero orizzonte (.) ed a mezzogiorno e da selve, e da piani, e da colli e da monti che a poco a poco per lungo tratto s’innalzano” mentre sulla luminosità di Vieste aggiunge: “in niuna parte del giorno è priva de’ raggi solari” Strabone (Italia. VI.3,9) che, non essendo viestano, del Gargano scrive: “La terra è ben riparata perchè le sue pianure sono avvallate”. Ciò anche perché nella poesia omerica Menelao (= Luna-pietra, o pietra di Luna) è fratello di Agamennone (= duce testardo), re di Argo, cioè Vieste anche perché in seguito viene fondata da Diomede come Argos Hippion (= atta ai cavalli), città già identificata come Argiva per il bianco delle rupi del Montarone viestano.

Dalla forma e da quanto avviene intorno a questo Montarone Omero inventa il nome di Micene (muchenè), proveniente dal greco muche: muggito; o mucche: fungo, escrescenza fungosa, di fatto presenti sia nel muggito provocato dalle onde del mare che s’incavernano nelle lesioni presenti nella falesia viestana, sia dalla forma di fungo del peduncolo isolato ma non distaccato presente nel moun del Montarone e sia in èlos penultima sillaba del Pantanella. La presenza di acqua dolce nel Pantanella e la funzione del Montarone come Porta della Gran Madre Terra, da identificare con Vieste in quanto Pizzomunno, un fatto che aiuta a identificare Vieste già come la città di Pilo (Pulon = Porta), regno di Nestore al quale Telemaco si rivolge per avere notizie del padre Odisseo, sia di Lacedemone governata da Menelao, fratello di Agamennone che governa Argo, un fatto che dimostra l’unitarietà dell’origine di questi nomi omerici.

Nestore è padre di Perseo che Omero individua anche come una stella facente parte della costellazione che, secondo Circe, Odisseo avrebbe dovuto tenere a sinistra. Perseo è uno degli autori di queste identità viestane poiché è colui che pietrifica sia il padre di Ogygia, Atlante, al quale Perseo aveva chiesto ospitalità, ma che per vendetta al diniego trasformò Atlante in un telamone, il Montarone, i cui abitanti Vestani, forzuti, furono identificati da Platone pure come Atlanti, infaticabili; sia il figlio di Poseidone e della figlia di Minosse, Euriale, chiamato Orione, che è l’autore del porto del Pantanella con la sua ultima pedata davanti all’Oceano.

Una volta scorto da lontano Orione come una testa sul mare e come un punto indefinito che in una versione e su invito di Apollo, geloso dell’innamoramento verso Orione di sua sorella Artemide, che con una freccia uccide Orione involontariamente. Secondo un’altra versione Orione con la sua Testa venne pietrificato dalla vista della testa della Medusa mostragli da Perseo, ragione per la quale la Testa del Monte Gargano, un riferimento al Montarone, che come Testa del Gargano venne identificato come Monte Orione.

Perseo inoltre mostrò la testa della Medusa pure al re di Vieste, sia come Pilunno col significato di Porta, o Portone, sia come Portuno, che oltre il porto del Pantanella è da identificare come luogo di passaggio, o di una Porta, o di un Portone, da riferirsi sempre alla Porta viestana. Un modo come l’altro che, nello sviluppo mitologico, parte dal trovarsi la Scheda come capitale del Continente Apeira di Omero alla cui estremità si trovavano i luminosi Feaci, per arrivare all’indicazione di Vieste come Pizzomunno, che è lo stesso di essere questa città la Porta della Gran Madre Terra.

Più tardi questa luminosità si trasferisce nell’attuale nome del Gargano che da gar: per davvero; ganos: luminoso, diventa una montagna per davvero luminosa, che sta nei fatti, in sostituzione dell’omerico Gargara, che prendeva il nome dai gargarismi che tuttora avvengono nei gargarozzi, o gole, che si trovano all’origine delle miriche correnti viestane. A cominciare da quella di acqua dolce del Pantanella, proseguire con le altre sei di acqua salmastra, per Strabone, o di altre otto per Virgilio, e finire necessariamente con le tre sorgenti, presenti nella Necropoli della Salata che si trova proprio davanti alla spiaggia di Scialmarino. Sorgenti che danno origine a una sola corrente, l’Acheronte, che sfocia tuttora nel mare, facenti parte del Regno dei Morti di Omero.

Tutto ciò viene confermato sia dalla presenza in Lacedemone anche di un altro anonimo cantore di cui scrive Omero. A Lacedemone avviene il racconto, in realtà scritto da Omero, sulla formazione delle Rupi Ghiree, nome derivante dal greco guros a sua volta proveniente dal verbo guroò, tra cui anche il significato di “scavo attorno”.

Cerchiatura di rupi di fatto presente nel costone di dietro la fantastica Ripe, che è lo stesso dell’omerica rupe di forma semicircolare presente nel suo essere Ghiree, o Giree. Omero, infatti, riferisce che dopo l’accostamento di Aiace Oileo alle immani Rupi Ghiree da parte di Poseidone per salvarlo dalla morte, l’eroe omerico Aiace mentì a tutti dicendo che si era salvato da solo e che per questa bugia, udita pure da Poseidone che si vendicò inferendo un colpo di tridente sulla rupe Ghirea che si spezza in due. Una parte rimase al suo posto, l’altra cadde nel mare con sopra Aiace Oileo che morì annegato. In pratica la poetica formazione di Omero della spettacolare falesia circolare detta di Dietro la Ripe, sul cui scoglio tuttora presente, lo scrivente ha fin dal suo primo libro immaginato seduto Aiace Oileo prima della punizione di Poseidone. Questo scoglietto di forma cubica veniva più giustamente identificata come Pizzomunno dai compagni d’infanzia dello scrivente che abitavano in questa zona.

