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SARÀ LA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA A DECIDERE IN MERITO ALLA DISCIPLINA DA APPLICARE ALLE CONCESSIONI BALNEARI ITALIANE.

Lo ha deciso il Tar di Lecce -presidente estensore Antonio Pasca – che con un’ordinanza pronunciata ieri ha rinviato al giudice europeo la decisione in merito al ricorso presentato da alcuni operatori balneari contro l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che si era opposta al rinnovo delle concessioni demaniali marittime fino al 2033.

L’Agcom, infatti, aveva impugnato una delibera del comune di Ginosa del 24 dicembre 2020, che disponeva tale rinnovo. Per comprendere la disciplina del settore è necessario un breve excursus dell’evoluzione normativa.

Nel 2010 l’allora governo Berlusconi recepisce la direttiva europea Bolkestein, nella quale viene sancito l’obbligo di messa al bando per alcune concessioni pubbliche, tra cui quelle balneari. Di fatto, però, la direttiva non è mai stata applicata e le concessioni, anche quelle più datate, sono sempre state prorogate. Alcuni comuni, però, hanno preferito ritirare le proroghe automatiche, uniformandosi al dettato europeo, mentre altri si sono comportati diversamente, ignorando la direttiva. Ma nel novembre scorso radunanza plenaria del Consiglio di Stato ha fissato un limite alle proroghe automatiche per le concessioni: dal primo gennaio 2024 saranno oggetto di bando pubblico.

In questo scenario si inserisce la

pronuncia del Tar Lecce, nella quale si legge: «Lo Stato Italiano ha approvato norme recanti re-cepimento solo formale della direttiva e dichiarazioni di massima sostanzialmente ripetitive dei principi generali espressi dall’atto unionale, rinviando – per la concreta disciplina di attuazione – ad ulteriori atti normativi invece mai intervenuti (avendo evidentemente lo Stato Italiano perseguito unicamente l’intento di paralizzare la procedura di infrazione, nel frattempo avviata). In definitiva, la normativa di secondo livello non è mai infatti intervenuta e, per contro, il termine di proroga delle concessioni in essere, originariamente fissato al 31/12/2015, è stato quindi ulteriormente differito dapprima al 31/12/2020 e, successivamente, al 31/12/2033 (legge 145/2018). In assenza di una effet-

tiva legge di attuazione della direttiva e di una regolazione della materia con norme vincolanti ed efficaci sull’intero territorio nazionale, la competenza dei singoli dirigenti comunali ha intanto determinato uno stato di caos e di assoluta incertezza del diritto, con gravi ricadute negative sull’economia dell’intero settore, un settore strategico per l’economia nazionale. Così, ad esempio, alcuni Comuni hanno applicato la legge nazionale e concesso la proroga fino al 31 dicembre 2033, altri hanno espresso diniego disapplicando la norma nazionale (senza tuttavia applicare quella unionale), altri ancora, dopo aver accordato la proroga, ne hanno disposto l’annullamento in autotutela, altri infine sono rimasti semplicemente inerti rispetto alle istanze di proroga avanzate dai concessionari».

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