Una controversia tra un privato e il Comune di Polignano ha portato la Consulta a dichiarare incostituzionale un pezzo non secondario delle norme pugliesi in materia di espropri. Ovvero quelle cinque righe, approvate a febbraio 2005, in base a cui «sono da considerarsi, comunque, sempre legalmente edificabili tutte le aree ricadenti nel perimetro continuo delle zone omogenee di tipo A, B, C e D».
Quella norma fu considerata un primo tentativo di inserire il concetto di perequazione nell’ordinamento regionale. Significa infatti – banalizzando all’estremo – che a un’area a servizi ricadente all’interno di una zona di espansione va attribuito lo stesso valore dell’area vicina destinata dal prg a edifici residenziali. E dunque – nel momento in cui il Comune decide di realizzare una scuola ed espropria l’area a servizi – il suo proprietario avrà diritto a una indennità parametrata non al valore venale del suolo, ma a quello delle aree edificabili.
Ecco che il proprietario di un’area destinata a giardini si è opposto alla quantificazione dell’indennità effettuata dal Comune di Rutigliano. La controversia è arrivata fino in Cassazione, dove è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’articolo 19 della legge regionale 3/2005 che impone «di considerare “legalmente edificabili” terreni che edificabili non sono, in quanto destinati a standard».
La sentenza della Consulta (120/2022, redattore Navarretta) è stata pubblicata negli scorsi giorni, e ha ritenuto appunto che la legge regionale abbia invaso le competenze esclusive dello Stato. «I criteri che definiscono l’edificabilità legale – è riconosciuto in sentenza – non sono che lo specchio di un possibile utilizzo economico del terreno da parte dei privati che, nel rispetto della legge, dimostrino prospettive di valorizzazione sul mercato».
Ma anche se attribuire edificabilità legale a un suolo non significa poterlo utilizzare per costruire (e dunque non interviene sui principi della zonizzazione urbanistica secondo la Consulta la norma regionale è – nei fatti – una deroga alle previsioni statali in materia di indennità di esproprio.
E le giustificazioni forniti dalla Regione, a proposito delle volontà di introdurre la perequazione, non sono state sufficienti a superare i dubbi delle Consulta. «I due ambiti – quelle della pianificazione ispirata alla perequazione e quello dell’espropriazione – è scritto in sentenza – sono evidentemente contigui e coordinati, ma non si possono indebitamente sovrapporre e confondere, spostando l’obiettivo della perequazione dalla pianificazione urbanistica alla mera determinazione a livello regionale dell’indennizzo per l’espropriazione.
Non è dato, cioè, compensare a posteriori, nella mera eventualità dell’espropriazione e con una disciplina regionale, gli effetti dell’apposizione su un fondo del vincolo conformativo, dotando quel terreno, che sul mercato non può spendere la qualità di bene edificabile, di tale fittizio valore». Anche perché il risultato di tutto questo sarebbe che «solo in una determinata Regione», cioè in Puglia «un terreno in sé non edificabile debba essere stimato come se lo fosse».