All’origine dell’Odissea, Ulisse, trattenuto per sette anni da Calypso nell’isola Ogygia, in realtà in una caverna situata “Sotte u Ponde”: Sotto il Ponte, la cui entrata si eleva fino alla sommità della collina ai piedi della quale sgorgano quattro sorgenti d’acqua che non riescono a scorrere normalmente verso il mare, che Omero aggiunge situata all’estremità di un promontorio marino, al cui fianco c’è tuttora uno scoglio isolato. Su questo scoglio Odisseo era solito sedersi per versare largo pianto dovuto alla dura pena da lui sofferta per essere tenuto in ostaggio da Calipso e sul quale scoglio Odisseo viene trovato piangente dal messaggero Ermete che gli comunica la delibera degli dèi.

Anche se più tardi Omero scrive di grotta profonda, un fatto ancora reale se si aggiunge la grotta profonda che si trova proprio sulla punta di questo promontorio e di fronte al predetto scoglio. La caverna dell’isola Ogigia si presentava ancora nel 1975 con le quattro sorgenti descritte da Omero. A Ogygia Odisseo giunge aggrappato alla chiglia della nave distrutta da un fulmine di Zeus che provocò pure la morte di tutti i suoi compagni di viaggio, Ogigia che viene ora data all’estremo occidente, ma che si trova poco distante dalla sede di Circe, trovandosi di fatto nella cavità viestana di Sotto il Ponte.

Ciò prima di tutto perché l’esistenza di un ponte in questa zona non esiste neppure nella più pallida idea. In secondo luogo, quello più vero, è che il viestano ponde viene dal greco ponèto: pena, che è quella sofferta da Odisseo di cui scrive Omero. La punta di questo promontorio marino appare come “La Pena” in due mappe del 1600, quella del Magini e quella di Johannes Blaeu. Una volta partito su una zattera, Odisseo percorre la rotta consigliata dalla ninfa Calypso che suggerisce a Odisseo di tenere alla sua sinistra la costellazione dell’Orsa Maggiore (da qui la predetta posizione di estremo occidente dell’isola Ogigia), giungendo dopo altre peripezie e dopo l’incontro con un bastione di pietra (il Puzmume) al quale si aggrappa Odisseo prima di raggiungere tormentato e a nuoto alla prima delle sei correnti della Scialara, precisamente in località “Scanzatore”.

Scanzatore è un toponimo formato da tre etimi greci: scanao = scene: palcoscenico; za sta per dia: per mezzo; tore abbreviazione di toreuo; fo sentire ad alta voce, che complessivamente portano a un “palcoscenico per mezzo del quale farsi sentire a voce alta”. Cioè al luogo omerico in cui sia le ancelle e sia Nausica si fanno sentire, gridando a voce alta dall’esausto e sonnolento Odisseo, per la caduta accidentale della palla in questa prima delle sei correnti della Scialara con cui tutte le ancelle giocavano in attesa che i panni appena lavati e stesi sulla spiaggia si asciugassero. Un’usanza che a Vieste è durata fino al 1955.

Dalla Scanzatore Odisseo giunge a Scheria, della cui identità con Vieste si è già detto. A Scheda c’è un cantore cieco da Omero chiamato Demodoco, nome greco che significa il “venerato dal popolo”, la cui cecità è dovuta a esigenze sceniche, ma certamente non vera.

Nel prosieguo del racconto del suo viaggio in nave verso i Feaci, nome che essendo Vieste già Scheria, nella fantasia di Omero nasce dalla luminosità dei corni viestani da cui pure gli Argivi, che hanno origine dall’omerica Argo, cioè bianca, perché ispirato dal colore bianco della roccia calcarea del Montarone la cui città venne successivamente rifondata da Diomede come Argos Ippion (= atta ai cavalli). Da questo colore bianco calcareo nasce pure l’omerica isola di Creta, sempre Vieste, nome che deriva dalla polvere bianca presente nel calcare del Montarone, In questo viaggio Odisseo incontra i Cleoni, popolo che elimina sei compagni di Odisseo per ogni sua nave nave. I Cìconi vengono dati erroneamente come popolo leggendario della Tracia. Poco dopo Odisseo e compagni incontrano i Mangiatori di Loto, cibo di fiori che una volta mangiati sono capaci di far dimenticare il ritorno in patria di tutti. Il loto è il sorbo degli uccelli detti dai Viestani <‘nganghele> che il Giuliani definisce pure come <‘mbriachèlle> perché mangiati in quantità producono un leggero stato di ebbrezza, o di leggera ubriacatura. Un fatto che contribuisce all’andata in bestia dei Viestani e già presente anche dall’aestus dei Vestysane, Come pure lo stato di ebbrezza presente in methyo da cui i Methynnates ex Gargano di Plinio.

Ancora dopo Odisseo e compagni incontrano i Ciclopi, popolo vicino ai Ciconi, fatto che esclude l’appartenenza di quest’ultimo popolo alla Tracia, anche perché il porto dei Ciclopi con l’isola piatta sul davanti e con la sorgente di acqua limpida al suo interno è stato già individuato realmente dallo scrivente con il porto del Pantanella.

Nell’isola dei Ciclopi Odisseo e compagni incontrano e accecano Polifemo, figlio di Poseidone, che verosimilmente abitava nella grotta viestana di (S.) Nicola, situata dentro il porto del Pantanella. L’isola dei Ciclopi, giganti monoculi e selvaggi che vivono lontani dal mondo civile che, secondo la tradizione più diffusa è un luogo ora stimato, erroneamente, in Sicilia (per l’isola).

Nel seguito Odisseo racconta dell’isola galleggiante di Eolia che per essere galleggiante non può essere l’indicata attuale isola di Lipari, ma il ventoso Montarone viestano che visto dall’alto e da lontano nei giorni di mare calmo in effetti sembra galleggiare. L’isola Eolia prende il nome da Eolo, il dio dei venti che secondo Omero consegnò a Odisseo un otre chiuso ripieno di venti, venendo nel suo poetico vagare per il mare in un secondo momento scacciato dallo stesso Eolo perché, durante una pausa di sonno di Odisseo, i suoi compagni trasgredirono le direttive di questo dio aprendo l’otre da cui fuoriuscirono tutti i venti, che lasciati liberi provocano marosi che tormentano tuttora il Montarone i cui abitanti, Viestani, oltre che come mangiatori di loto, vengono identificati come ebbri da Plinio come Methynnati, anche come discendenti del dio del vino Methynnaio, o pure Vestysène, cioè figli dell’aestus antico, e l’andata in bestia degli abitanti del Montarone che viene perciò identificato come l’isola Bestia.

Segue l’arrivo di Odisseo nel paese dei Lestrìgoni il cui porto con la sorgente Artachia all’interno è stato già identificato dallo scrivente con il Pantanella viestano. Partiti da qui Odisseo e pochi compagni giungono all’isola Eèa di Circe, figlia del Sole e della figlia d’Oceano, Perse, ma della cui identità e del viaggio verso il Regno dei Morti di Omero si è già riferito all’inizio di questa relazione. Il viaggio di Odisseo seguita quando, per consiglio di Circe, avviene l’incontro con le anime dei morti nella Necropoli della Salata viestana, della cui identità si è già detto all’inizio, con l’incontro inaspettato di Odisseo con Elpenore.

Segue l’arrivo all’Isola delle Sirene, già individuata con gli scogli di Lamicane presenti all’inizio di questa relazione, oltre le quali Odisseo e compagni nella prosecuzione del loro viaggio incontrano le Rupi Erranti, o Instabili, che sono da individuare con i “Murge Scuffelète” del Montarone viestano. Scuffelète proviene dal greco scuffe: lesionate,. cioè instabili come pure erranti, sensazione reale che si trova sul posto guardando le rupi viestane con la corrente del mare in leggero movimento. Un fatto che ha ispirato le isole Erranti a Omero. Nella più grande lesionatura di queste Ripe riuscì a passare una nave marina, Argo, tornando dal regno d’Eèta.

La nave Argo, che secondo Omero tutti cantano, è la stessa nave dell’impresa degli Argonauti, tra i cui partecipanti vi sono, tra gli altri, uomini di nomi come Ditti, Ida ed Eufemo. Eufemo sta nel nome di (S.) Eufemia attribuita allo scoglio viestano. Ida prova l’esistenza dell’omerico monte Ida ricco di vene da Omero situato vicino Troia, quindi vicino Vieste. Ditti, nipote di Zeus, è un pescatore, lo stesso mestiere di quello che si innamora della bella fanciulla Yria, da cui il nome Yria dato per lunghi secoli a Vieste.

Dal greco ditto, che è lo stesso di disso, da cui la vita dissoluta di Zeus, che nella grotta Dittea nell’isola di Creta (quella presente sullo Scoglio, per il viaggio in mare di Zeus), si accoppia con la vergine Europa che sulla spiaggia è stata ammaliata dalle sembianze di un toro assunta da Zeus (il Montarone) che dopo un viaggio nel mare (per raggiungere lo Scoglio) riassume le sembianze umane e seduce Europa nella grotta Dittea dando la vita a personaggi omerici quali Minosse, che Omero già situa a Creta, Radamante che come Minosse diventa giudice dei morti, mentre il terzo figlio, Sarpedonte, viene ucciso a Troia da Patroclo, compagno di Achille.

L’isola di Creta non è l’attuale isola, ma un nome inventato da Omero ispirato dalla polvere bianca (= creta) di cui è composto il calcare del Montarone viestano. Lo testimoniano alcuni fatti quali: le cento isole presenti a Creta nell’Iliade e le novanta città dell’Odissea, i monti coperti di neve e il mare fumoso di cui scrive Omero; neanche a un dio dissoluto, come lo era Zeus, sarebbe venuta in mente l’idea di coprire la distanza a nuoto e con un peso sulla groppa per raggiungere l’attuale isola di Creta da una qualsiasi località europea. Il nome Europa, mai pronunciato da Omero ma la prima volta da Erodoto nelle sue Storie, col significato di “vasta vista” equivale all’omerica “aperta” del continente Apeira con capitale Scheria, ora Vieste per i loro comuni due porti, per le particolari mura edificate da Alcinoo, nipote di Poseidone, e per la completa forgiatura del Montarone da parte di Poseidone. Vieste, che per i suoi perenni e visibili vasti orizzonti sia soprattutto marittimi e sia terrestri viene identificata da Catullo come Uria aperta del Gargano da cui l’Apulia, “senza porta”; la fondazione di Yria da parte dei Cretesi guidati dal discendente di Minosse, Idomeneo; l’identità di Iapigi Messapi assunta dai Cretesi dopo la fondazione di Yria, poiché la la-pyga Mes-apia significa monade-troia centro (dell’) antichità, che riporta tutta la questione sempre a Vieste in quanto Troia. Ciò fa del racconto di Zeus ed Europa una delle tante versioni mitiche riguardanti il Montarone viestano da considerare sia in veste maschile sia in quella femminile già presenti nella leggenda viestana raccontata dal Beltramelli.

Nella prosecuzione dell’Odissea e nelle previsioni di Circe, Odisseo dovrà incontrare due scogli vicini uno all’altro, dall’uno potresti colpire l’altro di freccia. Nel primo scoglio c’è la grotta di Scilla, ora data, erroneamente, sulla penisola calabra sul quale è nata una località, o cittadina, di nome Scilla, situata sullo stretto di Messina. L’omerica Scilla è un mostro con sei facce e sei bocche che prelevano e mangiano sei compagni di Odisseo, ma località omerica già identificata dallo scrivente con la “Grotte i Trève”, Grotta delle Travi, delle quali in realtà di travi non c’è nessuna traccia ma soltanto una spiaggetta ciottolosa di circa dieci metri di lunghezza, seguita da una grotta diventata nera in parte per il fumo generato dal fuoco acceso dai pescatori che si recavano con le loro piccole barche (gozzi) per attraccarle, da un’altra parte dai funghi generati dall’umidità perenne presente in questa grotta.

La Grotte i Trève è situata sulla parte interna del corno di S. Francesco, ed è un nome che proviene dal greco treo: fuggire atterriti, cosa suggerita a Odisseo da Circe e che facevamo noi da ragazzi che una volta entrati venivamo spaventati da qualcuno più grande di età che dopo il grido al mostro! Spaventati salivamo uno per volta, date le condizioni ancora attuali dello scoglio sul quale eravamo costretti a salire per poi fuggire letteralmente atterriti. Nel secondo scoglio e in perfetto ordine c’è Cariddi, ora immaginata sul corno siciliano dove c’è la città di Messina, che di fatto non si trova alla distanza di un colpo di freccia con l’arco dichiarato da Circe, mentre è quella già identificata dallo scrivente con il crepaccio situato ih ordine sull’altro corno del Montarone detto la Banchina, precisamente a “U Spacche de Rusenèlle”, il crepaccio dello Spacco di Rosinella.

Un nome di origine greca generato dalla fusione di spaò-rous, o roos-neleo col significato di “crepaccio con corrente marina con flusso e riflusso di ventre inesorabile, o che non perdona”. Ciò e dovuto alla conformazione di questo crepaccio che all’origine ha la forma di un imbuto aperto verso il mare e dopo il successivo stretto cunicolo, lungo circa m 10, c’è una grotta abbastanza ampia capace di deglutire l’acqua di diverse ondate, che però una volta raggiunto un volume d’acqua superiore a quella delle provenienti successive ondate, l’acqua marina che esce riattraversando il cunicolo con violenza dalla grotta permetteva a noi sfaccendati e curiosi ragazzi di vedere la sabbia sul fondo del mare, un particolare raccontato da Omero, e di udire gli spaventevoli grandi boati provenienti dallo svuotamento della grotta.

Un fenomeno tuttora visibile in giornate di vento grecale malgrado la costruzione del molo foraneo recentemente attaccato al frontale Scoglio. Da questo spacco Odisseo si salva aggrappandosi al ramo di un fico selvatico che fino al 1960 ancora esisteva all’interno del cunicolo e sull’accesso della successiva grotta, dal quale Odisseo, nella fase di uscita delle acque con tutto il contenuto, si lancia sull’albero della nave riuscendo ad allontanarsi. Questo fico selvatico veniva di tanto in tanto tagliato da qualche cittadino viestano per farne legna da ardere per riscaldare casa e cucinare, operazione che lo sfaccendato scrivente da ragazzo ha avuto modo di assistere per due volte e in anni diversi intorno al 1955, ma le cui radici furono in seguito divelte con gli scavi in parte per l’adiacente cava di pietre per pavimentare le strade poi aumentati per creare nuovi parcheggi per macchine a sinistra di questa grotta guardata di fronte e a destra per la sosta di barche marittime anche di nuove. Parcheggi tuttora visibili insieme con i resti di una minuscola necropoli.

Nel seguito delle indicazioni di Circe, Odisseo sarà portato all’Isola Trinachia sulla quale pascolano le Vacche del Sole. Circe avverte Odisseo che se queste vacche fossero state toccate tutti i suoi compagni sarebbero morti, mentre lui sarebbe tornato a casa tardi e in cattive condizioni. In tempi postomerici l’isola Trinachia, detta isola del Sole (per le Vacche del Sole) fu identificata, erroneamente, con la Sicilia, nome già presente identicamente in Omero, ma che oltre la Sicania di Erodoto fu chiamata pure isola Trinacria. La realtà è che Trinachia, cioè di tre punte è lo stesso delle due punte (Scilla e Cariddi) cui si aggiunge la terza punta meno pronunciata del Montarone viestano, quella meno avanzata che si trova nel mare di “Sotte la Ripe”, Sotto la Rupe, quella definita Pizzomunno dai compagni dello scrivente residenti nella zona già citata a proposito delle Rupi Ghirèe, o quella residuata dal colpo di tridente inferto da Poseidone per far sprofondare Aiace Oileo. Quindi l’isola Trinachia è la tre-puntuta penisoletta del Montarone viestano soprattutto per quanto Omero più tardi aggiunge un “porto profondo vicino a un’acqua dolce”.

Questa vicinanza sta nel termine omerico agk” che data la sua equivalenza con anak, diventa anche traboccato, cioè riempito oltre l’orlo, d’acqua dolce (secondo Omero dalla forza d’Oceano), la cui sorgente d’acqua dolce di fatto nasce all’interno del Pantanella precisamente ai piedi della collina detta “Costa Martine”, Costa Martino, un rialto che si trova nelle vicinanze del “Puzze della Chiatà”, Pozzo della Chiatà, ora erroneamente diventata chiesetta della Pietà. Per la usuale permutazione tra c e b, questo pozzo veniva anticamente pure detto della Biatà. Chiatà è un nome proveniente dal greco cyathos: ciato, una coppa per attingere (acqua), tazza, concavità le cui acque superflue danno origine alla corrente tuttora viva detta della Pietà all’interno del Pantanella. Il cyathos si integra con i significati di cytos: vaso, urna, coppa, bicchiere, ma anche carena, cavità, circuito, capacità, cavità della nave, stiva.

Dal porto del Pantanella derivante da cytos ha origine il nome dei Viestani come il popolo biblico dei Cittei, identificati come Pugliesi, il cui Regno viene improvvisamente distrutto insieme alla loro capitale Tiro, quindi non più Cyta, altro nome di Vieste. Il nome Tiro contiene le consonanti indeuropee tr indicanti rovina, che sono presenti pure nella Troia di Omero la cui rovina spiega pure quella di Tiro riportata dai profeti Ezechiele ed Isaia proprio come quella di Atlantide di Platone.

La presenza di una capitale con due nomi Cyta e Tiro equivale al dualismo esistito tra Uria e Troia, tutte città che come Tiro e l’Atlantide di Platone vengono distrutte nel giro di una notte e un giorno dopo un’alluvione. Quindi nomi che come capitali riguardano sempre e soltanto l’antica funzione dell’omerica Scheda, ora data erroneamente per Corfu con il benestare del commerciante Schliemann, capitale del continente Apeira, mai trovato da nessuno, ma poi erodotiano continente Europa.

Funzione di capitale di un continente che è lo stesso di essere Vieste Porta della Gran Madre Terra. Acqua Sorgiva, o di Vieste città Pizzo del Mondo, o Pizzomunno, da riferirsi sempre al Montarone viestano con annesso il Pantanella con la sua acqua dolce. La grotta profonda del porto di Trinachia di cui scrive Omero si trovava su una punta interna del Pantanella, forse quella esistente sotto un fabbricato recentemente demolito per far posto alla chiesa di Gesù Buon Pastore, o di qualche altra grotta naturale certamente presente nel Pantanella. In questa grotta la nave di Odisseo viene di fatto ancorata dopo essere stata trascinata, come avveniva con l’aiuto della corrente d’acqua dolce del Pantanella: un fatto già evidenziato in due relazioni precedenti. Prima della realizzazione di case a prezzo agevolato (Legge 167) realizzati in questa ormai divenuta vallata, generata con lavori di riempimento artificiale durato sei anni, precisamente dal 6 Settembre 1868 al 5 Giugno 1874, per la sopravvenuta putrefazione delle acque interne di questo porto (Alf. Perrone: Giornali Domestici) remotamente decantato che si era trasformato in una palude un po’ per i marosi, per i venti e per le piogge, ma ancora di più per i bradisismi negativi verificatisi, fortemente, negli anni 1000 e 1027 con l’innalzamento della costa pugliese e molisana, ma che tuttora persiste per l’avvicinamento della penisola italiana a quella che Omero chiama Tracia, tanto che in quegli anni pure il porto naturale di Brindisi venne insabbiato.

Del Pantanella c’era un antico detto che nel valutare una situazione immutabile diceva “Tante, Pantanidde ère è Pantanidde rumène”, cioè “Pantanella era e Pantanella rimane” che si trova nella semplice trasformazione dell’elos: caviglia/puntello, in èlos: luogo palustre, contenuto nella penultima sillaba del Pantanella.

Al contrario il nome Trinacria indica un’isola di tre angoli presenti realmente nella Sicilia, che non è lo stesso delle tre punte dall’isola Trinachia di Omero. A prova della funzione di Vieste come unità di luogo, di tempo e di azione dei poemi di Omero c’è che nelle leggende postomeriche riguardanti due personaggi dell’Iliade di Omero in cui Podalirio è un medico e Calcante un indovino, poi citato come greco, ma certamente della Magna Grecia non dell’attuale Grecia. In periodo postomerico il medico Podalirio viene destinato ad attingere acqua con un secchio (il cyathos, il ciato) le cui acque raccolte dal pozzo della Chyathà venivano da costui regalate ai cittadini, poi fino a intorno il 1955 vendute in Vieste da alcuni acquaioli.

Ricevuta l’acqua dal ciato usato da Podalirio per riempire le otri, le acquaiole di turno per ricompensa gettavano una moneta in una fessura naturale di roccia: precisamente quella dove è stata successivamente edificata una minuscola costruzione di mq 3 poi identificata come chiesetta della Chiatà, in riferimento al pozzo della Chiatà riveniente dal cyathos, ma ora erroneamente della Pietà. Per il suo compito di indicare la giusta direzione alla strada da seguire ai popoli che emigravano da Vieste, l’indovino Calcante si trovava in alto e in una costruzione, le tracce delle cui fondamenta di circa mezzo metro d’altezza di un fabbricato in rovina di circa mq 4 si trovavano quasi sulla sommità della collina della Chiesiola ancora fino al 1974, poi interamente sommersi dai detriti degli scavi della sovrastante roccia per dare la giusta pendenza alla strada in gran parte una mulattiera, per dare vita alla costruenda Strada vicinale della Chiesiola, ora comunale via Saragat. Il toponimo Chiesiola dice tutto sulla medievale santificazione di tutto ciò che era visibile, ciò anche se nell’immediata adiacenza delle suddette fondamenta lo scrivente trovò casualmente un’ampollina di gres, in viestano detta greta, alta circa cm 8, che venne distrutto da un gatto domestico penetrato in casa.

Le sedi di Calcante e Podalirio vengono opportunamente situate da Strabone su una collina della Daunia, nome che parte da Vieste derivante sia come sposa dormiente, poiché già Estia, poi Vesta, ma anche di fanciulla di nome Oria, che non avevano alcuna intenzione di trovare marito; sia come patria del mitico Dauno, suocero di Diomede, tutti di origine viestana proprio come il suo inventore Omero. Dalla sommità della collina della Chiesiola lo scrivente allargò le sue vedute imparando a conoscere il Cielo, le Costellazioni, i due Carri, tra i quali pure la vicina stella Sirio, l’affascinante e più luminosa stella del Cielo che segue i Carri, i continui movimenti e i quarti crescenti e decrescenti della Luna, quelli del Sole e delle stelle, la direzione dei venti e i loro nomi anche omerici, l’integrale identità del frontale Montarone, la vastità degli orizzonti sia terrestri sia marittimi: poiché nei giorni limpidi da questa collina si vede l’isola della Pelagosa, o Pelagrosa che, in base a una notizia riferita allo scrivente da un capobarca di cognome Corso, che per aver pescato in mare slavo, sorpreso, venne estradato in una città della Croazia in cui seppe la verità di quest’isola viestana diventata slava in seguito alla sua vendita avvenuta ad opera di un Vescovo viestano del 1600.

Come pure valutare al meglio l’esposizione del Montarone verso l’Oriente, o il Greco, intuendo la nascita di Vieste come figlia (Vi = Ui abbreviazione di uios: figlio/a) dell’Oriente (este) come pure figlia (del tutto legittima) Greca, tutti elementi già presenti in Omero.

Insomma un allargamento di vedute necessario allo scrivente anche per lo studio dei poemi di Omero e la conclusione di Vieste come patria di questo straordinario poeta. Fino al momento del rifacimento della mulattiera della Chiesiola nel 1974, quasi alla sommità della Chiesiola si ergevano due massi arrotondati a forma di uovo che hanno presumibilmente ispirato Omero nell’incontro di Odisseo con i Lestrigoni, che per colpire le navi e i suoi compagni precipitavano insieme con dei massi arrotondati dalla collina adiacente il loro porto (la Chiesiola e il Pantanella, già identificato come il porto dei Lestrigoni anche per la presenza in questo porto della corrente Artachia, la stessa che diventa Aretusa in Itaca). L’omerica città dei Lestrigoni è Telèpilo, nome che significa “lontana Porta” che è da individuare con la lontana Vieste anche come Porta della Gran Madre Terra. Acqua Sorgiva, e già all’origine del nome dell’Apulia, senza porta, cioè aperta, poi passato sia all’Italia e sia alla regione Puglia. Dalla stella Sirio Omero trae spunto per identificare la città di nascita di Eumeo, chiamata Siria, ora isola favolosa, situata da Omero sotto Ortigia, ora luogo indeterminato ma confusa con Deio.

In realtà Siria è un luogo di passaggio di Odisseo che viene da Omero presentato con sopra un altare di Apollo, ma che ora viene identificata erroneamente come una piccola isola dell’Egeo. Omero inoltre scrive che in Siria ci sono due borghi, nei quali tutto era diviso in parti uguali e tenuta sotto controllo dal padre di Eumeo, il re Ctèsio Ormenide. Eumeo aggiunge che un giorno arrivarono a Siria i famosi navigatori Fenici che approfittarono di una donna grande e bella, ma soprattutto una ladra, che a sua volta diceva di essere nata ricca a Sidone, ora data come città della Fenicia che ora viene indicata come regione del Mediterraneo orientale con la città di Tiro, di cui si è detto in qualità di capitale dei Cittei, e Sidone, ma localtà ingannevoli citate da Odisseo che non voleva farsi riconoscere da Eumeo. Da Sidone questa donna venne rapita dai pirati di Tafo e poi venduta al re di Siria, il padre di Eumeo.

Dietro la promessa a questa donna di un suo ritorno in patria da parte dei Fenici, ora abitanti della Fenicia, già noti in Omero ma in seguito identificati come naviganti e commercianti che frequentavano i mari greci, ma non si sa se quelli della Grecia, nazione che ha fatto incetta di tutto posizionando l’Ellesponto di Omero nel Bosforo, o quelli preferibilmente della Magna Grecia per la presenza effettiva di questo braccio del vasto mare che faceva capo a Vieste.

Tutti si misero a rubare e quando la nave fu piena di refurtiva, la donna si fece seguire pensando di rapire da Siria, riuscendoci, il figlio del re della città, Eumeo, col quale raggiunsero un porto bellissimo, sempre il Pantanella, nel quale la nave era stata ancorata. Dopo sei giorni di navigazione la dea Artemide uccide la donna che venne buttata in mare e i Fenici, spinti dal vento e dal mare, giunsero a Itaca dove Eumeo fu comprato da Laerte.

Nelle sue Storie Erodoto riprende e rielabora questo racconto di Omero, dando a questa vergine il nome lo (la stessa di Europa e di Oria) donna che viene rapita dai pirati Fenici, gli stessi che giunsero a Itaca, ora Vieste, città dai due borghi che si trovavano sui due corni del Montarone al quale vanno condotti alcuni, luoghi citati da Omero. Da lo, altra personificazione di Vieste probabilmente derivato dal greco e omerico eonion, cioè orientale, da cui nasce questa Io e il Mare Ionio, che di fatto insieme con il Golfo Adriatico nasceva da Vieste, già città omerica come limite, o confine di questi due mari. Secondo Erodoto la vergine lo, sedotta da Zeus, per allontanarsi dalla vendetta di Era che si era accorta del tradimento del marito e di avere individuato in Io la rea che per questo percorse tutto il mare per giungere in Egitto dove diventò Iside che, guarda caso, finisce con l’essere venerata pure dai Romani in sostituzione di Venere seconda maniera che in precedenza aveva sostituito Vesta. A Vieste c’è tuttora un orologio solare realizzato dai Fenici.

Partito con la nave dalla Catharella, Odisseo e compagni giungono all’isola Trinachia, o delle Vacche del Sole, che per Circe sono da evitare, ma sbarco effettuato in un porto profondo con vicino un’acqua dolce (quella del Pantanella, la stessa acqua che contribuisce a identificare Vieste come Uria e presente nel suo canale del greco ouros) tirando la nave (che si presume sia poeticamente avvenuta con l’aiuto della corrente di acqua dolce del Pantanella) in una grotta profonda di cui si è appena detto.

Dopo un mese di vento di Scirocco ed esaurite le scorte di cibo, Euriloco, all’insaputa dell’addormentato Odisseo, invita i compagni a dare la caccia alle Vacche del Sole da immolare anche in onore degli dèi che una volta uccise si verificò la morte di tutti i compagni di Odisseo e della distruzione dell’ultima nave per una folgore lanciata da Zeus.

Sui resti della nave si adagiò Odisseo che da questo porto (il Pantanella) fu costretto a tornare verso Cariddi, il crepaccio (di u Spacche de Rusenèlle) dove si salva attaccandosi al fico. In seguito Odisseo, attaccato ai residui della nave si ridirige verso Scilla, (la grotte i Trève) mostro marino che fortunatamente non si accorse di nulla. Dopo nove giorni Odisseo giunge all’isola Ogygia di Calipso, Sotto il Ponte, che per sette anni tiene in ostaggio Odisseo che dopo essere stato lasciato libero giunge finalmente alla prima corrente della Scialara viestana, precisamente in località detta Scanzatore di cui si è già detto.

Da Scheda (Vieste) partì la nave che portò Odisseo a Itaca (sempre Vieste) e che al ritorno, quando era già in vista di Scheda, Poseidone con una manata affondò la nave pietrificandola (lo Scoglio) con la minaccia, realizzata, di far crescere un monte per coprire la città dal mare (la roccia calcarea sovrapposta al Montarone se visto dalla Scialara).

Una volta a Itaca, in cui c’è un cantore che si dichiara figlio di Terpio, di nome Femio, che secondo lo scrivente più che un cantore è la vera identità del poeta Omero, nella quale città di Itaca, ora Vieste, per il porto simile ad altri porti omerici ma anche per la presenza della corrente Aretusa, la dedica di questo porto a Forchi, tuttora presente come scogli sottomarini a sei miglia a nord di Vieste con il nome viestano di Forche, ora italianizzati come Forti, e il porto di nome Reithro, il cui significato di corrente, di alveo, di letto (di mare, presente in aggeion di aggos da cui il Portus Aggasus di Plinio) porta direttamente alle acque quiete che si trovavano nel Pantanella viestano, Di Itaca inoltre Omero scrive di pozzi perenni, in gran numero presenti sia pubblici, funzionanti fino al 1955, sia privati dispersi in tutta Vieste, città che appare come Porta della Gran Madre Terra. Acqua Sorgiva; Polibio definisce Vieste “sorgente e madre del mare” e due lavandaie viestane riferiscono al Beltramelli di un nido del mare che si è formato sotto la montagna.

Omero di Itaca scrive pure di una città bene in vista, o situata sulla punta di un promontorio, quale è il messo in bella evidenza Montarone visto da una qualsiasi parte. Le vicende di Odisseo a Itaca risolve tutti i problemi in un fabbricato avente una sala, la stessa di Scheda, con un altare dedicato a Zeus, cui segue un adiacente cortile e la casa reale. Cioè un Megaron tuttora presente in Vieste con la Cattedrale con a fianco dell’entrata principale un cortile e la casa dei regnanti, ora abitazione, in parte rifatta dopo il terremoto del 1646, del Vescovo di turno.

Su una facciata laterale di questa cattedrale ci sono ancora Zeus, sia sottoforma di un putto, da cui Zeus Dodoneo, cioè Zeus bambino, sia sottoforma di un’aquila che rappresenta Zeus adulto. Il restò di questa antichità viene confermato dalle sculture sui capitelli delle colonne interne alla Cattedrale cui va aggiunta la presenza di un orologio solare, edificato dai Fenici, che si trova tuttora sulla sua facciata principale adiacente il cortile e che uno studioso viestano (F. Innangi) fa risalire al 2600 a. C.. A questo si aggiunge pure la venerazione dei Viestani a (S.) Maria di Merino, nomi questi ultimi ripetitivi poiché entrambi provenienti da Myrina che Omero definisce molto balzante, un riferimento alla Luna che in effetti e più di tutti molto balza nel Cielo, il cui altare originario si trova tuttora su un poggio (u Munduncidde) davanti alla città distrutta ora di Merino, chiamata Troia da Omero.

Oltre le maree, provocate dalla Luna, va evidenziato che nel trasporto a mano ora dell’attuale statua del 1400 verso Merino, che secondo fonti attendibili avviene da 8000 anni addietro con il trasporto di un Palladio, una minuscola statua, che all’andata viene portata con il viso rivolto verso il mare, per placarlo in modo da favorire il commercio marittimo e la pesca, che sono attività remunerative e utili alla vita di una città di mare come Vieste, mentre al ritorno il suo viso viene rivolto verso la campagna per proteggere il grano maturo, favorire la produzione di ortaggi, benedire gli oliveti per la produzione di olio, cui si aggiunge la protezione dei rinnovati tralci delle viti d’uva il cui prodotto, il vino, serve per gli dèi nei riti propiziatori e soprattutto agli uomini per dimenticare tutti i loro mali. Il Palladio fu sottratto a Troia, ora Merino, da Odisseo e Diomede sia per favorire la presa di Troia sia per la fondazione di nuove città, una previsione presente nell’Odissea di Omero e che di fatto avvenne per la fondazione di Roma con l’aiuto del troiano Enea, che in periodo postomerico portò con sé il Palladio.

La venerazione dei Viestani a (S.) Giorgio con la corsa dei cavalli, famosi per loro velocità più che per la loro bellezza come quelli della vicina a Vieste, città omerica di Troia. Corsa in origine oltre che in Vesti si correva nello stesso giorno in tutte le città di confine e che venivano fatte in onore di Poseidone (Strabone. Italia), dio dei cavalloni marini, fratello di Zeus e di Estia, il cui figlio Nausitoo fondò Vieste col nome Scheda. Il predetto Giorgio, santo già disconosciuto dal secondo papa di Roma, Gelasio l°, e ultimamente da Giovanni Paolo ll°, è un nome di origine greca che significa Terra-orgia, indicante l’orgia (festa) della Terra, una festa giovanile che consiste nella immancabile consumazione della frittata, perché come una frittata di forma gigantesca veniva anticamente considerata la Terra, accompagnata dalla consumazione di un quarto di vino sistemati in un classico “mugghje”, un fagotto, da bere per dare coraggio di vivere, nel senso di rendere liberi tutti, soprattutto i giovani, dai cattivi pensieri a volte anche funesti, un fatto piuttosto frequente nei tempi passati.

Consumazioni che avvenivano su una parte della collina rocciosa quasi del tutto calva per l’assenza di terreno detta di S. Giorgio, ora in prevalenza sui giardini pubblici situati davanti alla minuscola chiesetta della Madonna del SS.mo Rosario detta, guarda caso, più comunemente della Madonna della Libera situata in adiacenza della base della collina di (S.) Giorgio che il 23 Aprile di ogni anno viene tuttora condotto in pompa magna presso questa chiesetta. Festa che in pratica indica il rinnovamento ciclico annuale delle stagioni, che nei tempi remoti erano tre e iniziavano con l’avvento della primavera, come pure il rinnovamento della vita rappresentata dalle giovani leve cui la festa è dedicata.

La chiesetta della Madonna della Libera, in realtà una cappella di una sola navata, si dice essere stata fondata per il voto di un navigante sorpreso al largo di Vieste da un’improvvisa tempesta marina in seguito alla quale riuscì ad approdare, certamente nel secondo porto viestano da Omero descritto come “piccola rupe grandi flutti trattiene”, che in tempi remoti si trovava in una zona quasi adiacente questa chiesetta, la cui rupe più alta, ancora dotata di bitte incavate nella roccia alle quali venivano legate le funi delle navi, si trovava nei pressi della chiesetta e poi interamente divelta.

A questi fatti si aggiunge la venerazione, fino a qualche decennio fa, del popolo viestano all’altrettanto disconosciuta, insieme con (S.) Giorgio, dalla Chiesa di Roma, (S.) Filomena. Filomena è un nome greco derivante dalla fusione di filos: caro, e mènè: la Luna come divinità, che col risultato di ‘‘amante (cara) della divina Luna” diventa un remoto supporto alla venerazione dei Viestani verso la Madonna di Merino. E’ d’aiuto infine la storia religiosa della remota città di Vieste che, non a caso, diventa l’unica città diocesi riconosciuta dalla Chiesa di Roma.

La stessa Vieste che venne già chiamata col nome Estia, una divinità e unica sorella di Zeus e Poseidone, tutti nati da Crono, (il Cielo) e Gea (la Terra), anche se ora questa Cattedrale, già dedicata a Vesta che è lo stesso di Estia, viene erroneamente segnalata come originata nel secolo XI. Una data di inizio che forse rappresenta la data di origine della religione cattolica a Vieste, di fatto iniziata dopo l’anno 1000 con l’arrivo del secondo vescovo di Vieste dopo la morte del primo che si fece chiamare Alfano, per sua ammissione nominato nell’anno 993 ma dalla chiesa di Bisanzio antagonista di quella di Roma.

L’ultima prova della funzione di Vieste come unità di luogo, di tempo e di azione dei poemi di Omero consiste nel fatto che Odisseo in compagnia di suo figlio Telemaco, del bovaro Filezio e del porcaio Eumeo decidono di andare a trovare Laerte, padre di Odisseo. Durante il viaggio giunsero a piedi alle correnti d’Oceano e alla Rupe Bianca e alle Porte del Sole, tra il popolo dei Sogni e subito vicino il prato asfodelo, che è lo stesso dell’omerica Pianura Elisia e che tutte insieme rappresentano la stessa piana della Troia di Omero, per arrivare al Regno dei Morti. In pratica il viestano Piano della Battaglia detto Piano Grande, anche nel senso di antico, al cui margine marittimo c’è la Necropoli della Salata, del tutto uguale alle descrizioni di Omero per le sorgenti e per la finale corrente che sfocia nel mare.

Regno dei Morti che questa volta viene situato a poca distanza da Itaca dato il percorso a piedi di Odisseo, Telemaco e compagni, che riescono ad avere notizia di alcuni eroi morti in seguito alla guerra di Troia, tra i quali principalmente Agamennone, ad integrazione di quelli già incontrati in questo Regno dei Morti, cioè sempre la Necropoli della Salata, già visitata da Odisseo su invito di Circe per interrogare il tebano Tiresia.

Questa è l’ennesima e ultima prova, la quadratura del cerchio, che i libri dello scrivente raccontano la verità sulla gloriosa, remota, greca città di Vieste già patria del più grande e fantastico poeta di tutti i tempi e del Mondo, Omero, un normale uomo viestano, certamente vedente, dotato di ingegno e fantasia di cui si sono perse le tracce, ma che sono state ritrovate a distanza di circa 3000 anni dallo scrivente che ha dimostrato anche con queste succinte relazioni inviate per la prima volta al Sindaco e alla Giunta municipale di Vieste, per chiedere legittimamente aiuto per la pubblicazione del suo terzo libro che, come i due precedenti, riguarda la storia vera, ma incredibile, della remota città di Vieste: figlia dell’Oriente e non di una storia qualsiasi, per la qualcosa chiede anche un personale riconoscimento per questa sua straordinaria e veritiera scoperta che potrebbe arricchire in tutti i sensi e ancora di più la nostra amata Vieste.

Prof. Giuseppe CALDERISI